Recentemente si è tornato a parlare del caso di Giuseppina Ghersi, savonese di 13 anni, torturata, “forse violentata” e infine uccisa dai partigiani perché Mussolini l’aveva encomiata per un tema scolastico. L’estrema destra ha pubblicato una foto in cui appariva umiliata, con una M sulla fronte, e ha chiesto che a lei fosse dedicata una strada.
In questo libro il collettivo Nicoletta Bourbaki, nato nella galassia Giap dei Wu Ming per indagare sulle falsificazioni storiche, pubblica i risultati di un’ampia ricerca su di lei. Sulla base di numerose fonti d’archivio, l’uccisione è contestualizzata alla luce delle relazioni di Ghersi con i repubblichini e delle sue delazioni.
La lettura di libri e materiali più recenti fa poi emergere come a partire dagli anni novanta il caso fu riesumato e riscritto, anche per mezzo di prove false (come la foto, scattata altrove), perché da una drammatica storia di guerra emergesse, depurata, la semplice vicenda di un martirio.
L’inchiesta è preceduta da due capitoli che servono a metterla in prospettiva: un’antologia critica di presunte violenze partigiane realizzata grazie all’archivio del Corriere della Sera che mostra come, dopo qualche decennio di tregua, negli anni ottanta cominciò a crescere l’attenzione per questi casi; un’analisi sull’uso politico del discorso sullo stupro e sull’oppressione delle donne nella cultura fascista. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1489 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati