Il Saturday night live compie mezzo secolo. Cominciò con George Carlin, e diventò rapidamente il palcoscenico delle voci più irriverenti e sperimentali della tv, facendo da modello ai late show di tutto il mondo. La biografia del Snl è legata alla figura del suo direttore creativo, Lorne Michaels, e rispecchia tanto i suoi pregi – su tutti quello di aver garantito libertà editoriale agli autori – quanto i suoi difetti, che il Guardian, in un editoriale meno ossequioso di altri, elenca con precisione. Una marcata condiscendenza verso i potenti, a cominciare da Trump e Musk, spesso ospiti in studio. Il sessismo: durante l’era Clinton Monica Lewinsky fu coinvolta in una serie di sketch che la esposero a ulteriore pubblico ludibrio. Il razzismo: Garrett Morris, il primo comico nero del Snl, lottò per anni prima di ottenere lo stesso rispetto dei colleghi bianchi. La censura: il famoso gesto di Sinéad O’Connor, che strappò in diretta la foto di papa Wojtyla, le costò un’esclusione definitiva, e sorte analoga toccò ai Rage Against the Machine per essersi esibiti con le bandiere degli Stati Uniti capovolte. Il classismo: l’ex autore Steven Thrasher descrive un ambiente altezzoso ed elitario, “che non sfida mai davvero il potere”. Pochi dubbi che il Snl sia il più grande laboratorio comico degli ultimi anni, ma non sarà né il primo né l’ultimo palco dove il giullare realizzerà il suo unico obiettivo: suscitare la risata, a cominciare da quella del re. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1605 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati