
Hugo Pratt per il programma SuperGulp, di grande successo tra bambini e ragazzi degli anni settanta e primi ottanta, fece un’intervista giocosa a bordo di un motoscafo che scivolava negli angoli nascosti della laguna veneta tra cui Malamocco, dove viveva, descrivendola con fantasia come un posto pieno di luoghi misteriosi e intrisi di potenziale avventura: un modo per comunicare, in un momento in cui tra i giovani dilagavano alienazione e droga, che non solo si può partire in qualsiasi momento con pochi soldi per luoghi lontani, ma che l’avventura è ovunque poiché è una questione di sguardo. Come nel libro coloratissimo della svedese Sara Lundberg, quasi un racconto sequenziale per immagini, dove si narra di un bambino che, mentre fa il bagno in un laghetto vicino a un fiume che passa per la città, perdendo di vista la mamma, si smarrisce nell’avventura. E così l’avventura che ha già le sue basi potenziali nei pupazzetti con cui il bimbo gioca e nella sabbia – “io sono il leopardo e tu la scimmia. E la sabbia è il mondo che facciamo”, dice alla mamma prima di perderla – diventa un’esplorazione in una natura lussureggiante, quasi panteistica, dove il fiume che attraversa la città si muta nell’Orinoco. Il confine tra realtà e immaginazione è annullato in un magma onirico di colori, ma quando tutto prende fine resta una traccia, il seme di una pianticella. Perché “l’avventura è il seme di ogni infanzia”.
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Questo articolo è uscito sul numero 1609 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati