Quest’uomo è un “pentito”. Non perché abbia commesso un crimine o perché abbia accusato i suoi vecchi compagni mafiosi: la sua colpa è aver riversato per anni odio sulle onde radio. Per un decennio Stéphane Gendron è stato uno dei più seguiti conduttori radiofonici del Québec. Di formazione avvocato, ex sindaco della piccola città di Huntingdon, Gendron ha definito l’ex primo ministro Jean Charest “assassino”, “bugiardo” e imbecille”, ha paragonato gli israeliani a “nazisti dei tempi moderni”, difeso la pena di morte (“bisogna uccidere gli assassini”), insultato una magistrata e bruciato in diretta una sentenza giudiziaria.
“Ero il classico uomo bianco arrabbiato”, sintetizza Gendron, 50 anni, dalla voce profonda. “Per molto tempo i programmi spazzatura e l’aggressività sono stati la mia droga”. I suoi capi lo adoravano – dicevano che portava “una boccata di aria fresca” – ed era molto amato dagli ascoltatori. “Erano tutti convinti che alla radio dicessi ad alta voce quello che nessuno aveva il coraggio di dire”.

Gendron non lavorava per delle radio qualunque ma per le cosiddette “radio spazzatura” del Québec: emittenti private dove alcuni conduttori diventati star parlano per ore in diretta commentando l’attualità nel modo più provocatorio possibile. Il principio è semplice: un gruppo di conduttori molto polemici invita gli ascoltatori a criticare tutto, ci si dà del tu e il vocabolario degenera spesso nella volgarità.
Oggi la più popolare di queste radio è Choi-Fm, soprannominata “Radio X”. Trasmette a Québec, il capoluogo della provincia, e nei dintorni. In alcuni momenti della giornata ha più ascoltatori di Radio Canada, l’emittente pubblica. Dominique Payette, ricercatrice in scienze dell’informazione all’università Laval di Québec, preferisce non usare la parola trash, spazzatura. Parla invece di “radio d’assalto”. Secondo lei “non si tratta di un giornalismo d’opinione ma di uno spazio pubblico in cui i fatti importano poco e dove si dà sfogo a ogni sorta di rancore. I politici sono continuamente insultati e intere comunità sono criticate senza nessun rispetto per il principio d’imparzialità”.
Negli ultimi vent’anni i conduttori più famosi di Radio X – come Dominic Maurais, Jeff Fillion e Denis Gravel – hanno preso di mira gli ecologisti, le femministe (“gruppi di pazze che si alleano con i comunisti”), i nativi canadesi (“bande di selvaggi”), i musulmani (“non siamo fatti per vivere insieme”), gli intellettuali, le persone che vanno in bicicletta e i poveri.
Il virus in palestra
Il loro modello sono le radio reazionarie e provocatrici nate negli Stati Uniti dopo il 1987, quando il governo statunitense cancellò la Fairness doctrine, la regola che obbligava a parlare di fatti controversi in modo onesto ed equilibrato. Nel 2016 quelle radio hanno contribuito al successo di Donald Trump.
La pandemia di covid-19 ha permesso a Radio X di lanciarsi in una nuova battaglia. Dal marzo 2020 è diventata la tribuna di tutti quelli che contestano le misure sanitarie adottate dal governo. I contrari all’uso delle mascherine, gli scettici dei vaccini e tutti i complottisti convinti che il virus sia un’invenzione della “cricca pedo-satanica” che dirige il mondo hanno difeso ai microfoni di questa radio la loro visione “alternativa”. Tra i più ascoltati c’è Alexis Cossette-Trudel, noto complottista del Québec, i cui account Twitter e Facebook e il canale YouTube sono stati sospesi. La radio ha sistematicamente rilanciato gli appelli di chi protestava contro le mascherine davanti al parlamento locale.
Questi argomenti hanno attirato un vasto pubblico, anche perché l’atteggiamento legalitario dei mezzi d’informazione tradizionali lasciava poco spazio a chi cercava di mettere in discussione la gestione della crisi sanitaria. “Mettendo insieme tutti quelli che si sentono alienati ed emarginati dalle élite di Québec e di Montréal, queste radio fanno da cassa di risonanza di tutte le proteste”, dice Colette Brin, direttrice del Centro di studi sui mezzi d’informazione. “Per queste emittenti è una questione commerciale più che ideologica. Possono farsi notare in un panorama dell’informazione ormai saturo”.
Ma di recente Radio X è stata presa di mira per aver causato un incidente sanitario legato al covid. È cominciato tutto quando ha aperto i suoi microfoni a Dan Marino, direttore di una palestra a Québec, radicalmente contrario a tutti i “diktat imposti contro questa grossa influenza”. Una sorta di eroe dell’insurrezione sanitaria. L’8 marzo 2021 il governo provinciale ha dato il via libera alla riapertura delle palestre, ma Marino l’ha fatto senza rispettare una serie di norme, tra cui l’obbligo di portare la mascherina e di mantenere il distanziamento fisico. Tre settimane dopo il numero di contagi a Québec è esploso, al punto che il comune ha deciso di imporre un nuovo lockdown. Le autorità sanitarie hanno registrato 506 nuovi casi legati alla palestra di Marino: 208 persone si sarebbero contagiate nella struttura e uno dei clienti, un uomo di 40 anni, è morto per le conseguenze della malattia. Radio X ha subito cancellato dal proprio sito gli interventi di Marino, ma la sua responsabilità è ormai riconosciuta.

Il collettivo Sortons les poubelles (Tiriamo fuori la spazzatura), un gruppo di studenti, professori e sindacalisti nato nel 2012 per contrastare questi mezzi d’informazione, si è rivolto alla giustizia perché indaghi sul ruolo dell’emittente nella vicenda. “Dan Marino avrebbe agito in questo modo se non avesse avuto il sostegno entusiasta di Radio X?”, si chiede Etienne Lantier, il portavoce del collettivo, che preferisce usare uno pseudonimo per paura di essere attaccato dagli ascoltatori: “Dall’inizio della pandemia questi conduttori, diventati dei guru, hanno moltiplicato gli attacchi. La loro strategia di disinformazione ha avuto delle conseguenze concrete, hanno giocato con la vita delle persone”.
La storia di Radio X, fondata nel 1976, è piena di incidenti. Nel 2017, dopo un attentato contro la Grande moschea di Québec che causò sei morti, un ex agente dei servizi segreti canadesi accusò “alcuni conduttori radiofonici di avere le mani sporche di sangue”, perché avevano contribuito a creare un clima d’odio contro i musulmani. In quell’occasione alcuni dirigenti politici della provincia denunciarono le invettive diffuse dalla radio.
Poi è arrivata la crisi sanitaria, e nuove voci si sono levate per criticare la campagna di disinformazione dei conduttori. Régis Labeaume, sindaco di Québec, ha detto: “Questa volta hanno passato il segno. Sapevamo che è una radio razzista, sessista e omofoba, però cercava di non esagerare. Ma con la pandemia è diventata il punto di riferimento dei complottisti, di chi nega la realtà della pandemia”.
Nell’autunno 2020 il comune di Québec ha smesso di comprare spazi pubblicitari della Rnc Media – il gruppo canadese proprietario di diverse stazioni radio e tv, tra cui Radio X – e l’iniziativa è stata seguita anche da altri importanti inserzionisti. “I proprietari di questa radio vogliono fare soldi combattendo contro la sanità pubblica? Possono farlo, ma io posso smettere di farli arricchire con i soldi pubblici”.

Catherine Dorion, deputata di sinistra del parlamento del Québec, è stata tra le prime a dire che queste trasmissioni sono una minaccia per la democrazia. Racconta quanto sia pericoloso combatterle: chi le contesta viene querelato e i conduttori gli scatenano contro gli ascoltatori. “Facendo leva su un’estrema radicalizzazione, sulle calunnie e sull’insulto, queste radio alimentano le tensioni e contribuiscono a rovinare il clima sociale”. Maxime Pedneaud-Jobin, sindaco di Gatineau, una grande città del Québec vicina alla capitale federale Ottawa, è stato preso di mira dal conduttore di un’altra radio locale, controllata dal gruppo Cogeco. “Ha cominciato ad attaccare pesantemente me, i consiglieri municipali e perfino i funzionari della città. Ho visto un deputato mettersi a piangere davanti a me, umiliato dagli ignobili commenti su di lui lanciati in radio e circolati sui social network”.
Nel 2018 Pedneaud-Jobin ha scelto di boicottare il principale programma di questo conduttore. Oggi chiede al consiglio della stampa, l’ordine dei giornalisti del Québec, di fare pulizia tra le proprie file per “proteggere la credibilità dei mezzi d’informazione più seri, ma anche per evitare che i cittadini rinuncino a fare politica per paura del linciaggio mediatico che potrebbero subire”.
Il direttore di Choi Radio, Philippe Lefebvre, non ha voluto rilasciare dichiarazioni a Le Monde – e nemmeno i conduttori – ma ha difeso la sua linea editoriale ai microfoni della radio, quando è stata accusata di mettere in pericolo la vita dei cittadini: “Choi è colpevole solo di una cosa: di fare delle domande e di fare della radio per tutti. Noi facciamo il nostro lavoro e continueremo a farlo”. In altre parole si appella alla libertà di stampa contro il rischio di censura.
Nel 2004 la radio, già minacciata di sospensione dall’organo di controllo della radiodiffusione per le sue “affermazioni offensive”, si era difesa con lo slogan “Libertà di espressione, grido il tuo nome” e aveva organizzato una manifestazione con 50mila persone a Ottawa. Era riuscita a sopravvivere e a conquistare nuovi ascoltatori.
Percorsi opposti
Dopo essere stato in terapia e aver realizzato dei documentari che lo hanno aiutato a estirpare la violenza che era in lui, il “pentito” Stéphane Gendron si è rifugiato nella sua fattoria di Montérégie e si è definitivamente lasciato alle spalle il suo passato di “commentatore dalle risposte semplicistiche”. Lo scorso aprile ha firmato un manifesto lanciato da diversi personaggi di spicco intitolato “Libertà di oppressione”, per denunciare “l’aumento della rabbia, dell’intimidazione e della disinformazione che caratterizza alcuni mezzi d’informazione del Québec”, e per spingere le autorità di regolamentazione, finora timide, a prendere provvedimenti.
Nel frattempo Éric Duhaime, suo ex collega e influente commentatore di Radio X, ha deciso di entrare in politica. È stato eletto capo del Partito conservatore del Québec ed è convinto di poter trasformare i suoi ascoltatori in elettori. ◆ adr
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Questo articolo è uscito sul numero 1418 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati