Le prime conseguenze negative dell’uscita dell’ultimo album di Beyoncé, Renaissance – ammesso che possano esserci ripercussioni significative dopo un lancio programmato con precisione e segretezza militari, e gestito da eserciti di scrittori, produttori, avvocati ed esperti di marketing e social network – si sono ridotte a questioni di riconoscimento e attribuzione dei meriti.
Quindi questioni essenzialmente legali, ma in realtà anche filosofiche e morali. Riconoscere una fonte d’ispirazione, diretta o indiretta, è una pratica commerciale corretta ma anche, nell’era dell’iper-responsabilità centrata su internet, una pratica simile allo scegliere l’attacco come miglior difesa.
Crediti e debiti
Questo è particolarmente vero per Renaissance, album che è un’esplorazione e un’interpretazione ricca e meditata della musica dance statunitense, in particolare delle sue radici nere e queer, che tocca anche generi come disco, house, ballroom e altro ancora. I ringraziamenti e l’elenco dei collaboratori sono compilati in maniera scrupolosa: Beyoncé ha lavorato con produttori e scrittori che fanno parte di quei mondi, campionando brani fondamentali di quei generi.
Eppure dopo l’uscita dell’album non sono mancate le polemiche e le stranezze. Come sulla paternità del singolo
Break my soul, che inizialmente includeva gli autori del classico di Robin S. Show me love, poi rimossi e quindi nuovamente inseriti (senza mai citare StoneBridge, l’autore del remix che ha reso popolare la canzone originale).
Pochi giorni prima dell’uscita dell’album, nell’elenco completo pubblicato online dei credits (il riconoscimento di tutti i contributi a una creazione artistica) si desumeva che la canzone Energy fosse un’interpolazione di Milkshake di Kelis prodotta dai Neptunes (Pharrell Williams e Chad Hugo). Kelis, innovatrice del genere alt-soul dei primi anni duemila, ha postato una serie di video su Instagram esprimendo la sua frustrazione per non essere stata avvisata, pur non essendo la titolare dei diritti d’edizione (Kelis non è stata accreditata come autrice o produttrice nella maggior parte dei primi album realizzati con i Neptunes, a causa di un accordo che aveva firmato con il duo quando era, come lei stessa ha detto al Guardian, “troppo giovane e troppo stupida per rileggerlo e controllarlo”; cosa che ha aperto una discussione sulle possibili ambiguità di Williams). Beyoncé ha aggiornato la canzone senza fare ulteriori commenti, rimuovendo parte dell’interpolazione di Milkshake.
Quando questo genere d’insoddisfazione arriva all’opinione pubblica (o, nei casi peggiori, nelle aule di tribunale), spesso il motivo apparente sono i soldi, ma dietro in realtà c’è una questione di potere. E fa pensare che perfino Beyoncé, normalmente irreprensibile, stavolta non sia uscita indenne dal passaggio al pettine di internet.
Le conversazioni su chi abbia il diritto di prendere in prestito da chi – e se ciò sia accettabile – s’intensificano quando c’è di mezzo una delle figure più potenti della musica pop. Ma in Renaissance Beyoncé – collaborando con la dj Honey Dijon, esperta produttrice di musica house, e campionando l’influentissima drag queen e musicista Kevin Aviance – usa con saggezza gli elementi di altri brani. Con l’idea di offrire così una grandissima piattaforma ad artisti che spesso sono relegati ai margini.
Dopo l’uscita di Renaissance, Beyoncé ha pubblicato una serie di remix. In particolare Break my soul (The Queens remix), che fonde il suo brano con Vogue di Madonna (del 1990), una delle prime apparizioni nel mainstream della club culture queer di New York. Ma Beyoncé ha inserito nella sua versione una cultura politica nuova, trasformando l’elenco di nomi di idoli bianchi del grande schermo di Madonna in un catalogo di musiciste nere seminali: Aaliyah, Sister Rosetta Tharpe, Santigold, Bessie Smith, Nina Simone e altre ancora. L’idea del remix sembra essere nata su TikTok da un dj di nome frooty treblez, il cui nome appare tra i responsabili a vario titolo della produzione. Il risultato è elettrico, sia dal punto di vista filosofico sia musicale, e mostra una chiara continuità con le modalità attraverso cui le popstar possono consumare voracemente il lavoro degli altri, venendo però trattate con una certa tolleranza, quando si ritiene che prendano in prestito con rispetto. D’altra parte, sia Beyoncé sia Madonna sono state accusate di opportunismo da alcuni critici queer.
L’arte del pastiche
A distanza di trent’anni da Vogue, tuttavia, Madonna continua a dimostrare il suo impegno costante e profondo nei confronti della cultura queer. Di recente ha pubblicato Material gworrllllllll!, una collaborazione con il rapper Saucy Santana che mixa la sua canzone Material girl, a sua volta in qualche modo ispirata alla hit del 1984 di Madonna. La collisione è un po’ disordinata: la voce di Madonna sembra essere passata attraverso una sorta di filtro iper-pop e il pezzo è vivace ma manca d’eleganza.
Saucy Santana è un rapper gay diventato famoso grazie ai reality show e poi a TikTok. Tra i frammenti di canzoni che hanno raccolto sempre più successo online, Material girl era la più intensa, un’ode al lusso commerciale, cruda quanto l’originale di Madonna.
Ma il titolo ammiccante è stato l’espediente più efficace, un modo per collegare la sua faccia tosta a quella di Madonna. Il circolo si chiude con il singolo più recente di Saucy Santana, Booty, che riprende lo stesso celebre campionamento di tromba di Crazy in love di Beyoncé. Anche in un anno in cui tante popstar hanno esplicitamente saccheggiato il passato alla ricerca di campionamenti, questa è stata una manovra particolarmente audace. Soprattutto se si considera che il prestito non è, in realtà, da Crazy in love, ma semmai da Are you my woman? (Tell me so) dei Chi-Lites, a sua volta campionata per il brano di Beyoncé.
Anche qui, il collegamento al passato è un gioco di prestigio. Per i non addetti ai lavori, Booty suona come se fosse stata ufficialmente approvata dalla stessa Beyoncé. Per i meno ingenui, potrebbe sembrare che l’approvazione sia implicita. Ma forse Saucy Santana l’ha semplicemente presa in contropiede.
Qualunque sia la verità, questi prestiti dimostrano che Saucy Santana è una pop star che capisce che la fama è un pastiche. Si sta costruendo un personaggio partendo da elementi che sono lì per essere presi, e preferisce rischiare di dover chiedere scusa dopo piuttosto che preoccuparsi di chiedere il permesso prima. Alla fine fa esattamente quello che hanno fatto le altre star prima di lui. ◆ ff
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Questo articolo è uscito sul numero 1474 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati