Studenti della Columbia university a New York, 30 aprile 2024. (Michael M. Santiago, Getty Images)

Il board del premio Pulitzer, uno dei più noti riconoscimenti giornalistici del mondo, ha elogiato il loro straordinario impegno e la capacità di lavorare “in condizioni difficili, pericolose e con il rischio di farsi arrestare”. Il riferimento non è agli inviati in qualche zona di guerra ma ai giovani giornalisti della Columbia university, a New York, e delle altre università statunitensi che sono state occupate in solidarietà con la popolazione palestinese. Negli Stati Uniti c’è una grande tradizione di radio e giornali dei campus. Come lo Spectator, il giornale della Columbia che ha una direttrice di vent’anni, Isabella Ramírez, o come Wkcr, la stazione radio degli studenti della stessa università: “Chi ha passato la notte di martedì ad ascoltarla, avrà sentito i giornalisti descrivere, in modo dettagliato e avvincente, la terrificante invasione del campus da parte della polizia. E chi, la mattina dopo, si è svegliato e su una qualunque delle principali radio della città ha ascoltato il racconto degli stessi eventi, avrà avuto l’impressione di atterrare in un mondo completamente diverso”, ha scritto Zito Madu su The Nation. Il forte coinvolgimento ha permesso agli studenti giornalisti di fare la differenza, anche nella qualità delle cronache. Non hanno a disposizione le risorse dei grandi mezzi d’informazione e il loro stile non sempre rispetta tutti i canoni del giornalismo anglosassone, “però hanno comunicato il calore di una vicenda umana, riuscendo a cogliere i meccanismi del potere nel momento stesso in cui si dispiegavano: il ruolo della polizia, la violenza fisica, le minacce, il disprezzo per chiunque si opponesse”, ha scritto ancora Madu. “Hanno scelto l’onestà e l’impegno per la verità invece della comodità, e questo ha messo in luce fino a che punto chi era contro di loro si sarebbe spinto per schiacciare ogni dissenso”. Come ha detto Jelani Cobb, il preside della scuola di giornalismo della Columbia, “non saremmo mai riusciti a fargli fare una prova d’esame così approfondita”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1562 di Internazionale, a pagina 3. Compra questo numero | Abbonati