“Nessuno lascia la casa a meno che la casa non sia la bocca di uno squalo”. Questi versi appartengono alla poesia Home di Warsan Shire, una poesia che ha fatto il giro del mondo. Facile imbattersi nei versi di questa poeta in un blog, su una maglietta, in una storia di Instagram, in una canzone, declamati da famosi attori, sussurrati da ragazze nere in lotta. Impossibile non essere abbagliati dalla verità mostrata da Shire con parole in fondo molto semplici. Questa giovane poeta che ora vive a Los Angeles con due figli e un marito, figlia di rifugiati somali, britannica ma allo stesso tempo profondamente somala, è stata notata dal grande pubblico, tanto da arrivare a collaborare con Beyoncé per l’album Lemonade. E da allora si porta dietro un allure glamour. Ma in realtà l’essenza della sua poesia rimane, nonostante i successi, ancorata a quel mondo dei rifugiati in bilico tra appartenenze diverse, paure, ossessioni. Essere rifugiati in Europa non è uno scherzo. Sei considerato un corpo estraneo, ma sei estraneo anche a quello che sei stato. Le poesie di Shire, tradotte da Paola Splendore, ci parlano di mondi che ancora stentano a conoscersi e riconoscersi. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1496 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati