Nera e francese, Diop si muove sul confine tra razionalità bianca cartesiana e irrazionalità. E, nel dargli una dimensione metafisica e femminile, reinventa il film processuale.
Il regista iraniano ravviva la delicatezza minimale dei primi film e l’approccio concettuale degli ultimi film di Abbas Kiarostami: la realtà si fa ormai ingestibile per il cinema come per tutti noi.
Delicatissimo, godibile e molto intenso, ci parla della morte per meglio parlare della bellezza della vita.
Francesco Boille
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Questo articolo è uscito sul numero 1478 di Internazionale, a pagina 89. Compra questo numero | Abbonati