Ultimamente il traffico è stato più intenso del solito a Lok Ma Chau, un villaggio al confine nord di Hong Kong. Grandi camion con a bordo i lavoratori della Cina continentale fanno la spola da e verso la zona perlopiù paludosa dove stanno costruendo un centro temporaneo per i pazienti con il covid-19. Dal punto di vista logistico questa confusione sarebbe stata inimmaginabile un anno o addirittura un mese fa.
Hong Kong è separata dalla città di Shenzhen da un fiume tortuoso. Ma all’inizio di marzo è stato costruito un ponte provvisorio che le collega. Immagini satellitari mostrano che le fondamenta sono state gettate pochi giorni prima che il governo di Hong Kong annunciasse il progetto. Insieme alle strutture per il covid-19 di Hong Kong piene di medici e infermieri provenienti dalla Cina continentale, l’incrocio a due corsie nel quartiere più a nord della città è la manifestazione concreta della riduzione della distanza tra Pechino e il territorio semiautonomo.
Quando l’ex colonia britannica è stata restituita alla Cina nel 1997, la formula “un paese, due sistemi” doveva garantire alla città di conservare per cinquant’anni diritti e libertà non concessi oltre confine, mantenendo il suo status di centro globale e libero nel cuore dell’Asia. Ma il governo di Pechino ha subito tentato di riportare Hong Kong sotto la sua ala. Per rilanciare l’economia in declino dopo l’epidemia di sars del 2003, Pechino ha facilitato l’afflusso di turisti della Cina continentale verso Hong Kong. Questo ha creato una pericolosa dipendenza della città dal turismo transfrontaliero. Nel 2012, con il sostegno di Pechino, Hong Kong ha proposto corsi di educazione patriottica che hanno scatenato proteste. La legge sulla sicurezza nazionale, una risposta alle grandi manifestazioni del 2019 che chiedevano la garanzia delle libertà previste dalla costituzione, è stata approvata da Pechino un anno dopo e promulgata a Hong Kong senza essere esaminata dal parlamento locale. La legge ha permesso l’arresto di decine di attivisti per la democrazia. Ma c’è voluta una pandemia, più precisamente la contagiosa variante omicron, perché la presenza cinese a Hong Kong si facesse sentire come mai prima.
Alla fine di febbraio Hong Kong ha annunciato che avrebbe invocato lo stato d’emergenza perché la città potesse “usare l’aiuto della madrepatria” e “avviare velocemente misure fondamentali contro la pandemia”. All’Asia world expo, una struttura per i pazienti con il covid allestita in un centro congressi, oggi gli anziani sono curati da medici e infermieri della Cina continentale, che in virtù dell’emergenza non hanno dovuto sostenere gli esami richiesti di solito a chi non si è formato a Hong Kong. Per aiutare il personale arrivato dal continente, inoltre, le autorità hanno fatto sapere che la lingua dei computer per registrare le informazioni sui pazienti è stata cambiata dall’inglese al cinese.
Il 25 marzo, durante una conferenza stampa, la leader del governo locale, Carrie Lam, ha annunciato che la città avrebbe ricevuto dalla Cina continentale kit di test rapidi, mascherine e il farmaco tradizionale cinese lianhua qingwen. Il prodotto è iscritto al registro farmaceutico della città, ma è stato segnalato dalle autorità sanitarie di Singapore e degli Stati Uniti per essere stato pubblicizzato con affermazioni non verificate scientificamente. “Pechino sta cercando di trasformare Hong Kong in un’altra città cinese”, spiega Lynette Ong, docente di scienze politiche all’università di Toronto. “La pandemia le dà un motivo legittimo per farlo”.
◆ Il 28 marzo 2022 a Shanghai, epicentro della peggior crisi di covid-19 in Cina (3.450 casi asintomatici su 25 milioni di abitanti il 27 marzo), è cominciato il lockdown in due fasi: fino al 1 aprile sarà in vigore nella parte a est del fiume Huangpu e dal 1 aprile toccherà alla parte occidentale. Nel frattempo tutti sono sottoposti a tampone. Se i contagi diminuiranno, scrive Nature, è probabile che Pechino si concentrerà sulle terze dosi di vaccino per gli anziani. Dovrebbe imparare dal caso di Hong Kong, dove la campagna vaccinale ha fallito e di recente c’è stato il record mondiale di morti per covid.
Oltre alla costruzione del centro per il covid a Lok Ma Chau, Pechino ha già contribuito a completare sei strutture per pazienti con sintomi lievi o assenti. La Cina e Hong Kong sono tra gli ultimi posti al mondo che ancora isolano o ricoverano pazienti con il covid-19 e in condizioni stabili. Invece di assegnare i lavori attraverso una gara d’appalto, la costruzione di queste strutture è stata affidata alla Chinese state construction engineering, un’azienda statale cinese. Il 24 marzo, alla cerimonia d’inaugurazione dell’ultimo di questi centri, gli alti funzionari di Hong Kong hanno guardato sull’attenti un filmato che dipingeva come eroi alcuni manovali pronti a lavorare fino allo stremo. In sottofondo c’era una canzone in mandarino, e non in cantonese, la lingua parlata a Hong Kong. “Le dimensioni di questi progetti e la rapidità con cui sono stati completati sono senza precedenti”, ha detto Lam. “Tutto questo entrerà nella storia della lotta al covid-19 di Hong Kong”.
Sotto gli occhi di tutti
A quasi tre anni dal più grande movimento di massa dai tempi della restituzione della città alla Cina, gli effetti dell’inquietante atteggiamento di Pechino sono stati percepiti in molte università, nella società civile e nelle redazioni giornalistiche indipendenti. “In passato c’era un abisso tra quel che avveniva a Hong Kong e quello che succedeva oltre confine, nella Cina continentale”, spiega Jeffrey Wasserstrom, docente di storia all’università della California a Irvine, ed esperto di Hong Kong. Ora quel divario sta rapidamente sparendo. E mentre la città si prepara ad accogliere un gruppo di professionisti di medicina cinese assunti per i nuovi centri di cura, e ad aprire altre strutture costruite dagli operai cinesi, quest’assimilazione è più che mai sotto gli occhi di tutti. “Il modo in cui la pandemia è stata gestita dalle autorità di Hong Kong ha dimostrato che la formula ‘un paese, due sistemi’ non è che una pallida ombra di quello che era un tempo”, conclude Wasserstrom. ◆ ff
Questo articolo è frutto di una partnership tra Hkfp e Guardian News and Media. È uscito anche sul Guardian con il titolo How Covid helped China tighten its hold on Hong Kong.
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Questo articolo è uscito sul numero 1454 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati