È una storia che suona familiare: un piccolo gruppo di animali che vive in una prateria a sorpresa comincia a popolare la Terra. All’inizio occupano una nicchia ecologica precisa, tenuti sotto controllo da altre specie. Poi qualcosa cambia. Gli animali trovano il modo di viaggiare verso posti nuovi. Imparano a gestire gli imprevisti. Si adattano ad altri tipi di cibo e di riparo. Sono intelligenti. E aggressivi.
Nei nuovi luoghi, i vecchi limiti non ci sono. A mano a mano che la popolazione cresce e il raggio d’azione si espande, gli animali conquistano altri territori, rimodellando le relazioni in ogni nuovo ambiente, eliminando alcune specie e favorendone altre. Con il tempo creano le più grandi società animali, in termini di numero di individui, che il pianeta abbia mai conosciuto. E ai confini di queste società, combattono i più distruttivi conflitti interni alle specie, in termini di numero di vittime, che il pianeta abbia mai visto.
Potrebbe sembrare la nostra storia: la cronaca di una specie di ominini, comparsa nell’Africa tropicale qualche milione di anni fa, che diventa globale. Invece è la storia di un gruppo di specie di formiche che vivevano nell’America centromeridionale qualche centinaio di anni fa e che si sono diffuse in tutto il pianeta, insinuandosi nelle reti europee di esplorazione, commercio, colonizzazione e guerra – alcune si sono perfino imbarcate sui galeoni spagnoli che nel cinquecento trasportavano l’argento attraverso il Pacifico da Acapulco a Manila. Negli ultimi quattrocento anni questi animali hanno globalizzato le loro società parallelamente alle nostre.
La tentazione di cercare parallelismi con gli imperi umani è forte. Ma le società globali di formiche non sono semplicemente l’eco delle lotte umane per il potere. Sono qualcosa di nuovo nel mondo, che esiste su una scala difficile da comprendere: sul nostro pianeta ci sono circa duecentomila volte più formiche dei cento miliardi di stelle della Via Lattea.
Alla fine del 2022 alcune colonie di formiche di fuoco (Solenopsis invicta) sono state inaspettatamente trovate per la prima volta in Europa, vicino a Siracusa. La scoperta di 88 colonie ha fatto scalpore, ma la comparsa della formica di fuoco in Europa non dovrebbe essere una sorpresa. Era del tutto prevedibile: un’altra specie proveniente dagli habitat originari della Solenopsis invicta in Sudamerica aveva già trovato la strada per il vecchio continente.
La cosa sorprendente è quanto poco sappiamo delle società globali di formiche: sotto i nostri piedi si sta svolgendo un’epopea fantascientifica, una geopolitica aliena negoziata dai venti milioni di miliardi di formiche che vivono sulla Terra. I suoi personaggi sono strani, le sue dimensioni difficili da concepire. Possiamo raccontare la storia delle società globali di formiche senza raccontare la nostra storia?
Alcune società animali restano unite perché i loro membri si riconoscono e si ricordano l’uno dell’altro quando interagiscono. Affidarsi in questo modo alla memoria e all’esperienza – in pratica fidarsi solo degli amici – lega le dimensioni dei gruppi alla capacità degli individui di sostenere relazioni dirette. Le formiche si comportano in modo diverso, formando quelle che l’ecologo Mark Moffett chiama “società anonime”, in cui ci si aspetta che gli individui si accettino e cooperino anche se non si sono mai incontrati prima. Secondo Moffett queste società si basano su “caratteristiche condivise che marcano gli individui in quanto membri”.
Il riconoscimento tra gli esseri umani e tra gli insetti è molto diverso. La società umana si basa su reti di reciprocità e reputazione, sostenute dal linguaggio e dalla cultura. Gli insetti sociali – formiche, vespe, api e termiti – si affidano a distintivi chimici di identità. Nelle formiche, questo distintivo è una miscela di composti cerosi che rivestono il corpo, mantenendo l’esoscheletro impermeabile e pulito. Le sostanze chimiche di questa miscela cerosa e le loro relative intensità sono determinate geneticamente e possono variare. Ciò significa che una formica appena nata può imparare rapidamente a distinguere le compagne di nido dagli estranei, a mano a mano che diventa sensibile all’odore unico della sua colonia. Gli insetti con l’odore giusto sono nutriti, curati e difesi; quelli con l’odore sbagliato sono cacciati o combattuti.
Le formiche invasive di maggior successo, tra cui la Solenopsis geminata e la Solenopsis invicta, condividono questa caratteristica. Hanno in comune anche tratti sociali e riproduttivi. I singoli nidi possono contenere molte regine (a differenza delle specie con una sola regina per nido). Nelle specie con una sola regina, le regine neonate lasciano il nido prima di accoppiarsi, ma in quelle dette unicoloniali le regine che si sono accoppiate a volte partono dal nido con un gruppo di operaie per fondarne uno nuovo nelle vicinanze. Attraverso questa gemmazione comincia a crescere una rete di colonie alleate e interconnesse.
Nelle loro zone d’origine, queste colonie possono crescere fino a qualche centinaio di metri di diametro, limitate da barriere fisiche o da altri formicai. Il paesaggio si trasforma in un mosaico di gruppi separati, con ogni società chimicamente distinta che combatte o evita le altre ai propri confini. Le specie e le colonie coesistono, senza che nessuna prevalga sulle altre. Tuttavia, per le “società anonime” di formiche unicoloniali, come sono chiamate, l’arrivo di un piccolo numero di regine e operaie in un nuovo luogo può causare la rottura dell’organizzazione relativamente stabile dei gruppi. Con la creazione di nuovi nidi, le colonie si riproducono e si diffondono senza tracciare confini, perché le operaie trattano tutte le altre della loro stessa specie come alleate. Quello che una volta era un mosaico di relazioni complesse diventa un sistema sociale semplificato e unificato. La relativa omogeneità genetica della piccola popolazione fondatrice, replicata in una rete crescente di nidi, fa sì che gli individui delle specie unicoloniali si tollerino a vicenda. Risparmiando i costi della lotta interna, questi insetti possono vivere in popolazioni più dense, diffondendosi sul territorio come farebbe una pianta e dedicando le loro energie alla ricerca di cibo e alla competizione con altre specie.
L’incubo di Calvino
Tutte e cinque le formiche incluse nell’elenco dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) delle cento peggiori specie invasive sono unicoloniali. Tre di queste specie – la già citata S. invicta, la formica argentina (Linepithema humile) e la Wasmannia auropunctata – sono originarie dell’America centrale e meridionale. È probabile che almeno le prime due specie abbiano cominciato la loro espansione globale secoli fa a bordo di navi partite da Buenos Aires. Alcuni di questi viaggi oceanici potrebbero essere durati più della vita di una singola formica operaia.
Le formiche unicoloniali sono spazzini efficienti e di poche pretese, in grado di cacciare prede animali, mangiare frutta o nettare e allevare insetti come gli afidi per la melata zuccherina che producono. Si sono anche adattate a vivere in ambienti che sono regolarmente stravolti, come i delta dei fiumi soggetti a inondazioni (le formiche si portano al di sopra del livello dell’acqua, per esempio arrampicandosi su un albero, o si uniscono per formare zattere viventi e galleggiano fino a quando la piena recede). Per queste formiche l’alterazione è una sorta di reset ambientale durante il quale i territori devono essere riconquistati. I nidi – semplici cunicoli poco profondi – sono abbandonati e ricostruiti in breve tempo. Se si volesse progettare una specie in grado di invadere città, periferie, terreni agricoli e qualsiasi ambiente influenzato dagli esseri umani, probabilmente somiglierebbe a una formica unicoloniale: una specie generalista sociale proveniente da un ambiente imprevedibile e intensamente competitivo.
Quando queste formiche compaiono in nuovi luoghi possono far sentire la loro presenza in modo spettacolare. Un primo esempio risale alla metà dell’ottocento, quando la Pheidole megacephala, un’altra specie inserita nella lista dello Iucn, si è fatta strada dall’Africa all’isola di Madera. “La mangiamo nei budini, nelle verdure e nelle zuppe”, si lamentava un visitatore britannico nel 1851. Quando negli anni trenta la S. invicta, forse la specie unicoloniale più conosciuta, si diffuse nelle comunità agricole intorno a Mobile, in Alabama, scatenò il caos. “Alcuni agricoltori sono costretti ad abbandonare la terra alle formiche”, scriveva E.O. Wilson nel 1958 su Scientific American. Oggi la formica di fuoco provoca miliardi di dollari di danni all’anno e infligge il suo doloroso morso a milioni di persone. Ma le colonie più grandi e i momenti più spettacolari della diffusione globale delle società di formiche appartengono alla formica argentina.
Osservando la storia dell’espansione di questa specie tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, può sembrare che lo sviluppo del commercio globale sia stato un complotto della formica argentina per dominare il mondo. Un focolaio comparve a Porto dopo l’Esposizione delle isole e delle colonie portoghesi del 1894. Gli insetti erano probabilmente arrivati da Madera tra i prodotti esposti alla mostra – le piante ornamentali, che di solito viaggiano con una zolla del loro terreno d’origine, sono particolarmente adatte a trasportare specie invasive. Nel 1900 un’abitante di Belfast, la signora Corry, trovò un “esercito oscuro” della stessa specie che attraversava il pavimento della sua cucina ed entrava nella dispensa, dove ricopriva una coscia di montone in modo così uniforme che “si poteva a malapena trovare spazio per piantare uno spillo”. Nel 1904 il Bureau of entomology degli Stati Uniti inviò a New Orleans l’agente Edward Titus per indagare su un’invasione di formiche argentine. Titus aveva sentito parlare di formiche che si infilavano nella bocca e nelle narici dei bambini in numero tale che si potevano rimuovere solo immergendo i piccoli nell’acqua. Altri racconti descrivevano formiche negli ospedali “indaffarate a portare via il muco” di un malato di tubercolosi. Quando la specie arrivò in Costa Azzurra, qualche anno dopo, alcune ville furono abbandonate e un ospedale pediatrico fu evacuato.
Nel dicembre 1927 il re d’Italia Vittorio Emanuele III e il primo ministro Benito Mussolini firmarono una legge che stabiliva le misure da adottare contro la formica argentina, dividendo equamente i costi con le province invase. L’efficacia dello stato, o la sua mancanza, è descritta in La formica argentina (1952) di Italo Calvino, uno dei maggiori scrittori italiani del dopoguerra. Calvino, i cui genitori erano botanici, ambienta il racconto in una città di mare senza nome, molto simile a quella in cui è cresciuto, in Liguria. La formica è sopravvissuta a Mussolini e alla monarchia e riempie la città senza nome, infestando il sottosuolo (e la testa degli abitanti). Alcuni inondano le loro case e i loro giardini di pesticidi o costruiscono trappole elaborate, altri cercano di ignorare o negare il problema. E poi c’è il signor Baudino, un dipendente dell’Ente per la lotta contro la formica argentina, che da vent’anni distribuisce ciotole di melassa con una leggera dose di veleno. La gente sospetta che dia da mangiare alle formiche per preservare il suo posto di lavoro.
Nella realtà le persone che si sono trovate sulla strada di questo flagello hanno imparato a mettere sotto i piedi degli armadi, dei letti e delle culle dei piattini pieni di cherosene. Ma non è stata una soluzione definitiva: uccidere le formiche lontano dal nido produce scarsi effetti se la maggior parte di esse rimane al sicuro in casa. Gli insetticidi ad azione più lenta (come il veleno di Baudino), che le operaie riportano al nido e somministrano alle regine, possono essere più efficaci. Ma poiché le operaie unicoloniali possono entrare in diversi nidi della loro rete, ognuno dei quali contiene molte regine, le possibilità di somministrare una dose fatale si riducono notevolmente.
All’inizio del novecento i ricercatori sostenevano l’uso di veleni ad ampio spettro, la maggior parte dei quali è ora vietata, per creare barriere o fumigare i nidi. Oggi gli insetticidi mirati possono essere efficaci per bonificare aree relativamente piccole. Questo sistema si è rivelato utile nei frutteti e nei vigneti, dove le formiche sono dannose perché proteggono gli insetti che succhiano la linfa, e in posti come le Galápagos o le Hawaii, dove minacciano specie rare. Ma eradicarle su larga scala è un’altra cosa, e pochi posti ci hanno provato. La Nuova Zelanda, leader mondiale nel controllo delle specie invasive, è l’unico paese ad aver impedito la diffusione della formica di fuoco, eliminando i nidi nelle merci in arrivo negli aeroporti e nei porti. Nel paese c’è anche uno spaniel addestrato a fiutare le formiche per impedire che raggiungano piccole isole importanti per gli uccelli marini.
Un gruppo di ricercatori ha stimato che quindici milioni di formiche siano morte in sei mesi su un fronte lungo qualche chilometro
Effetti a cascata
I disagi degli esseri umani impallidiscono di fronte agli effetti delle formiche su altre specie. Esplorando le campagne intorno a New Orleans nel 1904, Titus scoprì che la formica argentina sopraffaceva quelle indigene, portando via i cadaveri, le uova e le larve delle sconfitte per mangiarseli. Altri entomologi dell’epoca impararono a riconoscere la scomparsa delle formiche autoctone come un segno dell’arrivo di un invasore. Le specie unicoloniali sono aggressive, veloci nel trovare fonti di cibo e tenaci nel difenderle e sfruttarle. A differenza di altre specie, in cui un’operaia che trova una fonte di cibo torna al nido per reclutarne altre, la formica argentina arruola altre operaie già fuori dal nido. Ma il loro principale vantaggio è la forza numerica, che di solito decide i conflitti tra formiche. Spesso diventano l’unica specie di formica nelle aree che colonizzano.
Gli effetti di queste invasioni si propagano a cascata negli ecosistemi. A volte il danno è diretto: alle Galápagos le formiche di fuoco attaccano i piccoli di tartaruga e di vari uccelli, minacciandone la sopravvivenza. In altri casi i danni ricadono su specie che facevano affidamento sulle formiche autoctone. In California, la minuscola formica argentina (in genere lunga meno di tre millimetri) ha sostituito le specie autoctone più grandi che un tempo costituivano la dieta delle lucertole cornute, affamando i rettili: sembra che non riconoscano come cibo l’invasore.
Nel fynbos, la macchia sudafricana, che vanta una flora tra le più caratteristiche del pianeta, molte piante producono semi coperti da una poltiglia grassa. Le formiche autoctone “piantano” i semi portandoli nei loro nidi, dove mangiano il grasso e scartano il resto. Le formiche argentine – quasi certamente importate in Sudafrica intorno al 1900 insieme ai cavalli inviati da Buenos Aires dall’impero britannico per la guerra boera – ignorano i semi, che vengono mangiati dai topi, oppure raccolgono il grasso dove si trova, lasciando il seme sul terreno. Questo ostacola la riproduzione di piante endemiche come le protee, spostando l’equilibrio a favore di piante invasive come le acacie e gli eucalipti.
Negli ultimi centocinquant’anni la formica argentina si è diffusa praticamente ovunque ci siano estati calde e secche e inverni freschi e umidi. Un’unica supercolonia, forse discendente da una mezza dozzina di regine, si estende per seimila chilometri sulle coste dell’Europa meridionale. Un’altra percorre gran parte della California. La specie è arrivata in Sudafrica, Australia, Nuova Zelanda e Giappone, e ha raggiunto l’isola di Pasqua nel Pacifico e Sant’Elena nell’Atlantico. Le sue alleanze sono transoceaniche: operaie di continenti diversi si accettano l’un l’altra come se fossero nate nello stesso nido. Lavoratori del mondo uniti, per così dire. Ma non completamente uniti.
Parallelamente alla supercolonia mondiale, si stanno espandendo gruppi separati di formiche argentine con distintivi chimici diversi, risultato di altri viaggi. Stessa specie, ma odori diversi. Nei punti in cui queste colonie entrano in contatto le ostilità riprendono.
In Spagna una di queste colonie occupa un tratto di costa della Catalogna. In Giappone quattro gruppi ostili tra loro si combattono intorno alla città di Kobe. La zona di conflitto studiata meglio è nel sud della California, dove la “colonia molto grande” confina con un gruppo separato chiamato “colonia del lago Hodges”, con un territorio di appena trenta chilometri.
Monitorando questo confine per sei mesi, tra aprile e settembre del 2004, un team di ricercatori ha stimato che quindici milioni di formiche siano morte su un fronte largo pochi centimetri e lungo qualche chilometro. Ci sono stati momenti in cui l’uno o l’altro gruppo sembrava guadagnare terreno, ma di solito lo stallo era la regola. Qualcuno pensa che provocare conflitti simili possa essere un modo per contrastare le formiche invasive. Si spera anche che i feromoni artificiali – in altre parole, la disinformazione chimica – possano indurre i membri di una colonia ad attaccarsi a vicenda, anche se nessun prodotto è ancora disponibile.
Sul lungo periodo il destino delle società unicoloniali non è chiaro. Un’indagine condotta a Madera tra il 2014 e il 2021 ha smentito il timore che le formiche invasive avrebbero ripulito l’isola da altri insetti, trovando pochissime P. megacephala e nessuna formica argentina. Le formiche invasive sono soggette a crolli di popolazione per ragioni ancora ignote, ma che potrebbero essere legate all’omogeneità genetica: una singola colonia di formiche argentine nella sua terra d’origine ha una diversità genetica pari a quella dell’intera supercolonia della California. Come succede ovunque per le specie consanguinee, questo può renderle vulnerabili alle malattie. Un altro potenziale problema è che la mancanza di discriminazione tra gli individui può favorire l’evoluzione di “operaie pigre” che sfruttano egoisticamente gli sforzi delle loro compagne. Questa distribuzione iniqua del lavoro potrebbe portare alla disgregazione sociale, ma non sono stati trovati esempi.
A meno che la selezione naturale non si ritorca contro di loro, uno dei freni più efficaci alle formiche unicoloniali sono altre formiche unicoloniali. Negli Stati Uniti sudorientali le formiche di fuoco sembrano aver impedito alla formica argentina di formare un’unica supercolonia come in California. Nell’Europa meridionale, tuttavia, la formica argentina ha avuto un secolo in più per affermarsi, quindi, anche se la formica di fuoco dovesse prendere piede in Europa, non è detto che si verifichi la stessa dinamica. Negli Stati Uniti meridionali le formiche di fuoco sono state soppiantate dalla Nylanderia fulva, un’altra specie sudamericana, immune al loro veleno.
Altre globalizzazioni
È estremamente difficile evitare di usare il linguaggio della guerra e dell’imperialismo umano per descrivere la storia globale dell’espansione delle formiche. Gli sforzi degli esseri umani per controllare le formiche sono regolarmente descritti come una guerra, così come la competizione tra gli invasori e le formiche autoctone, ed è facile capire perché si facciano paragoni tra la diffusione di società unicoloniali di formiche e il colonialismo umano. Da millenni si tracciano collegamenti tra le società di insetti e quelle umane. Ma ciò che le persone vedono rivela più cose di loro che degli insetti.
Un alveare è organizzato in modo simile a un nido di formiche, ma la visione umana della società delle api tende a essere benigna e utopica. Quando si tratta di formiche, le metafore spesso si polarizzano verso qualcosa di simile al comunismo o verso qualcosa di simile al fascismo – un eugenista statunitense della metà del novecento arrivò a usare l’esempio della formica argentina come argomento a favore del controllo dell’immigrazione. Secondo Neil Tsutsui, entomologo dell’università della California a Berkeley, gli insetti sono come test di Rorschach. Alcuni vedono nella sua ricerca la prova che dovremmo andare tutti d’accordo, mentre altri trovano conferma della bontà della purezza razziale.
Se si progettasse una specie in grado di invadere qualsiasi ambiente influenzato dagli esseri umani, somiglierebbe a una formica unicoloniale
Oltre a confondere un “è” naturale con un “dovrebbe” politico, la tentazione di antropomorfizzare le formiche può portare a una visione limitata e limitante della storia naturale. L’abitudine delle formiche argentine operaie di uccidere nove decimi delle loro regine ogni primavera, apparentemente per far posto alle nuove, basta a scoraggiare il parallelismo tra le società delle formiche e la politica umana?
Esiste un altro modo di essere una società globalizzata, del tutto diverso dal nostro. Non sono sicuro che abbiamo il linguaggio per descrivere la capacità di una colonia di prendere pezzi di informazioni da migliaia di piccoli cervelli e trasformarli in una rappresentazione diffusa e costantemente aggiornata del loro mondo. Anche “odore” sembra una parola inadeguata a descrivere la capacità delle antenne delle formiche di leggere le sostanze chimiche nell’aria e sui loro corpi. Come possiamo immaginare una vita in cui la vista è quasi inutilizzata e l’odore è il principale canale di informazione, in cui i segnali chimici indicano la strada verso il cibo, organizzano la risposta alle minacce o distinguono le regine dalle operaie e i vivi dai morti?
A mano a mano che il nostro mondo diventa alieno, cercare di pensare come un alieno può essere un modo per trovare l’immaginazione e l’umiltà necessarie per stare al passo con i cambiamenti. Ma provare a pensare come una formica non significa inchinarsi ai nostri sovrani insetti unicoloniali. Le società di formiche globalizzate portano calamità.
L’aspetto più preoccupante è il modo in cui possono stravolgere la diversità ecologica quando arrivano in un posto nuovo. Le formiche unicoloniali possono trasformare un mosaico di colonie create da diverse specie in un paesaggio dominato da un unico gruppo. Di conseguenza, comunità ecologiche complesse e strutturate diventano più semplici, meno diversificate e, cosa fondamentale, meno diverse tra loro.
Il periodo attuale, in cui un numero relativamente piccolo di animali e piante si espande su tutta la Terra, viene talvolta chiamato omogecene. Le formiche unicoloniali contribuiscono a un futuro più omogeneo, ma dimostrano anche la capacità della vita di sfuggire alla nostra presa. Le dimensioni e la diffusione delle società di formiche ci ricordano che non bisogna confondere l’impatto con il controllo. Saremo anche in grado di cambiare il nostro ambiente, ma non possiamo manipolare il nostro mondo esattamente come vogliamo. La società globale delle formiche ci ricorda che non possiamo sapere come le altre specie reagiranno agli sconvolgimenti che provochiamo, ma solo che lo faranno.
Se si cerca un esempio della capacità delle formiche di prendersi gioco dell’arroganza umana, è difficile trovarne una migliore della storia di Biosphere 2. Questo gigantesco terrario nel deserto dell’Arizona, finanziato da un miliardario alla fine degli anni ottanta, doveva essere un grande esperimento e un modello per la colonizzazione dello spazio. Era stato progettato per essere un sistema vivente autosufficiente, abitato da otto persone, senza alcun legame con l’atmosfera, l’acqua e il suolo del mondo esterno. Ma poco dopo l’inizio dell’attività, nel 1991, la formica Paratrechina longicornis, una specie unicoloniale originaria del sudest asiatico, ha trovato il modo di entrare, ha rimodellato la comunità di invertebrati accuratamente studiata al suo interno e ha trasformato il luogo in un allevamento di afidi. È possibile essere al tempo stesso un flagello e una meraviglia. ◆ svb
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Questo articolo è uscito sul numero 1555 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati