Da qualche anno il politologo Olivier Roy – che ci ha insegnato come il radicalismo islamico non sia un ritorno al passato, ma un fenomeno nuovo legato agli sviluppi della globalizzazione – sta allargando la prospettiva per comprendere cosa accade al mondo. In questo libro appassionante, attraverso un vasto giro di orizzonte delle questioni contemporanee più spinose (tra le altre: il populismo, gli abusi, le identità di genere), fornisce un’utile chiave di lettura. Secondo lui, quella che abbiamo vissuto negli ultimi cinquant’anni è stata una “crisi della cultura”, intesa sia come sistema di riferimenti sia come corpus di autori. Effetto complessivo di alcune trasformazioni profonde (l’affermazione “dell’individuo desiderante”, internet, il capitalismo neoliberista e la deterritorializzazione), questo processo di “deculturazione” ha fatto sviluppare tante diverse (sotto)culture slegate tra loro, i cui rappresentanti si capiscono reciprocamente solo usando sistemi di classificazione finiti, decontestualizzati e non contraddittori. Così in ambiti diversissimi, al di là delle opposizioni apparenti tra conservatori e progressisti, si va affermando una condivisa richiesta di normatività, una “giurisprudenzializzazione della legge” che riconduce tutto a casi particolari, invocata come unico strumento in grado di alleviare e riparare le sofferenze che, inevitabilmente, continuano. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1583 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati