La scienziata ungherese Katalin Karikó e il collega statunitense Drew Weissman hanno cominciato le loro ricerche sull’rna messaggero all’inizio degli anni duemila. La scoperta per cui hanno appena ricevuto il Nobel risale al 2005. E quando l’hanno fatta probabilmente mai avrebbero pensato che quindici anni dopo avrebbe consentito di sviluppare in tempi rapidi i primi vaccini contro il covid, contribuendo così a sconfiggere “una delle più grandi minacce alla salute umana dei tempi moderni”, come è scritto nella motivazione del premio.
Il biochimico André Hudson spiega su The Conversation che la ricerca di base è un tipo d’indagine che ha come obiettivo principale la comprensione di fenomeni naturali. Le applicazioni pratiche non sono la priorità, ed è giusto che sia così. Dagli antibiotici ai raggi x, la storia della scienza è piena di scoperte, a volte inaspettate, che hanno avuto effetti importanti o addirittura rivoluzionari. Ma dato che l’utilità immediata del lavoro degli scienziati può essere difficile da vedere, è facile pensare che sia uno spreco di denaro o di tempo. Per questo servirebbe una maggiore alfabetizzazione scientifica, che aiuti a capire quanto sia fondamentale la ricerca di base per le scoperte future, comprese quelle che avranno effetti importanti.
Perché gli scienziati allevano zanzare nei loro laboratori? Perché studiano gli uccelli migratori? Perché spendiamo miliardi di dollari per portare oggetti nello spazio? Perché guardiamo ai confini dell’universo e studiamo le stelle quando sono lontane milioni e miliardi di anni luce? “La ricerca spesso consiste nel vedere qualcosa di sorprendente, voler capire il perché e decidere d’indagare ulteriormente. Le prime scoperte partono sempre da una semplice domanda: ‘Come?’”. Siamo una specie che cerca risposte a cose che non conosce, conclude Hudson. E finché la curiosità farà parte dell’umanità, saremo sempre alla ricerca di risposte. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1532 di Internazionale, a pagina 7. Compra questo numero | Abbonati