Provate a indovinare quante ballate cantate da un’artista accompagnata dal pianoforte hanno raggiunto il primo posto della classifica britannica nell’ultimo decennio. La risposta è: solo una, Easy on me di Adele, ormai quasi tre anni fa. Un tempo era impossibile sfuggire alla voce potente delle grandi cantanti e ai loro brani epici e difficilissimi da cantare (ma non aveva importanza, tutti ci provavamo lo stesso).

Oggi, invece, le dive del pop con un’estensione vocale inarrivabile e un’estetica esuberante sono merce rara.

Con la sua capigliatura imponente, gli abiti drammatici e la voce poderosa, Adele è una delle ultime dive rimaste. All’inizio dell’estate ha annunciato che si prenderà “una lunga pausa” dalla musica quando calerà il sipario sul suo ultimo concerto a Las Vegas, il 23 novembre, per poi ribadire il concetto davanti al pubblico di Monaco di Baviera, a cui ha spiegato che dopo i dieci concerti in programma non la vedremo “per un sacco di tempo”.

Cimeli culturali

Anche se le donne restano una forza dominante nel pop – Charli XCX, Sabrina Carpenter e Chappell Roan sono state le regine dell’estate, per non parlare di Taylor Swift – quasi nessuna ha seguito il percorso di Adele sulle orme di Aretha Franklin, Barbra Streisand, Cher, Whitney Houston o Mariah Carey. Forse con l’unica eccezione di Beyoncé, le grandi cantanti “rischiano di diventare un cimelio culturale, e in questo momento c’è una forte carenza di dive”, osserva Kirsty Fairclough, tra i curatori dell’antologia _Diva. Feminism and fierceness from pop to hip-hop _(2023).

Secondo Louie XIV, dj e presentatore del podcast Pop pantheon, uno dei motivi di questo declino è il cambiamento nel gusto del pubblico per gli stili vocali femminili. “Gli ultimi dieci o quindici anni hanno segnato un declino vertiginoso nell’interesse per le voci importanti”. Anche se oggi ci sono cantanti straordinarie – da FKA twigs a Jazmine Sullivan e Billie Eilish – la voce non è la loro caratteristica principale, mentre lo era per quelle del passato. Perfino Ariana Grande, famosa per la sua estensione vocale paragonabile a quella di Mariah Carey, ha “smesso di puntare tutto sulla voce”, spiega Louie XIV. “Ora si è adattata e si affida a un canto molto ritmico”.

Per anni i talent show come _X factor _e, soprattutto negli Stati Uniti, _American idol _hanno contribuito a diffondere l’idea che una commessa o la vicina di casa potessero nascondere un talento sovrumano: artiste come Alexandra Burke, Kelly Clarkson, Leona Lewis e Susan Boyle sono state catapultate dall’anonimato alla celebrità, cancellando l’idea che le voci potenti fossero una caratteristica delle dive leggendarie e “smantellando la mistica della voce ineguagliabile”, spiega Fairclough.

Mariah Carey, New York, 13 dicembre 2022 (Kevin Mazur, Getty for MC)

Insieme all’ascesa dei social network, questi programmi televisivi hanno promosso l’idea che le stelle del pop dovrebbero essere figure alla mano e con cui identificarsi, provocando una significativa “inclinazione del pubblico pop verso l’autenticità a scapito del virtuosismo, a differenza di quanto succedeva negli anni novanta, dominati da stelle come Céline Dion, Mariah Carey e Whitney Houston”, spiega Louie XIV. “I meriti specifici della diva dalla voce affascinante, potente e inarrivabile sono l’opposto di quelli apprezzati oggi”.

Il risultato è che le stelle del pop più amate ai giorni nostri sono quelle che hanno saputo destreggiarsi tra canzoni dai toni intimi e una personalità pubblica appariscente ma comunque alla mano. Al contrario, gli autori maschi di ballate continuano a prosperare: l’anno scorso _Lose control _di Teddy Swims è rimasta per quasi cinque mesi nella top ten britannica, mentre Ed Sheeran, il cui repertorio abbonda di ballate, continua a fare il tutto esaurito negli stadi.

La necessità di adattarsi e innovarsi fa parte di un sistema di due pesi e due misure che penalizza le donne nell’industria musicale moderna. “Molte artiste che conosco hanno dovuto reinventarsi venti volte più degli uomini, altrimenti rischiavano di scomparire”, ha dichiarato Swift nel suo documentario del 2020 Miss Americana. Le dive non fanno eccezione.

“Le grandi voci hanno sempre dovuto evolversi a causa della misoginia e del patriarcato nell’industria discografica”, conferma Fairclough. “Tutti sanno che se una donna continua a seguire la stessa linea, diventa noiosa. Si dice che Adele è diventata noiosa perché tutti pensano che canti sempre le stesse canzoni”.

Il motore social

Secondo Nick Huggett, discografico che per primo ha messo sotto contratto Adele, è improbabile che il settore discografico possa dedicare tempo e denaro a sviluppare una nuova generazione di dive: “L’industria musicale ha paura di tutto ciò che può apparire vecchio, e vuole conquistare i giovani, su TikTok e Instagram. I social network sono diventati il motore del pop e l’industria reagisce e si adegua alle tendenze online più che pensare a creare nuovi talenti”.

Ma la storia del pop è ricca di grandi ritorni e innovazioni che dimostrano quanto sia sbagliato sottovalutare la forza delle dive. Alla fine degli anni novanta Carey ha abbandonato il vestito nero e le ballate per un mix tra pop e hip-hop, mentre nel 1998, con Believe, Cher ha portato l’autotune alle masse. Beyoncé continua a stupire il pubblico con la contaminazione tra generi nei suoi album.

“Non bisogna mai dimenticare che la musica pop ha un andamento ciclico”, ricorda Louie XIV. “Non possiamo escludere che ciò che oggi viene abbandonato torni di moda”. Secondo Louie XIV per trovare la nuova generazione di dive “si dovrebbero fondere gli elementi vocali con una scrittura che sia personalissima e specifica”. Oppure, come nel caso di Lady Gaga, collaborare con un cantante maschio (Bruno Mars) e pubblicare duetti grandiosi come Die with a smile.

Le residency a Las Vegas, così come l’autobiografia di Barbra Streisand e l’imminente opera multi-tomo di Cher, dimostrano che l’interesse esiste ancora. Lo stesso discorso vale per l’entusiasmo suscitato dal ritorno di Céline Dion, con la sua esibizione alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi. “Quella performance”, spiega Fairclough, “ha ricordato a tutti cosa sia una vera diva. Credo che in un certo senso abbia contribuito a far tornare di moda il concetto di diva”.

Magari Dion non raggiungerà più il vertice delle classifiche di vendite, ma il suo ritorno sul palcoscenico mondiale ha concretizzato il motto della prima diva, la rinascimentale Isabella Andreini (1562-1604): elevat ardor, l’ardore innalza. E anche il fuoco della diva potrebbe tornare a risplendere. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1582 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati