Il 25 gennaio non solo le quattro soldate israeliane rapite da Hamas sono tornate a casa, ma tutto il paese è tornato in se stesso, al suo amor proprio, all’unità ingannevole, alle false celebrazioni di vittoria, alla percezione di superiorità, all’ultranazionalismo e all’istigazione alla violenza. La gioia di familiari e amici è diventata un carnevale nazionale esagerato.
Dopo un anno terribile è facile comprendere il bisogno di essere felici, anche solo per un momento, perfino la necessità di sentirsi fieri. Ma i festeggiamenti del 25 gennaio sono andati ben al di là di questo. Come se la gioia naturale per il ritorno delle soldate non bastasse, lo stato ebraico ha dovuto ammantarla di bugie. Il bisogno di fare propaganda proprio in una giornata di gioia nazionale dimostra che qualcosa di marcio bolle sotto il velo degli abbracci e delle lacrime condivise con Karina, Naama, Daniella e Liri.
Come se la gioia per il ritorno delle soldate non bastasse, lo stato ebraico ha dovuto ammantarla di bugie. Il bisogno di fare propaganda dimostra che qualcosa di marcio bolle sotto il velo degli abbracci
Il 25 gennaio ci hanno mentito. La menzogna della vittoria totale contro Hamas si è infranta di fronte a un Hamas organizzato, disciplinato e armato, autorità sovrana a Gaza, che ha tenuto una cerimonia di liberazione con tanto di palco. Se c’è stata l’esibizione di una vittoria, è stata quella di un’organizzazione che è risorta dalle ceneri e dalle rovine dopo sedici mesi di attacchi aerei, uccisioni e distruzione, ancora in piedi, viva e in ottima salute.
Ci hanno detto che era un’organizzazione nazista, crudele, mostruosa. Non solo nelle chiacchiere da strada, ma anche nei discorsi dei più importanti conduttori televisivi. La realtà è apparsa in qualche modo contraddire queste affermazioni.
La concorrenza tra chi criticava di più Hamas tra i presentatori degli studi tv è apparsa grottescamente in contraddizione con lo spettacolo consolante delle donne liberate dalla prigionia. Erano in piedi, dispensavano sorrisi, tenendo in mano dei ricordi della loro prigionia consegnati dai loro carcerieri.
Sono apparse molto diverse dai detenuti palestinesi rilasciati, almeno da alcuni di loro, che sembravano totalmente devastati. Possiamo immaginare che in futuro assisteremo a scene più crude di ostaggi israeliani rilasciati, e ovviamente non vanno prese alla leggera le sofferenze vissute dalle soldate liberate, ma non è questo l’aspetto che hanno le persone scarcerate dai presunti nazisti.
Guardateci, guardate quanto siamo belli noi israeliani, che santifichiamo la vita. Siamo disposti a pagare qualunque prezzo per la liberazione dei nostri ostaggi. Mettete a confronto questa percezione con il fatto che la cerimonia del 25 gennaio si sarebbe potuta tenere otto mesi fa, magari nei giorni successivi al 7 ottobre 2023. L’affermazione secondo cui loro santificano la morte e noi santifichiamo la vita è forse la menzogna più vile.
Dopo cinquantamila morti, la maggior parte dei quali innocenti, causati dall’esercito israeliano, non ha alcun senso sprecare parole su questa idea. Israele a malapena santifica le vite dei suoi stessi figli: con più di ottocento soldati morti in battaglia – ma anche questo dato non è confermato – sicuramente non santifica la vita di ciascun essere umano.
In Israele, però, non c’è nulla che abbia meno valore della vita di un palestinese, in guerra e nella realtà di tutti i giorni. Chiedete a Gaza qual è il valore attribuito alla vita umana dai soldati e dai piloti israeliani. Quelli che hanno sistematicamente distrutto tutti gli ospedali della Striscia, hanno sparato alle ambulanze e ucciso centinaia di operatori addetti ai soccorsi non hanno santificato la vita, l’hanno schiacciata.
Il 25 gennaio anche la solidarietà è stata falsificata fino alla nausea. Un fiocco giallo su un’auto non è solidarietà. Gli israeliani si prendono cura l’uno dell’altra? Starete scherzando. Fate un viaggio in autostrada, fate una fila da qualche parte o pensate alla contraffazione diffusa di documenti d’invalidità. Questa non è né solidarietà né cura reciproca, è il dominio del più forte; è l’ognun per sé, e nessuna nobile parola può nascondere questa realtà.
Il 25 gennaio Israele ha celebrato il ritorno di quattro ostaggi. La gioia è stata sincera, commovente. Ma il trucco era grossolano e le scenografie scadenti. Con qualche bugia in meno, la festa sarebbe potuta essere decisamente più completa. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1599 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati