Da sempre le guerre sono un oggetto privilegiato per studiare il comportamento degli uomini. Ma il loro studio apre più questioni di quante ne chiuda: fino a quando bisogna risalire per coglierne le cause? Il loro svolgimento è determinato dagli individui o dalle tradizioni dei popoli? Per comprenderle dobbiamo assumere il punto di vista dei belligeranti o possiamo servirci di categorie esterne? Su questi problemi riflette Marshall Sahlins, grande antropologo statunitense morto nel 2021, studioso dell’economia dell’età della pietra, delle strutture di parentela, della regalità, maestro di David Graeber. Lo fa paragonando la guerra del Peloponneso raccontata da Tucidide, in cui si affrontarono Atene e Sparta alla fine del quinto secolo avanti Cristo, con la guerra che combatterono nella seconda metà dell’ottocento Rewa e Bau, nelle isole Figi, in Polinesia. Il confronto è condotto con sapienza, accuratezza e ironia, senza ingenuità e scorciatoie metodologiche. Rivela molte similitudini (lo scontro tra una potenza navale e una terrestre, un intervento esterno risolutore, lo scoppio di una guerra civile), ma anche diversità importanti. Sahlins si prende il tempo per digressioni su Aristotele e il baseball, Flaubert e il caso di Elián González, e costruisce così una teoria su come interagiscono strutture culturali e contingenze storiche. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1540 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati