La diffusa teoria secondo cui l’antica società dell’isola di Pasqua crollò a causa dell’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali è stata messa nuovamente in discussione. Uno studio delle pratiche agricole indica infatti che una popolazione esigua e stabile visse per secoli in maniera sostenibile prima dell’arrivo degli europei.
Famosa per le sue gigantesche statue di pietra (moai), l’isola cilena – che si trova nell’oceano Pacifico e nella lingua locale è chiamata Rapa Nui – pare sia stata abitata dai polinesiani fin dal tredicesimo secolo. All’epoca la sua superficie di 164 chilometri quadrati era coperta da foreste di palme, che furono rapidamente distrutte forse dall’effetto combinato dei ratti arrivati con gli esseri umani e dello sfruttamento eccessivo.
Secondo una teoria resa popolare dallo studioso Jared Diamond, l’uso non sostenibile delle risorse produsse una crescita incontrollata della popolazione e il crollo della società prima del 1722, quando arrivarono gli europei.
Gli isolani si sostentavano soprattutto grazie ai giardini rocciosi, una forma di agricoltura ampiamente adottata nei luoghi dal suolo arido o dal clima sfavorevole. I campi erano disseminati di pietre per creare microhabitat e frangivento, trattenere l’umidità e fornire minerali importanti. Studi precedenti avevano suggerito che almeno 21 chilometri quadrati di Rapa Nui fossero coltivati con questo metodo, producendo alimenti sufficienti a 16mila persone.
Per saperne di più Carl Lipo e i suoi colleghi della Binghamton university di New York hanno usato immagini satellitari e modelli di apprendimento automatico addestrati con i dati dei rilievi geologici per fare una stima dei siti agricoli dell’intera isola.
In questo modo hanno concluso che l’estensione massima dei giardini rocciosi era di 0,76 chilometri quadrati. I ricercatori calcolano che quel sistema non potesse bastare per più di quattromila persone, all’incirca il numero di abitanti che vivevano sull’isola all’epoca dell’arrivo degli europei. La popolazione, quindi, sarebbe rimasta particolarmente stabile.
Adattamento e sopravvivenza
Secondo Lipo chi continua a ritenere che l’isola di Pasqua sia un esempio di degrado ambientale e tracollo sociale dovrebbe controllare le prove empiriche. “I nostri risultati supportano l’ipotesi secondo cui l’isola non ha mai avuto una popolazione numerosa che ha esaurito le risorse disponibili”, spiega. “Dai reperti archeologici non emergono prove di un tracollo sociale prima dell’arrivo degli europei”.
Acquista invece sempre più peso la teoria secondo cui gli isolani trasformarono il loro ambiente naturale riuscendo a vivere in maniera sostenibile per generazioni, dice Lipo. “Piccole comunità distribuite sul territorio hanno consentito di produrre da mangiare a sufficienza per più di cinque secoli, fino all’arrivo degli europei”.
Secondo Dale F. Simpson dell’università dell’Illinois serviranno altre ricerche per verificare se la precisione e l’accuratezza dei calcoli del modello usato concordano con le prove archeologiche.
“Nel complesso lo studio sottolinea che anche se quella di Rapa Nui è spesso descritta come una cultura estinta a causa della concorrenza sociopolitica, dell’ipersfruttamento ecologico e dell’iperproduzione di monumenti megalitici, sarebbe più utile riconoscere che si trattava di una cultura polinesiana di adattamento e sopravvivenza che ha prosperato per quasi mille anni”, dice Simpson. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1570 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati