Israele non voleva la calma, nemmeno per un momento. Le motivazioni degli agitatori erano diverse, ma condividevano lo stesso obiettivo: accendere, infiammare e far esplodere le cose. La storia ci ha già insegnato che quando Israele vuole la calma, quasi sempre sa mantenerla a meraviglia. Quando vuole un’escalation, basta aspettare e arriva. Chi non si aspettava questa ondata di violenza? Chi non l’ha vista arrivare? E d’altra parte, chi non ha fatto nulla per evitarla e invece ha solo alimentato la tensione?
Ora piangeremo di nuovo il nostro amaro destino, i razzi e gli attacchi terroristici, la violenza dei nostri vicini e le nostre vittime sacre e morte invano. Israele avrebbe potuto evitarlo, e questa volta sarebbe stato piuttosto facile.
Non volere la calma significa permettere a centinaia di coloni d’invadere a più riprese una città palestinese, consentendogli di appiccare incendi, di distruggere case e compiere assalti a loro piacimento
Quando Israele non vuole la calma, sa esattamente cosa fare. Quattro o cinque bombardamenti aerei non rivendicati contro obiettivi iraniani in Siria, un colpetto e un altro ancora alla sovranità siriana e al potere iraniano, con l’assoluta consapevolezza che a un certo punto Iran e Siria non riusciranno più a trattenersi.
Quando Israele non vuole la calma, sguinzaglia truppe in uniforme di polizia in un luogo estremamente importante per i musulmani durante il loro mese sacro. Invia la polizia a picchiare barbaramente i fedeli, immobilizzando centinaia di persone sui tappeti della moschea Al Aqsa a Gerusalemme, per umiliarle davanti alle telecamere e mostrarle al mondo arabo.
Non c’è un solo musulmano, o un qualsiasi essere umano, che possa essere rimasto indifferente alle scene sconvolgenti dentro la moschea. Certo, è possibile diffondere storie su come le persone si siano “rintanate” nella moschea, ma la verità è che molti ragazzi vogliono trascorrere il venerdì sera durante il Ramadan all’interno della moschea santa. È un loro diritto, nell’ultimo luogo sulla terra in cui i palestinesi hanno ancora un residuo di sovranità.
Picchiarli in questo modo non significa volere la calma, ma la morte. Uccidere uno studente di medicina israeliano, originario della città beduina di Hura, davanti all’ingresso della moschea e fornire una versione ridicola dei fatti senza rivelare nemmeno un briciolo di verità è un’altra provocazione. Non volere la calma significa permettere a centinaia di coloni in rivolta d’invadere a più riprese una città palestinese, consentendogli di appiccare incendi, distruggere case e compiere assalti a loro piacimento, sotto gli occhi dei soldati israeliani che non hanno mai pensato di fare il loro dovere e proteggere i palestinesi. Non consegnare nessuno dei rivoltosi alla giustizia è anche un modo per impedire la calma a ogni costo.
Un paese che non vuole la calma dissangua lentamente chi è sotto la sua occupazione. Negli ultimi mesi c’è stata a malapena una settimana senza intollerabili vittime palestinesi e poi tutti si fingono sorpresi, si chiedono perché qualcuno fa un attentato con un’auto a Tel Aviv o spara nella valle del Giordano.
Non volere la calma vuol dire inviare un numero assurdo di truppe dopo ogni attacco terroristico nei campi profughi e nelle città palestinesi, e sconvolgere la vita degli abitanti per un tempo prolungato, demolendo le case delle famiglie dei terroristi e arrestando migliaia di persone. Anche la detenzione di mille palestinesi per lunghi mesi senza processo è un modo collaudato per assicurarsi che non ci sia calma, e anche questo è un grande risultato per Israele.
Imprigionare per sempre la Striscia di Gaza, bombardare senza limiti la Siria e sottomettere crudelmente i palestinesi. Cos’altro bisogna fare per risultare guerrafondai? Le motivazioni cambiano, ma l’obiettivo resta sempre lo stesso. Ora è l’estrema destra al governo che è assetata di sangue e va in estasi ogni volta che c’è una vittima palestinese, sperando nel frattempo di ottenere tutta la terra e di realizzare una seconda nakba, una seconda “catastrofe”, come la cacciata dei palestinesi dopo la creazione d’Israele nel 1948.
Insieme agli estremisti c’è la destra vicina al primo ministro Benjamin Netanyahu, che vorrebbe annientare il movimento di protesta contro il governo, il quale potrebbe essere spazzato via solo da un altro vortice di violenze e sangue. E poi potremmo sempre dire che sono stati gli arabi. ◆ dl
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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati