La sentenza del 1 gennaio con cui la corte suprema ha bocciato la legge voluta dal governo per ostacolare l’uso della cosiddetta clausola della ragionevolezza (in base al quale i giudici possono abolire un provvedimento considerato irragionevole) passerà alla storia non perché ha bloccato una norma discutibile, ma perché rafforza il principio dell’inviolabilità della democrazia israeliana. Dopo il più clamoroso braccio di ferro tra governo e magistratura nella storia del paese, i giudici hanno stabilito che la knesset (il parlamento) non è onnipotente, che il governo deve essere soggetto a vincoli esterni e che una maggioranza politica ristretta non può minacciare i diritti degli individui e delle minoranze. I giudici, liberali e conservatori, hanno insistito sul fatto che le passioni popolari di cui le coalizioni di governo, spesso precarie, sono un riflesso devono essere sottoposte a un controllo giudiziario, anche quando si tratta dell’assetto costituzionale di Israele.
È la prima volta che la corte suprema revoca un aspetto di una delle 14 leggi fondamentali che fungono da costituzione in Israele. In apparenza, la sentenza si presenta come una vittoria di misura per una corte divisa, con solo otto giudici liberali a favore e sette conservatori contrari. Ma in realtà tredici giudici hanno scritto che, contrariamente alle affermazioni del governo e dei suoi esponenti più radicali, la corte ha l’autorità di annullare le leggi fondamentali di Israele in alcune circostanze. Infatti, cinque dei sette giudici che hanno votato contro erano comunque dell’opinione che la possibilità della knesset di formulare ed emendare le leggi fondamentali di Israele non equivale a un lasciapassare per cambiarle, annullarle o stravolgerle. I giudici hanno appoggiato la dottrina dell’ex presidente della corte Esther Hayut, da poco andata in pensione, secondo cui la knesset, per quanto potente, non può, approvando o modificando una legge fondamentale, alterare il carattere di Israele come stato ebraico e democratico. Il giudice Yosef Elron ha scritto che la knesset non può danneggiare i diritti individuali fondamentali, sostenendo così i princìpi della democrazia israeliana.
Un segnale chiaro
Sullo sfondo della lotta titanica dei primi nove mesi del 2023 tra il governo e la magistratura, la sentenza rappresenta un’enorme vittoria per chi sosteneva che la riforma della giustizia fosse pericolosa e andasse fermata. Secondo molti studiosi il pacchetto di leggi presentato un anno fa – pochi giorni dopo l’insediamento della coalizione guidata da Benjamin Netanyahu – rappresentava un attacco al sistema giudiziario e la sua approvazione avrebbe danneggiato mortalmente le fondamenta liberaldemocratiche di Israele. Le leggi per dare al governo il controllo quasi totale sulle nomine giudiziarie e per annullare il controllo della magistratura sulle leggi approvate in parlamento sono state fermate solo dalle proteste che si sono sollevate contro il governo.
La sentenza implica che la democrazia israeliana non dipende solo dalle motivazioni dei cittadini o dai capricci di chi è al potere, ma che esiste una protezione nella forma della corte suprema che non permetterà ai poteri esecutivo e legislativo di calpestare facilmente i princìpi democratici fondamentali del paese. Per quanto riguarda la clausola della ragionevolezza, la ristretta maggioranza di otto a sette è meno significativa, soprattutto alla luce del ritiro di Hayut e della giudice Anat Baron. In effetti, se il governo ripresentasse la stessa legge, ci sarebbe una maggioranza per sostenerla. C’erano altre opzioni, tra cui il rinvio alla knesset per abolire la clausola o limitarne la portata. Questo avrebbe comunque affermato l’autorità della corte di controllare le leggi fondamentali, anche se in modo parziale.
In ogni caso, la decisione ha dato un chiaro segnale al governo e ai posteri: la corte suprema non rimarrà in silenzio mentre una ristretta maggioranza politica cerca di rimodellare la natura fondamentale dei valori democratici di Israele. La corte ha affrontato il governo nella più grande crisi costituzionale del paese e ha dichiarato: “C’è un limite al potere della maggioranza”. ◆ dl
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Questo articolo è uscito sul numero 1544 di Internazionale, a pagina 23. Compra questo numero | Abbonati