Il personaggio di Pippo è “a metà strada tra l’arguto e l’allocco”, ha scritto Ranieri Carano. In questa raccolta di quattro racconti ormai storici, realizzati tra i primi anni quaranta e la prima metà degli anni cinquanta, il non integrato Pippo ha finalmente un ruolo centrale. Il racconto più bello è il secondo, in cui Pippo è scritturato come attore a Hollywood e Topolino come regista. Una satira in cui, non diversamente da un fumetto postmoderno, le tante gag sono una rappresentazione fatta di stereotipi-logo sulle folli esagerazioni della macchina dei sogni, grazie al talento dello sceneggiatore Bill Walsh, che conosceva il mondo degli studios, e a quello di Floyd Gottfredson, che per quasi mezzo secolo ha disegnato le storie di Topolino. L’incedere elegante dei suoi personaggi, le limousine, i palazzi e i letti giganteschi, grazie al senso dello spazio e al lavoro prospettico, trasmettono splendidamente questa tendenza all’iperbole straniata dalla realtà: il problema per Pippo, normalmente del tutto disinteressato al denaro e al successo, sarà quello di mantenere la sua autenticità. Stessa cosa negli altri racconti, come in quello del fantasma del pirata, un ex assassino che fa di tutto per redimersi salvo accorgersi che si è già redento da solo. In realtà l’intelligenza dello sciocco Pippo esprime una logica “altra”, che mai si esibisce e resta nascosta dietro alla maschera dell’allocco.
Francesco Boille
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Questo articolo è uscito sul numero 1470 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati