Centri di detenzione in paesi al di fuori dell’Europa, profughi respinti in stati terzi considerati sicuri: dal punto di vista dei diritti umani, l’accordo raggiunto l’8 giugno a Lussemburgo dai ministri dell’interno dei paesi dell’Unione europea sui migranti è una catastrofe. Le loro sofferenze sembrano destinate ad aumentare.
Anche mettendo da parte le riflessioni sui diritti umani, l’accordo resta un pessimo risultato. Non si è discusso di quello che, perfino assumendo un distaccato punto di vista funzionale, servirebbe alla politica europea su questo tema: un meccanismo generale e vincolante per la ridistribuzione dei migranti tra tutti i paesi dell’Unione, così da allentare la pressione su quelli di frontiera. I ministri si sono limitati a trovare un’intesa su un meccanismo di solidarietà che lascia la possibilità di accogliere o meno le persone. Non ha funzionato finora e non funzionerà in futuro. Il fatto che gli stati che non accolgono i migranti dovranno pagare ventimila euro per ognuno di loro e partecipare al controllo delle frontiere non cambia quasi nulla. Non è neanche chiaro cosa succederà se si rifiuteranno di pagare.
Le nuove regole per velocizzare le procedure di richiesta d’asilo non sono neanche un cinico palliativo rispetto a un vero meccanismo di ridistribuzione. Dovrebbero riguardare solo pochi migranti arrivati da “paesi d’origine sicuri” e gli stati che hanno quote basse di richiedenti asilo. È anche improbabile che la nuova regola sui paesi terzi fornirà un rimedio alla sua disumanità. Negli accordi che serviranno per applicarla, stati come la Turchia si faranno pagare a caro prezzo e i negoziati andranno per le lunghe.
La ministra dell’interno tedesca Nancy Faeser può anche definire “storico” l’accordo. La verità è che senza un meccanismo di ridistribuzione vincolante, non vale niente. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1516 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati