Haaretz è uno dei più antichi quotidiani israeliani. Non è il più venduto nel paese, ma è uno dei più noti all’estero. È un giornale progressista e da sempre critico con il governo di Benjamin Netanyahu. Chi legge Internazionale lo conosce bene: è il quotidiano di Amira Hass e di Gideon Levy. Domenica il consiglio dei ministri israeliano ha approvato una proposta che impone a tutti gli enti finanziati dal governo di astenersi dal comunicare con Haaretz o dal pubblicare annunci pubblicitari sul giornale. È una risposta, dice la nota, ai “molti editoriali che hanno danneggiato la legittimità di Israele e il suo diritto all’autodifesa, e in particolare alle osservazioni fatte a Londra dall’editore di Haaretz, Amos Schocken, in appoggio al terrorismo e a favore di sanzioni contro il governo”. Schocken aveva detto che “Netanyahu non si preoccupa d’imporre un crudele regime di apartheid alla popolazione palestinese. Per difendere gli insediamenti e combattere i combattenti per la libertà palestinesi, che Israele chiama terroristi, non tiene conto dei costi sostenuti da entrambe le parti”. Schocken aveva poi precisato che parlando di “combattenti per la libertà” non si riferiva ad Hamas. Ma le sue dichiarazioni sono servite da pretesto. Commentando la decisione di Netanyahu, Haaretz ha detto che “è un altro passo verso lo smantellamento della democrazia israeliana. Come i suoi amici Putin, Erdoğan e Orbán, Netanyahu vuole mettere a tacere un giornale critico e indipendente”. Per il quotidiano il danno non è solo economico. La decisione è grave anche perché da oggi chiunque in Israele dipenda dallo stato sa che avere a che fare con Haaretz, perfino leggerlo, è sgradito al governo. Netanyahu ha indicato un obiettivo politico, un altro nemico da combattere. E questa volta è un giornale. Da un certo punto di vista, però, la sua decisione è anche un segno di debolezza: ogni potere che si definisce democratico e che decide di ricorrere alla censura contro una voce critica sta dicendo che non ha altri argomenti per far valere le sue ragioni. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1591 di Internazionale, a pagina 9. Compra questo numero | Abbonati