Impressionante questo libero adattamento del capolavoro di Cormac McCarthy del 2006. Sovrapponendoli alla tematica postatomica, trasfigura i cadaveri dei conflitti in Siria, Yemen, Ucraina e Gaza, che assurgono a vestigia fossili di un mondo (ormai) perduto. L’autore elimina tutti i flashback originari, ma recupera l’interrogazione sulla memoria in una potente rappresentazione che conferisce al presente la materialità del mondo arcaico, come una strada-pianeta di fossili. Un pianeta ridotto a vuota galleria d’arte degli orrori, a gigantesca installazione dell’orrore totale. È una prosaicità radicale, limbo e inferno si confondono. La scrittura di McCarthy aveva malgrado tutto una dolcezza da acquerellista. Larcenet esprime invece una durezza nel segno grafico tra il filo spinato e il minerario, il granitico. Resta la morale dell’opera originale: il bambino guida quasi il padre nel mantenere la comunione con il mondo. Perché che dio esista o no, se si abbandona “l’altro” al suo destino, resta il peggior limbo-inferno. Quello della solitudine. Larcenet, tuttavia, apre e chiude il libro con tre tavole di nuvole di cenere. Un autore-editore come lui, cultore dell’intera storia del fumetto, difficilmente non ha pensato all’astrazione nella fuliggine dell’orrore invisibile rappresentato dall’argentino Alberto Breccia in I miti di Cthulhu (Mondadori): anche questo cielo nasconde l’orrore lovecraftiano. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1561 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati