Da anni si danno risposte tranquillizzanti a chi si preoccupa per il potenziale liberticida degli strumenti di sorveglianza digitale. Le aziende del settore e gli stati che usano questi servizi assicurano che i rischi sono minimi, l’uso circoscritto e gli impegni rispettati. Si spazzano via i dubbi affermando che ci sono interessi superiori: la sicurezza nazionale, la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata. Le rivelazioni pubblicate da Le Monde e da altri sedici giornali del progetto Pegasus, coordinati dall’organizzazione Forbidden stories e da Amnesty international, dimostrano che in materia di sorveglianza digitale l’abuso è la regola, non l’eccezione. È stata esaminata una lista di cinquantamila numeri di telefono che, a partire dal 2016, un software chiamato Pegasus, sviluppato dall’azienda israeliana Nso Group per conto di una decina di governi, ha spiato o cercato di spiare. Pegasus è stato usato contro giornalisti, avvocati, attivisti per i diritti umani, oppositori politici e categorie protette dalla convenzione di Ginevra, come i medici. Il costo contenuto di Pegasus lo rende uno strumento accessibile a tutti gli stati e permette a paesi come il Marocco e l’Ungheria, che hanno scarse risorse tecnologiche, di avere grandi capacità di spionaggio. L’Nso afferma che il soft­ware è stato comprato da una quarantina di paesi. Secondo l’inchiesta tutti o quasi lo usano per aggirare lo stato di diritto e per attività di sorveglianza vietate dal diritto internazionale. Anche le democrazie. Il governo israeliano, che autorizza ogni vendita fatta dalla Nso, ha ammesso di aver bloccato dei tentativi di sorveglianza in Cina, Stati Uniti e Russia. Perché, contrariamente a quanto affermano la Nso e i suoi clienti, non esiste alcuna forma di controllo sull’uso di Pegasus, una volta attivato. Le conseguenze potrebbero essere pesantissime, come nel caso dell’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi. La vendita di queste armi informatiche è regolamentata dall’accordo di Was­senaar, che obbliga solo i firmatari – e Israele non è tra questi – a un po’ di trasparenza. I software di spionaggio sono molto più intrusivi delle intercettazioni telefoniche, che nelle democrazie occidentali sono rigidamente regolamentate. È arrivato il momento di aprire un dibattito su come controllare in modo efficace queste tecnologie. La sicurezza dei cittadini può prevedere operazioni di sorveglianza entro certi limiti. Ma nulla può giustificare la violazione sistematica della segretezza delle nostre vite e delle nostre comunicazioni private, della riservatezza delle nostre opinioni. ◆ ff

Jérôme Fenoglio è il direttore di Le Monde.

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Questo articolo è uscito sul numero 1419 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati