Joan Crawford e Clark Gable in La danza di Venere di Robert Z. Leonard, 1933. - United Archives/Getty Images
Joan Crawford e Clark Gable in La danza di Venere di Robert Z. Leonard, 1933. (United Archives/Getty Images)

Per dormire meglio bisogna smettere di leggere prima di andare a letto. La bicicletta fa male alla salute. Ascoltare la radio può danneggiare le capacità cognitive.

Pessimists archive è un sito che raccoglie esempi storici di resistenza al cambiamento tecnologico, sociale o culturale. “Le paure per le cose vecchie quando erano nuove” è il suo sottotitolo.

Sullo Spectator di Londra del 1903 si spiegava che diverse ricerche mediche erano arrivate alla conclusione che leggere a letto era pericoloso “come assumere droghe”.

Sul New York World del 1897 si raccontava che in un convegno di compagnie d’assicurazione era stata valutata la necessità di non stipulare polizze a chi andava in bicicletta perché a rischio di albuminuria. Problemi anche per chi giocava a scacchi o faceva le parole crociate.

La radio, poi, era accusata di ogni male, e perfino il papa si era espresso contro l’abuso di ascolto radiofonico. Sul Cincinnati Enquirer del 1943 un reverendo parlava di una patologia specifica, il radio perpetuum, il cui sintomo più evidente era un lento ma inesorabile “ammorbidimento cerebrale”.

Nel 1929 la Federazione americana dei musicisti si era mobilitata contro il crescente ricorso alla musica registrata nei cinema al posto dei musicisti dal vivo.

E dopo il famoso radiodramma del 1938 di Orson Welles in cui si simulava la cronaca in diretta dello sbarco dei marziani sulla Terra, tutti i principali quotidiani statunitensi avevano parlato di un’ondata di panico che aveva attraversato il paese.

Ma non era vero. Un articolo di Slate del 2013 spiegava che il radiodramma era stato ascoltato da poche persone e che all’origine degli articoli c’era, realisticamente, la volontà di screditare la radio, all’epoca un mezzo di comunicazione piuttosto recente e visto dalla stampa come un diretto concorrente.

Chissà quali delle preoccupazioni sulle nuove tecnologie di oggi finiranno tra cent’anni su Pessimists archive. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1602 di Internazionale, a pagina 3. Compra questo numero | Abbonati