Nel 1998 Angela Davis, la militante per i diritti civili che ventotto anni prima era stata radiata dall’università della California di Los Angeles a causa della sua appartenenza al Partito comunista degli Stati Uniti e per i suoi “discorsi infiammati”, pubblicò queste ricerche su tre figure cruciali e diverse della musica afroamericana: Ma Rainey (1886-1939), considerata la “madre del blues”; Bessie Smith (1894-1937), che la affiancò spingendo in avanti questo genere musicale; e Billie Holiday (1915-1959) che nella generazione successiva diventò la più influente cantante di jazz.
La persuasiva tesi era che le canzoni di queste artiste sono fonti a pieno titolo per comprendere le relazioni di genere, la visione della sessualità femminile e più in generale i rapporti sociali delle donne nere appartenenti alle classi popolari nel primo novecento.
Analizzando con finezza non solo le parole, ma anche lo stile del cantato (che le permette di includere nel corpus interpretazioni di brani già esistenti), Davis mostra come la musica blues fornì agli afroamericani appena liberati dalla schiavitù, in particolare alle donne, una forma per esprimere le loro idee sulle relazioni amorose, che per la prima volta da generazioni, diventavano una scelta libera, ma anche sul matrimonio, l’omosessualità, i rapporti con i bianchi e i loro modelli. Il libro contiene molti testi originali che sono illuminati di luce nuova. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1465 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati