Da quando hanno riconquistato il potere nell’agosto del 2021, i taliban si sono dati da fare per cancellare le donne dalla vita pubblica. Grazie a una rete intricata di leggi e normative hanno negato alle afgane accesso all’istruzione, al mercato del lavoro e a quasi ogni altro aspetto della vita fuori dalle loro case. Quelle abbastanza coraggiose da scendere in piazza per protestare sono state picchiate, arrestate e torturate.

Nonostante i livelli di repressione degni di una distopia, le afgane continuano a mostrare una notevole resilienza. Non potendo partecipare alla vita pubblica, si rifugiano nella sfera online, usando social media come X e Facebook per sfidare il dominio dei taliban. Secondo un nuovo rapporto dell’ong Afghan witness, le donne ricorrono ai social media, e in particolare a Instagram, per fare piccoli commerci, dare spazio alla loro creatività e in generale per esprimersi, spesso con enormi rischi.

La crescita di Instagram in Afghanistan negli ultimi anni è rilevante: su cento account analizzati, 86 sono stati aperti dopo l’agosto del 2021. Le intervistate hanno spiegato di essersi riversate sulla piattaforma in reazione alle politiche repressive del governo. Alcune erano state costrette a lasciare gli studi universitari o il lavoro, e per loro il social media è una fonte di sostentamento economico. Altre hanno aperto un account semplicemente per fare qualcosa ed esprimersi.

I contenuti che condividono sono vari e spesso fonte d’ispirazione per altre donne: c’è chi mostra la propria quotidianità o chi condivide post motivazionali o promuove attività locali. Tante hanno avviato piccole imprese online, spesso vendendo prodotti fatti a mano, monili, abbigliamento, candele o altro. Mentre l’economia afgana affonda, queste attività sono diventate un’ancora di salvezza per molte famiglie. Le afgane che usano i social media, però, devono affrontare anche sfide enormi. Quasi tutte ammettono di temere per la loro sicurezza e per le rappresaglie dei taliban, che siano multe, percosse o il carcere. Molte evitano di mostrare il volto nei post, mentre altre prendono delle precauzioni in più per nascondere la loro identità quando escono, o semplicemente cercano di stare il più possibile in casa. “Non potete immaginare la paura che proviamo quando postiamo le nostre foto”, dice un’influencer.

Istruzione vietata

◆ Il 22 marzo 2025 è cominciato il nuovo anno scolastico in Afghanistan, che ha coinciso con il terzo anniversario del divieto per le ragazze di ricevere un’istruzione secondaria. “Quattrocentomila afgane in più – 2,2 milioni in totale – sono private del loro diritto all’istruzione”, denuncia la direttrice dell’Unicef Catherine Russel. “Di questo passo, nel 2030 saranno quattro milioni, con consegnuenze catastrofiche per loro e per il paese. Per le ragazze meno istruite il rischio di matrimonio precoce è più alto, con ripercussioni sul loro benessere e sulla loro salute. Inoltre la minore presenza di donne tra il personale sanitario qualificato metterà a rischio delle vite. Con meno mediche e ostetriche, le donne non riceveranno cure adeguate, e stimiamo 1.600 morti materne e oltre 3.500 morti infantili in più. Non sono solo numeri, ma vite perdute e famiglie distrutte”. Tolo News


Rischi e speranza

Anche se in teoria alle donne è ancora consentito avviare delle attività economiche, nella pratica devono affrontare ostacoli enormi. Secondo una stima, solo nel primo anno di governo dei taliban più della metà delle migliaia di attività gestite da donne aveva chiuso. Un’imprenditrice che vende su Instagram i prodotti di sartoria racconta di essere stata costretta a chiudere un laboratorio a Kabul dove lavoravano più di venti donne. Altre hanno evidenziato il peso di doversi affidare a dei familiari maschi per poter completare gli ordini e per altri aspetti pratici del loro lavoro, a causa delle restrizioni imposte ai loro spostamenti.

Le donne afgane stanno dimostrando un’incredibile resilienza di fronte alla repressione senza precedenti messa in atto dai taliban. Come ha detto un’intervistata: “Nonostante tutto, possiamo fare qualcosa e dare speranze ad altre”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1607 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati