L’intelligenza artificiale può solo migliorare, ripetono i più ottimisti esperti di tecnologia. Dovremmo chiedergli che pensano dell’annuncio di Google della scorsa settimana.
L’azienda di software ha cancellato l’impegno preso nel 2018 a non usare l’intelligenza artificiale per scopi militari, in particolare per le armi e la sorveglianza.
Demis Hassabis, che guida Google DeepMind, ha spiegato che questo cambiamento è un “progresso” inevitabile, non un compromesso, e che Google continua a comportarsi in modo “audace e responsabile”. Ha aggiunto poi che “l’intelligenza artificiale sta diventando pervasiva come gli smartphone” e che questo richiede un nuovo atteggiamento, soprattutto in un contesto di forte competizione globale.
Scrive il saggista statunitense Seth Godin che “in un brutto film di fantascienza degli anni cinquanta c’erano zaini a propulsione, mantelli dell’invisibilità e pistole a raggi”. Oggi invece abbiamo un dispositivo che sta in una tasca e grazie a cui “possiamo connetterci con più di un miliardo di persone”.
Un dispositivo che “sa dove siamo e dove andiamo. Che contiene tutti i nostri contatti, la somma totale del sapere finora pubblicato, un computer artificialmente intelligente che capisce e parla nella nostra lingua, una delle migliori fotocamere mai sviluppate, una videocamera con montaggio incluso, un traduttore universale e un sistema in grado di misurare la frequenza cardiaca”. Con questo dispositivo possiamo fare cose come “consultare in tempo reale prezzi o dati, ascoltare attori che ci leggono audiolibri e identificare canzoni, piante o uccelli. Possiamo leggere le recensioni dei ristoranti o sapere qual è la reputazione di un medico o di un avvocato. Possiamo tracciare la posizione dei nostri cari e chiamare un taxi con un tasto”.
E naturalmente, conclude Godin, lo usiamo “per litigare. E per guardare brevi video assurdi”.
Come dire, la tecnologia offre spesso grandi opportunità, ma abbiamo l’innata capacità di usarla anche per fare cose molto stupide. E dannose, nel caso delle armi. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1601 di Internazionale, a pagina 3. Compra questo numero | Abbonati