A contribuire in modo determinante alla crisi della democrazia che osserviamo ogni giorno è un fattore che tendiamo a non considerare abbastanza: le condizioni di lavoro in cui si trova la maggior parte delle persone, oggi più precarie e svantaggiose di quanto fossero cinquant’anni fa. È questa la tesi di Axel Honneth, filosofo e scienziato sociale tedesco, allievo di Jürgen Habermas, esponente della terza generazione della “scuola di Francoforte” e oggi professore alla Columbia university. Secondo lui, solo “una divisione del lavoro trasparente ed equamente regolamentata” permette l’esercizio della volontà democratica. Il libro si sviluppa in tre parti. La prima presenta tre paradigmi critici che a partire dall’ottocento hanno messo in luce i problemi della forma assunta dal lavoro nella società capitalista (quello marxista che sviluppò il concetto di “alienazione”, quello liberale e quello democratico, che l’autore riprende e rielabora). La seconda è una ricostruzione storica dei modi in cui il lavoro è stato (o non è stato) regolato dall’ottocento a oggi. La terza infine avanza proposte politiche per uscire dal circolo vizioso tra lavori incapaci di valorizzare la vita di chi li svolge e crisi della partecipazione politica: alcune volte a superare il mercato del lavoro, altre tese invece ad attenuarne, dall’interno, le caratteristiche più dure. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1609 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati