A introdurre l’israeliano Yehoshua ai lettori italiani furono Giuntina e Linea d’ombra, poi arrivò Einaudi, che ha proposto tutti i suoi romanzi e ora presenta l’ultimo, svelto e un po’ disordinato. Protagonista è una ragazzina ebrea italiana di dodici anni, Rachele, prima del suo bat mitzvah, con la sua complicata famiglia, i suoi affetti ma anche le sue riflessioni sui rapporti tra ebraismo e cristianesimo. Intorno, un paese di montagna e di mare, che l’autore conosce e che ama e di cui, attraverso Rachele, narra le affinità e le diversità, gli scambi e la storia, con un fondo “buonista” che si rifà esplicitamente al Cuore di De Amicis, da lui molto amato.
Rachele si confronta con la famiglia, con un ambiente variegato e con un padre che, anche se non ne è del tutto cosciente, morirà presto di cancro, ma anche con uno ieri e un oggi e un domani di diversità attive, tra le quali va cercato e trovato un equilibrio. La figlia unica non è il miglior libro di Yehoshua, che ci sembra invecchiato prima del suo grande rivale Amos Oz, e sembra quasi la base per un romanzo più ampio dell’autore che tanti anni fa scrisse il luminoso saggio Ebreo, israeliano, sionista: concetti da precisare (Edizioni e/o). L’interesse del suo ultimo lavoro è in un confronto tutto italiano non tra culture ma tra fedi diverse e dentro una stessa cornice e umanità. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1436 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati