Le manifestazioni di sgomento per la morte di Shireen Abu Akleh – la giornalista palestinese di Al Jazeera uccisa l’11 maggio durante un’operazione delle forze israeliane a Jenin, nel nord della Cisgiordania – sono giustificate e necessarie. Ma sono anche tardive e ipocrite. Solo ora siete sconvolti? Il sangue di una giornalista famosa – per quanto coraggiosa ed esperta fosse, e Abu Akleh lo era – non è più rosso di quello della studente di liceo che viaggiava su un taxi pieno di donne un mese fa, sempre a Jenin, uccisa dai proiettili dei soldati israeliani.
È così che è stata uccisa Hanan Khadour. Anche allora il portavoce dell’esercito ha cercato di sollevare dei dubbi sull’identità di chi aveva sparato: “Stiamo indagando sull’accaduto”. È passato un mese e queste “indagini” non hanno prodotto nulla, e mai lo faranno. Ma i dubbi sono stati piantati e sono germogliati nell’opinione pubblica israeliana, visto che a nessuno interessa realmente la sorte di una ragazza palestinese di 19 anni. La coscienza del paese è di nuovo messa a tacere. C’è un solo crimine commesso dall’esercito israeliano del quale la destra e la classe dirigente si assumeranno mai la responsabilità? Uno solo?
Non è ancora chiaro chi abbia ucciso la giornalista Shireen Abu Akleh. E questo è un successo della propaganda israeliana, abituata a seminare dubbi
Abu Akleh è un’altra storia, dato che era una giornalista di fama internazionale. L’8 maggio un reporter locale, Basel al Adra, è stato attaccato dai soldati israeliani sulle colline a sud di Hebron, e a nessuno è interessato niente.
Qualche giorno fa due israeliani che avevano aggredito dei giornalisti durante la guerra nella Striscia di Gaza del maggio 2021 sono stati condannati a ventidue mesi di carcere.
Che punizione sarà inflitta ai soldati che hanno ucciso, se davvero lo hanno fatto, Abu Akleh? E che punizione è stata data a chiunque abbia ordinato ed eseguito il bombardamento degli uffici dell’agenzia di stampa statunitense Associated Press a Gaza nel 2021? Qualcuno ha forse pagato per quel crimine? E che dire dei tredici giornalisti uccisi durante la guerra a Gaza nel 2014? E del personale sanitario morto durante le manifestazioni al confine con Israele nel giugno 2018, tra cui l’infermiera di 21 anni Razan al Najjar, uccisa a colpi d’arma da fuoco dai soldati mentre indossava la sua divisa bianca?
Nessuno è stato punito. Cose del genere saranno sempre coperte dall’immunità totale di cui gode l’esercito e dall’adorazione per i suoi soldati. Anche se venisse trovato il proiettile israeliano che ha ucciso Abu Akleh e i video che mostrano il volto di chi ha sparato, l’assassino sarebbe trattato dagli israeliani come un eroe al di sopra di ogni sospetto. Si è tentati di dire che per i palestinesi innocenti uccisi dai soldati israeliani sarebbe meglio essere famosi e avere un passaporto statunitense, come Abu Akleh. Perlomeno il dipartimento di stato statunitense esprimerebbe un po’ di disappunto – ma non troppo – per l’uccisione di un suo cittadino da parte di un esercito alleato.
Non è ancora chiaro chi abbia ucciso Abu Akleh. E questo è un successo della propaganda israeliana, abituata a seminare dubbi a cui i cittadini sono pronti ad aggrapparsi per trasformarli in fatti. Il resto del mondo non gli crede, di solito a ragione.
Anche quando Mohammed al Dura, un bambino palestinese, fu ucciso nel 2000 la propaganda israeliana cercò di nascondere l’identità dei suoi assassini. L’esperienza passata dimostra che i soldati che hanno ucciso la giovane donna in un taxi sono gli stessi che potrebbero uccidere una giornalista. Possono sparare a chi vogliono. Le persone che non sono state punite per l’uccisione della studente Hanan Khadour hanno continuato con Shireen Abu Akleh.
Ma il crimine comincia molto prima del momento in cui parte il colpo. Comincia con le incursioni in ogni città, campo profughi, villaggio e camera da letto della Cisgiordania. Ogni notte, quando è necessario ma soprattutto quando non è necessario. I militari diranno sempre che l’hanno fatto per “arrestare dei sospetti”, senza specificare quali sospetti e di cosa siano sospettati. La resistenza a queste incursioni sarà considerata come una “violazione dell’ordine” secondo cui l’esercito può fare quello che vuole e i palestinesi non possono fare niente, e di certo non possono fare alcuna resistenza.
Abu Akleh è morta in modo eroico, facendo il suo lavoro. È stata più coraggiosa di tutti i giornalisti israeliani messi insieme. È andata a Jenin e in molti altri territori occupati in cui loro non vanno quasi mai. Ora queste persone devono chinare il capo per rispetto e cordoglio. Ma avrebbero anche dovuto smettere di diffondere la propaganda dell’esercito e del governo sull’identità degli assassini.
Fino a prova contraria, in casi come questi l’assunto da cui partire dev’essere: l’esercito israeliano ha ucciso Shireen Abu Akleh. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1461 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati