Una sera alla settimana Natasha Msweswe e Zanele Madasi lasciano i figli a casa e vanno a pattugliare le strade di Thembokwezi. Rientrano verso mezzanotte. È rischioso, ma dicono di non avere scelta. “Ogni tanto abbiamo paura, ma vogliamo proteggere la nostra comunità”, dice Madasi, 31 anni. “Vogliamo cambiare le cose”.
Thembokwezi è un quartiere di Khayelitsha, una vasta township sovraffollata vicino a Città del Capo, nota da tempo per gli alti livelli di violenza tra bande, per il traffico di droga e la disoccupazione. La polizia sudafricana non ha le risorse per intervenire, perciò una rete formata da gruppi di vigilanti locali svolge un ruolo essenziale nella lotta alla criminalità. Thembokwezi è un luogo un po’ più ricco e sicuro del resto dell’insediamento e i suoi abitanti vogliono che resti così. “Certo, lavoriamo insieme alla polizia. Ma se non ci rimboccassimo le maniche come comunità, il crimine dilagherebbe”, spiega Phindile George, capo di un gruppo di una cinquantina di vigilanti, di cui fanno parte anche Msweswe e Madasi.
Decine di migliaia di persone in tutto il Sudafrica hanno preso decisioni che vanno nella stessa direzione. C’è chi insegna, chi si sforza di garantire forniture elettriche affidabili, chi organizza campagne vaccinali, chi ripara le strade, chi consegna dispositivi di protezione negli ospedali e chi distribuisce acqua. Molti lavorano autonomamente, altri per ong o per aziende ricche che destinano parte dei guadagni alle opere di beneficenza. Tutti condividono una scarsissima fiducia nella capacità del governo di trovare una soluzione ai problemi. “I cittadini non si sentono più protetti dallo stato. Assistiamo a un’enorme perdita di fiducia. È una tragedia”, afferma William Gumede, analista politico e professore universitario di Johannesburg.
La scomparsa dello stato dalla vita degli abitanti del paese più sviluppato dell’Africa ha cambiato il modo di pensare, comportarsi e interagire, soprattutto in questo momento di crisi. La morte dell’arcivescovo Desmond Tutu, una personalità rispettata praticamente da tutti, è stata un’occasione di lutto, ma paradossalmente anche di speranza, perché ha ricordato ai sudafricani le cose che li accomunano, dopo mesi in cui le circostanze avevano fatto di tutto per separarli.
Anche negli anni precedenti alla pandemia, la maggior parte dei sudafricani era in difficoltà. Da tempo aumentava l’insoddisfazione verso l’African national congress (Anc), il partito al potere dalla fine dell’apartheid nel 1994. La crescita economica è rallentata già dai tempi della presidenza di Jacob Zuma (2009-2018), che alla fine è stato costretto a farsi da parte per le accuse di corruzione.
Nonostante le buone intenzioni dell’attuale presidente Cyril Ramaphosa, un ex sindacalista diventato uomo d’affari, dall’inizio del suo mandato c’è stato poco di che rallegrarsi. La pandemia ha inflitto una serie di duri colpi all’economia. I frequenti blackout hanno fatto fermare per settimane le attività economiche e le fabbriche, mentre il sistema sanitario pubblico è segnato dalla corruzione e dalla cattiva gestione. Secondo il governo, le morti per covid-19 sono state quasi 95mila, ma le stime sull’eccesso di mortalità suggeriscono che il bilancio reale potrebbe essere due o tre volte più alto. A seconda di come lo si calcola, il tasso di disoccupazione raggiunge perfino il 46 per cento.
Nel luglio 2021 il Sudafrica ha vissuto la più grave crisi di ordine pubblico degli ultimi decenni: centinaia di centri commerciali sono stati saccheggiati, molti magazzini sono stati incendiati e importanti infrastrutture sono state attaccate. In parte le violenze potrebbero essere state istigate da fazioni ribelli dell’Anc contrarie all’incarcerazione di Zuma, condannato per oltraggio alla corte. In ogni caso gli eventi hanno ulteriormente scosso la fiducia nello stato, spingendo alcuni a farsi giustizia da sé.
I vigilanti di Thembokwezi collaborano con la polizia, ma in altre parti di Khayelitsha le comunità si sono unite contro le autorità locali. Nel 2020, all’inizio della pandemia, nella township c’è stata una lunga serie di sfratti, in molti casi illegali, e centinaia di persone rimaste senza una casa hanno occupato un appezzamento di terra non coltivata costruendoci sopra delle baracche di legno e lamiera.
“I politici ci avevano assicurato che avrebbero usato quella terra per realizzare delle case. Non hanno mantenuto le loro promesse, perciò abbiamo preso noi l’iniziativa”, afferma Mabhelandile Twani, quarant’anni, uno dei leader della comunità.
Nonostante i tentativi di sgombero, il nuovo quartiere si è ingrandito. Oggi più di quindicimila persone vivono nelle file di baracche costruite su un terreno sabbioso. L’elettricità arriva da alcune strade vicine, dove la fornitura è migliore. Twani parla di “potere del popolo”. Il quartiere ha preso il nome di Lockdown village.
Sono nati altri insediamenti simili a causa dell’aumento della povertà determinato dal covid-19. Il Sudafrica infatti non può permettersi di pagare sussidi sociali a individui e aziende, com’è stato fatto in Europa o negli Stati Uniti. Oggi a Khayelitsha ci sono quartieri chiamati Sanitiser, Quarantine e Social distance.
“La situazione è grave. Non riceviamo aiuti dal governo. Cerchiamo di arrangiarci da soli”, afferma Nondwebi Kasba, 73 anni, che dà una mano a coltivare un orto comunitario per sfamare i più poveri.
Riempire i vuoti
Settecento chilometri a est, a Graaff-Reinet, una piccola città conservatrice nel deserto del Karoo, si lotta per i beni di prima necessità che un tempo erano forniti dallo stato. Nelle township alla periferia di Graaff-Reinet gli spacciatori rubano le taniche d’acqua dalle scuole e le rivendono per strada, insieme alla cannabis e alle metanfetamine. Nessuno si preoccupa di denunciare i furti alla polizia, tanto si sa che non interverrà.
I posti di lavoro scarseggiano, così come le opportunità per i giovani di acquisire le competenze necessarie per lasciarsi alle spalle la miseria. Khanya Mbaile, un’impiegata di 31 anni, vorrebbe aprire un bar con un centro internet per dare ai giovani della zona un posto sicuro dove incontrarsi. Ha già ricevuto sei computer da un’ong. “Siamo tutti esausti, ma c’è un barlume di speranza”, dice.
Louise Masimela, 58 anni, ex giornalista, gestisce una scuola per i bambini di una township a sud di Graaff-Reinet. Ha cominciato senza un posto dove accogliere gli studenti, con poca acqua a disposizione e neanche un soldo per pagare gli insegnanti. “È davvero dura, ma vogliamo istruire i nostri ragazzi , perché un giorno possano andare via da qui”, dice.
Alcune soluzioni le ha trovate: una chiesa ha messo a disposizione degli spazi durante la settimana e sette volontari si sono offerti di insegnare. L’acqua arriva da Gift of the givers, una delle ong più grandi del Sudafrica. L’organizzazione è finanziata interamente da privati, in gran parte aziende, e ogni anno distribuisce aiuti per 400 milioni di rand (circa 22,7 milioni di euro).
Nella provincia dell’Eastern cape, Gift of the givers fornisce agli ospedali dispositivi di protezione sanitari, farmaci, ossigeno, pasti per i pazienti e perfino pacchi regalo per motivare gli operatori. In altre aree della provincia, una delle più povere del Sudafrica, ha distribuito semi, mangimi e prodotti alimentari agli orfanotrofi; ha inviato cisterne d’acqua nelle comunità povere e ha scavato pozzi. “Al governo ci sono persone per bene che vogliono fare la cosa giusta. E infatti la situazione sta cambiando”, dice Imtiaz Sooliman, fondatore dell’ong. “Noi riempiamo i vuoti, e così facciamo pressione sui nostri leader”.
Calo di consensi
Alle elezioni amministrative del 1 novembre 2021, l’Anc è stato punito dagli elettori: ha perso l’8,3 per cento delle preferenze e quasi mille seggi nei consigli municipali. Il partito deve governare in coalizione in molte piccole città – compresa Graaff-Reinet – e non controlla più centri importanti come Johannesburg e Pretoria. In molti posti le comunità locali si sono unite per proporre delle alternative politiche al partito di governo e hanno ottenuto molti consensi. “Tutto questo fa ben sperare”, commenta Gumede. “Mostra il desiderio di un progetto più inclusivo”.
Molti vorrebbero poter votare per dei nuovi partiti, a patto che non portino con sé l’eredità tossica dell’apartheid. Tenuto conto del dominio dell’Anc a livello nazionale, le battaglie politiche più significative oggi avvengono al suo interno. Lo scorso dicembre l’analista politica Judith February ha scritto sul sito Daily Maverick: “Dalla rivolta di luglio al disastro dei servizi segreti, dall’aumento dell’esitazione sui vaccini all’insistenza sull’uso del carbone, le tensioni interne all’Anc non fanno gli interessi del paese”.
Gli agricoltori sudafricani hanno tirato un sospiro di sollievo quando le piogge hanno interrotto cinque anni di siccità, aiutando il settore agricolo a compensare la crisi registrata in altri settori. Ma industrie importanti come quella del turismo sono state pesantemente colpite dalla pandemia, con forti perdite in termini di guadagni e posti di lavoro. “È stato un disastro”, spiega Kobus Potgieter, 59 anni, gestore di un agriturismo poco fuori Oudtshoorn, una città sulla spettacolare strada R62, che un tempo era piena di turisti. Dopo sedici anni di attività Potgieter sta pensando di chiudere.
A Franschhoek, una località famosa per i ristoranti e i vigneti a un’ora di auto da Città del Capo, l’assenza di visitatori stranieri ha costretto locali e alberghi a chiudere per mesi, mandando in fumo migliaia di posti di lavoro. In altre parti del paese la campagna di vaccinazione anticovid è stata caratterizzata da una grave carenza di risorse, sia per quanto riguarda le dosi da somministrare sia a livello di informazioni per contrastare il diffuso scetticismo. A Franschhoek, invece, l’ufficio turistico ha creato un centro vaccinale, raccogliendo fondi dalle grandi aziende, dall’amministrazione locale e con una campagna su internet. A novembre del 2021 l’85 per cento di chi lavorava nel settore dell’ospitalità era stato vaccinato. Ma proprio nel momento in cui cominciavano a tornare i turisti, in Sudafrica è stata individuata la variante omicron e i paesi stranieri hanno bloccato i viaggi. “È stato devastante”, commenta Ruth McCourt, una manager nel settore della pubblicità.
In un paese con un livello di disuguaglianza tra i più alti del mondo, alcuni sono riusciti ad affrontare la tempesta economica e politica meglio di altri. I residenti di Franschhoek ammettono di vivere in “una specie di bolla”. A Khayelitsha, invece, un mezzo milione di persone è più esposto alle forze avverse che stanno colpendo il paese. Twani, uno dei leader del Lockdown village, dice: “Il mio timore è di vivere in una bomba a orologeria. Le persone sono arrabbiate. E alla fine tutto può succedere”. ◆gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1446 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati