Per trovare un po’ di ottimismo vado spesso a Milton Keynes. Se vi sembra strano, probabilmente non ci siete mai stati. A lungo la più importante new town inglese (un centro abitato progettato e realizzato da zero), Milton Keynes ha ottenuto lo status di city due anni fa: un riconoscimento alle sue dimensioni, alla sua diversità ma anche al suo spirito ottimista. Certo, ci sono problemi di povertà e disuguaglianza, ma si respira un’aria di fiducia nel futuro.

Il 4 luglio, giorno delle elezioni, sono stato in uno dei suoi quartieri più difficili per parlare con le persone che andavano a votare. Nel pomeriggio ho incontrato Sandra, una ragazza che aveva appena superato l’esame di maturità ed era alla sue prime elezioni. Le ho chiesto quali temi avevano influenzato la sua scelta. “I diritti, il lavoro, l’istruzione. E la speranza di non dover prestare servizio nell’esercito, come vorrebbe Rishi Sunak (il premier conservatore uscente)”, ha detto. In che tipo di paese vorrebbe vivere? “Un paese in cui la voce delle persone sia ascoltata”, ha risposto. Poi si è fermata un attimo. “Non so come dirlo. Un paese giusto, in cui il cittadino possa farsi sentire”. Dopo l’estate Sandra andrà all’università per studiare medicina. “Voglio fare la differenza”, mi ha spiegato.

Ho capito subito che Sandra aveva votato per il Labour. Tradizionalmente conservatrici, stavolta le tre circoscrizioni elettorali di Milton Keynes sono andate ai laburisti, a conferma di quella diffusa “speranza ordinaria” di cui ha parlato il leader del partito Keir Starmer.

Ero a Milton Keynes con il mio collega del Guardian John Domokos per completare alcuni video per la nostra serie di minidocumentari Anywhere but Westminster. L’ottimismo incerto di Sandra rappresentava un’eccezione rispetto a quanto avevamo visto in giro per il paese. Dal Surrey fino alla Scozia postindustriale avevamo incontrato persone che volevano semplicemente mandare a casa i conservatori. Ma era difficile trovare elettori che si fidassero davvero dei laburisti. La parola “cambiamento” – la più usata da Starmer in campagna elettorale – sembrava quasi irritare la gente.

Al banco alimentare gestito dalla moschea centrale Birmingham, una donna ha risposto alle nostre domande con un’altra domanda: “Ditemi, cosa cambierà se vinceranno i laburisti?”. Nella ex città industriale di Consett, nella contea di Durham, Rachel, che fa la cuoca in una mensa, ci ha raccontato che alcuni ragazzi cercano di accaparrarsi porzioni extra da portare a casa. Quando le abbiamo chiesto un’opinione sul Partito laburista, ha reagito con un sospiro sentito decine di volte: “Non credo che le cose cambieranno”. Anche tra le persone decise a votare laburista abbiamo percepito lo stesso scetticismo.

Seggi e percentuali
I risultati delle elezioni legislative britanniche del 4 luglio 2024 (Fonte: commonslibrary.parliament.uk)

Più solidarietà, meno rancore

A Consett abbiamo conosciuto anche Roger, frequentatore abituale della Glenroyd house, un’organizzazione benefica che offre assistenza sociale e gestisce un banco alimentare. Roger ci ha spiegato che quindici anni fa si era trasferito a Sunderland per lavorare alla Nissan, prima di andare in pensione in anticipo a causa di problemi di salute. “Le rate del mutuo sono schizzate alle stelle”, ha raccontato. “Vengo qui per qualcosa da mangiare, perché non posso permettermi altro”. Quando lo abbiamo incontrato, aveva già votato per posta. Aveva scelto il partito di Nigel Farage, Reform Uk. “È l’ultima speranza per questo paese”, ha detto.

Poco dopo Sharon, la donna che manda avanti più o meno da sola l’organizzazione, ci ha portati nel magazzino dove sono conservate le provviste ricevute in beneficenza. “Ci concentriamo sui lavoratori poveri”, ha detto. “Qui vengono infermieri, autotrasportatori, persone impiegate nei negozi e nell’assistenza agli anziani”. L’elenco di Sharon era simile a quello fatto da Starmer nel suo primo discorso da capo del governo, in cui ha ricordato chi è scivolato – o è stato spinto – in uno stato di precarietà economica: “Infermieri, operai edili, autisti, badanti, persone che fanno il loro dovere”. In campagna elettorale queste persone ricevono un minimo di attenzione, ha detto il leader laburista, “ma quando le telecamere si spengono sono subito dimenticate. Voglio dirgli che questa volta non sarà così”. È una promessa impegnativa, perché per evitare che il problema scivoli nelle retrovie della politica bisognerà non solo parlarne, ma affrontarlo con determinazione.

Le parole di Starmer mi hanno ricordato tante conversazioni avute in tutto il paese, in zone povere e ricche. Lasciando da parte la pandemia, negli ultimi quattordici anni le istituzioni si sono progressivamente allontanate dalla vita quotidiana della gente, un fenomeno accompagnato dalla crescente insicurezza, innescata dalla crisi finanziaria del 2008. In questo modo le persone e le città sono state abbandonate a se stesse, e le aspettative politiche si sono fortemente ridimensionate. “I politici sono tutti uguali” è uno dei cliché più antichi di questo paese. Ma rispetto al passato oggi è espresso con più rabbia.

Sarà possibile, con un governo diverso, superare questa indifferenza, questo cinismo? Il Regno Unito non è ancora diventato come gli Stati Uniti. La politica è ancora radicata nella realtà quotidiana dei cittadini. E al di là delle promesse laburiste, spesso esili e prudenti, il cambiamento non è impossibile da immaginare. Servono case, posti di lavoro, spazi pubblici. La sanità pubblica dev’essere efficiente e riconquistare la fiducia delle persone. Come la scuola. Il lavoro deve tornare a essere uno strumento per lasciarsi alle spalle la povertà. E tutti dev0no poter comprarsi da mangiare con i propri mezzi. La lista è lunga, ma forse bisogna pensare in modo diverso alle sfide che abbiamo di fronte. Il Regno Unito dev’essere un paese con meno rancore e più fiducia nel futuro. Solo così i britannici manterranno un livello minimo di speranza, che magari un giorno potranno proiettare sulle persone che guidano il paese. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1571 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati