“Cinque anni migliori”, non solo altri cinque anni. Dopo aver battuto di nuovo Marine Le Pen al secondo turno delle elezioni presidenziali, il 24 aprile, è stato lo stesso Emmanuel Macron a fissare l’obiettivo che potrebbe distinguerlo dagli altri tre presidenti francesi rieletti dopo il primo mandato dall’inizio della quinta repubblica. Per Charles De Gaulle, François Mitterrand e Jacques Chirac, il secondo mandato era stato una lunga delusione. Come se l’esercizio del potere avesse finito per soffocare l’entusiasmo iniziale.
Macron, che ha solo 44 anni, deve cercare di sfuggire a questo destino. Ha saputo resistere alla stessa insofferenza contro i leader in carica che lo aveva portato al potere, ma questo non lo allontana dall’orlo del baratro. Due numeri danno la misura dell’abisso che minaccia d’inghiottire la democrazia francese. Con quasi 13,3 milioni di voti – 2,7 in più rispetto al 2017– quello di Le Pen è stato il miglior risultato mai ottenuto dall’estrema destra alle presidenziali. I francesi che hanno deciso di non decidere – astenendosi e votando scheda bianca o nulla – sono ancora di più: quasi 16,7 milioni. Alla luce di queste cifre il fallimento di Macron, che ha perso quasi due milioni di preferenze rispetto a cinque anni fa, appare chiaro: non è riuscito a mantenere la promessa di far arretrare l’estremismo e di rivitalizzare la democrazia francese.
Anche dopo la rielezione, Macron resterà sotto la pressione di una combinazione di crisi senza precedenti: la guerra in Ucraina, l’emergenza climatica, la pandemia di covid-19, gli sconvolgimenti economici e sociali. Per attutire gli effetti di questi fenomeni in Francia, e soprattutto per raccogliere i voti del candidato di sinistra Jean-Luc Mélenchon, tra il primo e il secondo turno Macron ha scelto di spostare a sinistra un programma chiaramente di destra. Per fare “meglio” dovrà concretizzare questa svolta, senza deludere ancora una volta i progressisti.
Sul cambiamento climatico il presidente ha fatto promesse audaci, che hanno certamente contribuito a indirizzare i voti dei giovani verso di lui. Per un presidente che durante il primo mandato ha spesso dimostrato di essere più bravo a risolvere le crisi che a prevederle, è finalmente arrivato il momento di rendersi conto che questa catastrofe non pesa più solo sul nostro futuro, ma sta già colpendo il nostro presente.
Di fronte al programma xenofobo di Le Pen, Macron ha scelto di ribadire il fermo rifiuto che aveva caratterizzato l’inizio del suo primo mandato. C’è da sperare che nel nuovo quinquennio, anche grazie alla sconfitta di una destra tradizionale che ha perso la maggior parte dei suoi elettori, su islam e immigrazione non si ripetano le dichiarazioni a effetto e le strumentalizzazioni degli ultimi tempi.
Il lavoro prima di tutto
La composizione dell’elettorato di Le Pen suggerisce un modo per ricreare un legame con i cittadini tentati dal voto di protesta. Se gli elettori di Macron si trovano alle estremità della piramide demografica – buona parte dei giovani e quasi tutti i pensionati – quelli di Le Pen si concentrano nelle fasce medie, tra la popolazione in età lavorativa. È la prova delle turbolenze che attraversano il mondo del lavoro, al di là della questione essenziale del potere d’acquisto. Occuparsi della qualità del lavoro, oltre che della sua quantità, può servire a ridurre un malessere già espresso durante la rivolta dei gilet gialli. La crisi di un consumismo basato sulle auto e sui centri commerciali, e la consapevolezza degli eccessi della globalizzazione, possono favorire gli obiettivi della lotta al cambiamento climatico, che non possono essere raggiunti senza il ricorso a qualche forma di rinuncia collettiva, a condizione che gli sforzi siano equamente condivisi.
Questi cambiamenti non possono essere realizzati senza un profondo rinnovamento dei meccanismi democratici e istituzionali. Il rinnovamento deve riguardare tanto il modo di governare del presidente, troppo accentratore, quanto il ruolo del parlamento, che negli ultimi cinque anni è stato messo da parte. Molte altre soluzioni possono essere prese in considerazione. Perché la promessa di una “nuova era” sia credibile, è importante delinearne rapidamente i contenuti. Per allontanarsi dall’abisso, questa nuova direzione dev’essere stabilita al più presto. ◆ff
Jérôme Fenoglio è il direttore del quotidiano francese Le Monde.
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Questo articolo è uscito sul numero 1458 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati