“L’ultima vittima della guerra in Ucraina? La lotta contro il cambiamento climatico”, diceva a fine giugno un titolo del New York Times. Nel luglio dello scorso anno la Commissione europea aveva preso una serie di decisioni con l’obiettivo di portare il continente sulla strada della neutralità climatica entro il 2050.
“L’economia dei combustibili fossili ha raggiunto il limite”, aveva detto Ursula von der Leyen, la presidente. Poco più di un anno dopo, la stessa Commissione europea sta gestendo decine di miliardi di euro di spesa per le infrastrutture e le forniture di combustibili fossili nel tentativo di compensare l’aumento dei prezzi e i tagli del gas russo.
Ne parlava la scorsa settimana Alice Hancock, corrispondente da Bruxelles del quotidiano economico Financial Times.
“L’Unione europea, che fino a ieri dipendeva dalla Russia per circa il 40 per cento del suo gas e per più della metà del suo carbone, sembra avere poca scelta”, scrive Hancock: “Molte industrie, dai produttori di fertilizzanti alle fonderie di zinco, sono state costrette a chiudere perché non riuscivano a pagare i costi del carburante. Le bollette dell’energia stanno spingendo i consumatori sulla soglia della povertà”.
Tutti insieme, i paesi europei sono al terzo posto per emissioni di gas serra dopo gli Stati Uniti e la Cina. Per questo il brusco rallentamento europeo nella transizione verde, faticosamente avviata nei mesi passati, può avere ripercussioni su larga scala.
Secondo alcuni è solo un fenomeno passeggero che non modifica gli obiettivi a lungo termine, altri invece avvertono che c’è il rischio di consolidare ulteriormente la dipendenza dai combustibili fossili. In ogni caso è un altro degli effetti della guerra scatenata da Putin con l’invasione dell’Ucraina, e in particolare dell’uso delle risorse energetiche come arma di guerra. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1478 di Internazionale, a pagina 7. Compra questo numero | Abbonati