In occasione degli Oscar, sul Televideo Io capitano di Matteo Garrone è descritto come un film dedicato a Francesco Schettino e alla Costa Concordia. Qui siamo oltre il refuso, oltre l’errore. È provocazione, è performance, tanto da chiedersi chi sia l’anonimo autore del gesto, il Banksy di Saxa Rubra: un pigro redattore le cui fonti giacciono tra i meme della rete? Un hacker della concorrenza? Oppure, e io tendo a questa ipotesi, è frutto di un uso disinvolto dell’intelligenza artificiale, che com’è noto pesca informazioni senza discernere? Eppure, tra quelle pagine su sfondo nero che stanno alla tv come i vinili alla musica, feticcio di chi coltiva antiche abitudini, la fusione tra la pellicola del momento e le vicende dell’improbabile marinaio arriva come un sussulto vitale. Televideo, nato quarant’anni fa, rappresentò per il servizio pubblico un anticipo di futuro: interagire con la scatola quando i telefoni avevano ancora il filo. Introdotto agli spettatori da Enzo Tortora, nel suo Portobello, Televideo ha sfornato pixel di rubriche, dalle notizie all’oroscopo alla celebre pagina 777, dedicata ai sottotitoli. Malgrado le ambizioni, ha sofferto di budget ridotti e di scarse attenzioni, condividendo con fax e cd rom la sorte che tocca alle invenzioni precoci. Per questo è facile immaginare che il Televideo affidi all’errore in forma di gesto estetico la rivendicazione del suo esistere, in un mondo distratto dal furore tecnologico. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1554 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati