“Berlino farà meglio a guardarsi le spalle”. Davanti a una platea di “pochi ma buoni”, il sindaco del diciannovesimo arrondissement parigino François Dagnaud sfoggia un entusiasmo beffardo. In un mercoledì di fine gennaio, nella sede del vecchio mercato delle pelli della Villette è appena stato inaugurato un nuovo club, costruito interamente in cemento grezzo: il Mia Mao. Con una superficie di tremila metri quadrati e una capienza di 2.300 posti, questo megalocale ha l’ambizione di rivaleggiare con i suoi omologhi nella capitale tedesca, a cominciare dal mitico Berghain, e ravvivare la reputazione festaiola della capitale francese in tutta Europa. “Parigi è molto in voga sotto questo aspetto”, sottolinea Frédéric Hocquard, consigliere di Anne Hidalgo per il turismo e la vita notturna. “I turisti stranieri che arrivano per frequentare locali dove ballare sono in aumento”.

Dal centro alla periferia

Dopo la pandemia Berlino e Londra, altra capitale del clubbing, hanno dovuto affrontare una grave crisi immobiliare. Rimasti quasi del tutto senza sostegno pubblico, stanno sparendo tanti locali emblematici della notte elettronica europea, come il Watergate e il Renate a Berlino, o rischiano di chiudere i battenti, come il Printworks, situato in una vecchia tipografia nella zona orientale di Londra. A Parigi, invece, i fondi stanziati dalle istituzioni per i locali notturni ne hanno permesso la proliferazione. Prima del Mia Mao, a ottobre è stato inaugurato l’Essai, 450 posti nel decimo arrondissement. All’inizio del 2025 si è aggiunto la Fête in place de Clichy (ottavo arrondissement), locale disco-pop per rampolli dell’alta borghesia, mentre il sei marzo ha aperto il Pisiboat (dodicesimo, 500 posti), una chiatta galleggiante dedicata alla techno-trance.

La movida, in passato concentrata nel centro e nell’ovest (dove si trovano vari locali commerciali come il Raspoutine e il Duplex, nei pressi degli Champs-Elysées) continua a espandersi verso il nordest e le sue banlieue. Il parco della Villette (diciannovesimo) si è trasformato in un’enorme pista da ballo in mezzo a una schiera di bar e locali: il Cabaret Sauvage, À la folie, il Trabendo, Kilomètre25 e un po’ più lontano il Gore, il Glazart e l’FA\WA, fino al Nexus, a Pantin. “Nel vecchio bacino industriale del nordest c’è meno pressione immobiliare”, sottolinea Arnaud Idelon, responsabile del Sample, centro culturale aperto nel 2022 a Bagnolet (Seine-Saint-Denis). Nuova età dell’oro o fenomeno passeggero?

Quantificare questa espansione è difficile. Le istituzioni dispongono di pochi dati che tra l’altro spesso si contraddicono. Mettendo insieme quelli della camera di commercio dell’Île-de-France e della prefettura, parliamo di circa 450 ritrovi aperti dopo le due di notte, un numero aumentato sensibilmente negli ultimi quindici anni. Le poche statistiche ufficiali dimenticano poi i free parties, tornati di moda durante la pandemia nei capannoni e in altri ritrovi informali.

La capitale fa eccezione

“Il covid non ha rallentato la vita notturna parigina”, conferma Frédéric Hocquard. Nel corso della crisi sanitaria i locali notturni sono rimasti chiusi per più tempo di altri. “Inizialmente abbiamo avuto la sensazione di essere stati abbandonati ed emarginati dalle istituzioni culturali”, ricorda con rammarico Antoine Molkhou, direttore artistico del Rex (800 posti, secondo arrondissement), club di riferimento per la musica elettronica a Parigi ormai da 35 anni. Alla fine della pandemia, però, i parigini avevano voglia di uscire e divertirsi. “C’è stato un grande ritorno di fiamma. Le serate sono riprese con ancora più energia”, spiega Arnaud Idelon, autore di Boum boum, politiques du dancefloor (Divergences).

Kilomètre25, Parigi - Kilomètre25
Kilomètre25, Parigi (Kilomètre25)

L’attuale vitalità della notte parigina sembra un’eccezione in una Francia altrimenti deserta. Nel resto del paese, infatti, dei quattromila locali di quarant’anni fa ne sono rimasti 1.400: il resto ha chiuso, lasciando come uniche alternative accessibili le soluzioni meno sicure, come i rave party.

Come spiegare l’eccezione parigina? Il percorso non è stato facile. Nel 2009 una petizione di professionisti del settore aveva fatto scalpore dichiarando “morta” la città rispetto ad altre grandi metropoli europee come Amsterdam, Barcellona, Berlino o Londra, affollate nel fine settimana dagli amanti della notte di tutto il continente grazie ai voli low-cost. La petizione chiamava in causa la tensione crescente con i residenti a causa del chiasso notturno e la propensione repressiva della prefettura parigina.

La richiesta di un riconoscimento istituzionale è sfociata negli Stati generali della notte, nel 2010, e quattro anni dopo nella creazione di un Conseil de la nuit, che si è riunito una o due volte all’anno coinvolgendo tutti gli operatori del settore. L’amministrazione socialista ha scelto la via della mediazione: dopo aver compreso i vantaggi economici legati agli arrivi turistici ha nominato referenti in ogni arrondissement e responsabili per le comunicazioni con i residenti e la prefettura. Il comune ha stanziato un budget specifico il cui ammontare varia annualmente. Nel 2018 è stato di 600mila euro, quest’anno di 300mila euro.

“Abbiamo pochi dati per quantificare ciò che rappresenta la notte in termini economici e di occupazione”, sottolinea Aurélien Antonini, presidente del sindacato Culture nuit, di cui fanno parte circa cento tra locali notturni e club. Antonini è proprietario, tra gli altri, del Badaboum (locale di elettronica aperto nel 2013 nell’undicesimo arrondissement) ed elogia l’intraprendenza dell’amministrazione comunale: “Hanno sostenuto i locali minacciati dalle chiusure amministrative, investendo nel miglioramento dell’acustica e nella riduzione del rumore”.

Kilomètre25, Parigi - Kilomètre25
Kilomètre25, Parigi (Kilomètre25)

“Con il suo piano per sostenere l’attività notturna l’amministrazione ha mantenuto il controllo sugli spazi urbani premiando chi ha agito bene e punendo chi ha violato le regole”, spiega la sociologa Myrtille Picaud, autrice di Mettre la ville en musique, Paris-Berlin (Presses Universitaires de Vincennes). “Il comune ha gestito la situazione scegliendo i locali da valorizzare”. Il punto più alto di questa partecipazione istituzionale è stato il lancio nel 2024 dell’etichetta “Club culture” assegnata dal ministero della cultura ai locali che hanno proposto negli anni “un calendario artistico improntato alla diversità, alla parità”. Un’iniziativa richiesta da tempo dai professionisti del settore per proteggere un ecosistema fragile.

Gli attentati del 2015 e il covid avevano fatto temere una crisi, e invece nell’ultimo decennio è successo qualcosa d’insperato e Parigi è tornata a essere una capitale europea della festa. Ispirandosi alla scena berlinese, i collettivi – più liberi dei club – hanno prosperato. “Hanno introdotto nuovi modi di organizzare la notte, con altri luoghi, altre musiche, altri orari”, riassume Valery B, che lavora da più di trent’anni come bouncer (un’evoluzione del buttafuori) nei locali notturni, oggi al Mia Mao e al Glazart (diciannovesimo arrondissement). Alcuni collettivi sono scomparsi, come il Berlinons Paris, l’Alter Paname, l’Otto 10 o il Possession, ma altri sono ancora protagonisti della notte, come il Microclimat, il Pardonnez-nous, l’Aïe, il Futile o le Sœurs malsaines. Che si tratti di hangar, capannoni, parchi o sale da ballo, i collettivi riqualificano spazi della periferia e fuori dei confini cittadini, soprattutto nel dipartimento di Seine-Saint-Denis. I frequentatori dei locali, abituati ai club istituzionali del centro, hanno scoperto orari sfalsati o prolungati, grandi spazi, serate con mostre collettive e in alcuni casi eventi simili alle fiere.

Le regole del gioco

Un altro elemento che ha stravolto la notte parigina è stato l’uragano Concrete. Aperto dal 2012 al 2019 nel quai de la Rapée (dodicesimo), questo magazzino vicino al fiume è stato il primo locale notturno a ottenere l’autorizzazione a restare aperto per 24 ore consecutive. “La concorrenza ha fatto bene ai club”, riconosce Antoine Molkhou, del Rex, che tra il 2015 il 2018 ha vissuto un periodo di crisi. “A volte ci si adagia sugli allori, affidandosi alla propria storia. Quel momento ci ha aiutati a progredire”, spiega.

Malgrado l’assenza di una cultura “club”, questo movimento è andato di pari passo con la democratizzazione della musica elettronica. “Il pubblico è diventato difficile da gestire. Tutti se ne sono resi conto, dagli organizzatori ai dj. Abbiamo adottato un approccio educativo, ricordando princìpi fondamentali come ‘non gridare quando sei in’, ‘non urtare gli altri sulla pista da ballo’ o ‘non restare immobile in prima fila’. Niente di grave, ma questa mancanza di cultura può danneggiare la vita notturna”, sottolinea Brice Coudert, ex direttore artistico del Concrete e fondatore di Essai.

Che si tratti di hangar, capannoni o sale da ballo, i collettivi che organizzano le serate riqualificano spazi della periferia e fuori dei confini cittadini

Anche le regole del gioco della festa notturna sono cambiate con il passare del tempo. Le preoccupazioni non sono più le stesse, o quanto meno sono più esplicite rispetto al passato. La riduzione dei rischi legati alle droghe e al sesso (rdr, come la chiamano i professionisti) è diventata la norma. In molti club vengono messi a disposizione tappi per le orecchie e perfino preservativi, oltre al materiale per limitare il rischio d’infezioni legate all’assunzione di sostanze per via nasale, come i cosiddetti “roule ta paille”, cartoncini per creare inalatori individuali, o le pipette di soluzione fisiologica per pulire le narici.

Le persone in estasi sulla pista con bottigliette d’acqua in mano (l’mdma, o ecstasy, provoca forte disidratazione), i raver in ketamina e i frenetici sotto cocaina o 3-mmc dimostrano che la presenza di droga resta una costante. E i club lo sanno bene. “Non bisogna assumere droga, ma se proprio volete non fatelo sulla pista da ballo. E state attenti, proteggetevi a vicenda, idratatevi”, spiega un addetto all’entrata di un locale di musica elettronica. Chi si droga in pista rischia di essere buttato fuori. L’assunzione di sostanze illecite nei bagni è tollerata in molti locali, ma alcuni hanno una politica più rigorosa: in bagno si va uno per volta. “Il consumo non diminuisce, anzi la cocaina è in forte crescita. Ma al contempo non aumentano le overdosi nei club. Questo vuol dire che la prevenzione rdr in parte funziona”, sostiene Frédéric Hocquard, dell’amministrazione comunale, ricordando che nel 2017 due persone sono morte in un locale nella stessa serata.

“Più ballerin* e meno maniac*”, “Corpo a corpo, ma non senza consenso”: grazie all’attività di associazioni come Consentis, fondata nel 2018, la lotta contro la violenza sessista e sessuale ha prodotto cartelli con questi messaggi all’entrata dei club e sui muri dei bagni. Ma non sempre basta, come dimostra il manifesto “Reinventare la notte: l’appello dei dj per una professione più sicura”, lanciato dalla dj Paloma Colombe nel 2023 per attirare l’attenzione sui problemi di sessismo e violenze sessuali all’interno della categoria. La mescolanza è una parola d’ordine o quantomeno un obiettivo per tutti (soprattutto degli uomini, va detto). “Le piste da ballo sono molto più miste rispetto a quindici anni fa, con più donne e più rappresentanti della minoranze”, sottolinea Brice Coudert di Essaim. Secondo Antoine Calvino, co-fondatore di Socle (sindacato degli organizzatori culturali liberali e impegnati creato nel 2017 e oggi costituito da una trentina di collettivi), la discriminazione all’entrata, sia razziale sia sociale, è in calo.

Un equilibrio fragile

Quindi la notte parigina è tutta rose e fiori? Nonostante l’affluenza, dal punto di vista economico la situazione è difficile, anche a causa del caro-vita. Il prezzo di un biglietto d’ingresso nei locali notturni varia dai dieci ai quaranta euro nel fine settimana, a cui bisogna aggiungere il costo per il guardaroba, le consumazioni e i trasporti. “Da un anno registriamo un calo del 10-20 per cento nel giro d’affari del bar, che rappresenta il 30-50 per cento degli introiti di un locale”, sottolinea Aurélien Antonini di Culture Nuit.

Agli occhi delle autorità la notte e in particolare la musica tecno sono ancora potenziali fonti di problemi. Da due anni le chiusure temporanee (485 nel 2024) sono in aumento a causa di “schiamazzi notturni”, dell’assenza di licenze o dell’apertura oltre le due di notte. Anche se quasi il 50 per cento di questi provvedimenti riguarda i negozi di alimentari aperti tutta la notte, i gestori dei locali notturni ne sono terrorizzati. “Sul piano politico, amministrativo e giuridico le autorizzazioni restano precarie. Ci sentiamo a malapena tollerati”, si rammarica Renaud Barillet, fondatore della Bellevilloise e direttore di Cultplace.

“Abbiamo fatto passi avanti, ma i rapporti con le autorità sono sempre una questione di odio-amore”, spiega un lavoratore del settore. Parigi ha ritrovato la voglia di fare festa, ma tutto poggia su un equilibrio molto fragile. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1606 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati