A più di tre mesi dalla nuova esplosione del conflitto in Palestina e a quasi due anni dall’invasione dell’Ucraina, l’orribile guerra si ritaglia spazi sempre più ampi insinuandosi nella vita e nella testa delle persone, anche di quelle che sopravvivono lontane dal fronte. Invita a non darla per scontata e a ripensarla questo saggio uscito l’anno scorso in Francia, ora tradotto con un’utile intervista-aggiornamento. Secondo Frédéric Gros, filosofo della politica, negli ultimi anni non abbiamo assistito a un “ritorno della guerra”, ma a un’evoluzione più complessa in cui, dopo la guerra fredda, sono seguite, dal 2001, delle “guerre globali” (Iraq, Afghanistan) e in seguito, dal 2011, delle “guerre di caotizzazione” (Siria, Libia, Yemen) che complessivamente hanno rimesso in causa princìpi etici e giuridici che parevano solidi. È dunque necessario ripercorrere le possibilità e i paradossi che comporta definire una guerra morale o giusta, nonché cogliere le contraddizioni della sua relazione con lo stato e infine riflettere sulla nozione di “guerra totale”. Solo a questo punto l’autore si pone la domanda del titolo e, passando per una disamina delle risposte fornite da Hobbes (avidità, paura, vanagloria), termina rifiutando l’idea della guerra come istinto umano inestirpabile, lanciando al lettore un pallido lampo di ottimismo che non squarcia il nero della copertina. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1546 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati