Gli autisti di Uber che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese a volte dormono nella loro auto. In questo modo si tengono sempre disponibili, risparmiano qualche viaggio, e possono sfruttare al meglio le ore di punta. Dopo il tramonto entrano in un parcheggio, tirano fuori i sacchi a pelo e dormono, anche se solo per cinque o sei ore.
Dormire in macchina non è il massimo. La scomodità, la luce, la temperatura e la mancanza di servizi igienici rendono molto difficile riposare in modo adeguato. In queste condizioni il sonno di solito è breve e di pessima qualità. Poi ci sono i problemi legati alla privacy, perché si è esposti allo sguardo dei passanti e della polizia. Dormire in macchina significa infrangere una norma, e quindi attirare sospetti. Dormire sul posto di lavoro crea gli stessi problemi: un senso di connessione permanente, che può diventare sfruttamento. E quasi certamente implica dormire da soli.
Le persone che dormono nei parcheggi rappresentano una delle versioni più estreme dei problemi che le società di oggi hanno con il sonno. In molte fasce sociali, nel settore pubblico e in quello privato, le persone dormono male, e alcune molto peggio di altre. Tra chi dorme per strada e chi vive nel lusso ci sono molte sfumature di silenziosa sofferenza. Tra le tante cose che ha fatto la pandemia di covid-19, c’è l’aver messo in evidenza le disuguaglianze nella qualità del sonno: le richieste eccezionali fatte ad alcuni lavoratori, come gli operatori sanitari e gli addetti alle consegne, dimostrano le disparità che raramente erano state così chiare.
Quando il sonno è scarso o disturbato, e soprattutto quando questi problemi sono distribuiti in modo non uniforme, emergono questioni di giustizia sociale. Nascono forme di disuguaglianza evitabili, perché le persone si trovano a vivere in contrasto con le esigenze del proprio corpo e le norme della società in generale. Entra in gioco una serie di difficoltà fisiche, materiali e sociali, spesso accompagnate da svantaggi politici che hanno a che fare con l’esercizio dei propri diritti. Le persone che non hanno questo tipo di problemi tendono, anche se involontariamente, ad aggravare la situazione, e spesso ne traggono vantaggio. Siamo nel campo della giustizia circadiana, riassumibile così: “Non c’è uguaglianza senza uguaglianza del sonno”.
I problemi del sonno sono importanti non solo in quanto sintomo di altri problemi. Lo sono di per sé. Dormire male può rendere situazioni negative ancora meno sopportabili, ed è spesso quello che le rende insopportabili. Questa condizione si accompagna a una serie precisa di rischi, e può influenzare la capacità delle persone di cambiare la loro vita, aggravando altri svantaggi. Spesso chi è troppo stanco o demotivato si lascia sfuggire le opportunità. La mancanza di sonno è uno svantaggio corrosivo e produce svantaggi a catena.
Dormire male influisce anche sull’umore di una persona, e quindi sul modo in cui vive e valuta quello che le succede
Anche se è un bisogno, il sonno è negoziabile. Nel corso del tempo le società hanno modificato il loro modo di dormire e le minoranze sono riuscite a cavarsela con meno sonno del necessario, a volte per lunghi periodi. Tutti valutano il sonno rispetto ad altre priorità. Questa elasticità fa in modo che l’individuo sia sfruttato, da se stesso e dagli altri, perché la componente non essenziale del sonno si riduce. Gli effetti delle disuguaglianze che questo produce possono essere rimandate, ma non all’infinito. E alla fine presentano il conto.
Si sente dire spesso che il sonno breve è in aumento. Sembra che in Nordamerica una persona dorma in media sei ore e mezzo a notte, rispetto alle dieci ore dei primi anni del novecento. Questa stima viene spesso contestata e, in ogni caso, le medie sono fuorvianti. Meno discutibile è il cambiamento agli estremi. Il sonno breve riguarda una crescente minoranza della popolazione attiva. Questo dipende da vari fattori, dagli sviluppi tecnologici alle esigenze di produttività del sistema capitalistico. Sindacati deboli e basse retribuzioni aumentano le pretese nei confronti dei lavoratori: la pressione a fare gli straordinari o a svolgere più lavori. Pressioni simili ricordano quelle descritte da Karl Marx nel Capitale del 1867, nella parte dedicata alla giornata lavorativa, ma con la differenza che oggi i lavoratori sono meno organizzati per contenerle. L’inquinamento acustico delle moderne infrastrutture di trasporto è un fattore aggravante, insieme a dispositivi elettronici sempre più immersivi.
Senza tempo
Il sonno breve è spesso associato all’irregolarità. Per una consistente minoranza di persone, le ore di riposo e anche il posto in cui si dorme cambiano di continuo. Il settore dei servizi offre molti esempi di questo tipo. Basta pensare a quei lavori, indicati con il termine inglese clopening, in cui un dipendente deve chiudere l’attività la sera tardi e poi riaprirla la mattina dopo senza avere avuto il tempo di godersi un’intera notte di riposo. Nonostante gli sforzi per renderla illegale, questa pratica rimane diffusa in Nordamerica e non solo.
Anche il sonno irregolare può essere fonte di sfinimento. I turnisti lo segnalano come uno dei problemi più difficili da superare. In tanti casi provoca una mancanza di controllo che impedisce di organizzarsi e adattarsi. E spesso, visto che la gestione del lavoro è automatizzata, non c’è nessuno con cui lamentarsi. Il lavoratore deve adattarsi o rischia di perdere il posto. Le donne e le persone che appartengono alle minoranze etniche sono particolarmente colpite. Ai livelli sociali più alti, l’aumento del lavoro da casa crea altri problemi, annullando il confine con il riposo.
Una terza tendenza di cui si parla meno è la desincronizzazione del sonno. Più del 10 per cento dei dipendenti del Regno Unito lavora di notte, in particolare nei settori dell’assistenza sanitaria, delle emergenze e dei trasporti, con un aumento del 3 per cento in cinque anni. Questa tendenza è ormai evidente anche nei paesi in via di sviluppo. Nell’Europa orientale e in Asia l’esternalizzazione di call center e servizi informatici ha creato gruppi di lavoratori obbligati a vivere secondo i fusi orari dei mercati occidentali. Diventano così una minoranza definita dal suo scoordinamento con le norme locali. Visto che la pandemia ha costretto nuovi tipi di operatori dei servizi a lavorare a distanza – per esempio nel settore dell’insegnamento e dell’assistenza sanitaria – in occidente e nei suoi mercati si sta instaurando un sistema basato sul modello 24 ore su 24, sette giorni su sette.
Queste dinamiche – riduzione, irregolarità e desincronizzazione del sonno – hanno anche aspetti positivi. Contribuiscono ad aumentare la produttività economica; permettono di entrare in contatto con i mercati internazionali; chi lavora di notte ha più libertà perché non è controllato dai superiori. Ma allo stesso tempo pongono il problema di chi può dormire bene e in un modo che sia in sintonia con altri aspetti della vita.
Come ha raccontato un medico del Regno Unito al Guardian nel 2016: “L’anno scorso percorrevo ogni giorno 16 chilometri lungo tortuose strade di campagna e dopo sette turni di notte consecutivi (per un totale di novanta ore settimanali) mi sono schiantato con la macchina contro il muretto di mattoni davanti casa. Per fortuna il danno è stato solo materiale. Nel mio ospedale non c’era una stanza in cui potevo riposare dopo il turno di notte, quindi quando finivo, verso le dieci o undici di mattina dovevo decidere se rischiare di guidare fino a casa o dormire nella sala comune del personale, dove facevano una pausa i miei colleghi del turno di giorno. Non è dignitoso. Non è sicuro e non è giusto nei confronti dei medici costretti a prendere queste decisioni o dei pazienti che stavano curando mezz’ora prima”.
L’aumento del rischio di incidenti è uno degli effetti più gravi del sonno breve e irregolare. Nel Regno Unito due medici su cinque hanno raccontato di essersi addormentati al volante e alcuni di loro sono morti.
Tra gli altri inconvenienti associati alla scarsità di sonno ci sono obesità, infezioni, disturbi psicologici, deficit dell’attenzione e difficoltà di memoria. Dormire male comporta anche problemi apparentemente non correlati. Influisce sull’umore di una persona, e quindi sul modo in cui vive e valuta quello che le succede. Può aggravare gli svantaggi legati alla classe, all’appartenenza etnica e al genere. I gruppi più svantaggiati tendono ad avere un sonno meno regolare e poco controllo sulle ore in cui possono dormire, sono meno motivati a proteggerlo e hanno meno possibilità di decidere le norme su cui si basano le società di cui fanno parte.
Richieste insopportabili
Possiamo parlare di un “divario del sonno”, che separa chi dorme male da chi è riposato. Le persone del primo gruppo non sono solo quelle che dormono meno della media ma quelli con bisogni particolari. Le stesse richieste hanno un impatto diverso su diversi cronotipi. Quelli che per natura dormono a lungo sono particolarmente danneggiati da un sonno breve o irregolare. Le persone con alcune malattie possono avere più bisogno di dormire. Anche l’età conta: le ricerche etnografiche sui turni di notte suggeriscono che quando si invecchia dormire a orari irregolari diventa più pesante e ingestibile. E poi ci può essere una predisposizione ad alzarsi presto o tardi, per cui anche i normali orari di lavoro o di scuola diventano difficili da rispettare, e le richieste contrarie ai ritmi naturali sono particolarmente insopportabili.
Qualcuno potrebbe dire che le disuguaglianze di sonno non sono una questione di ingiustizia. Sono il riflesso della scelta di accettare determinati ruoli o svolgere determinate attività. Quei conducenti di Uber che dormono qualche ora nel parcheggio forse vivono una vita scomoda, ma se la sono scelta. Il problema, naturalmente, è che le scelte individuali sono spesso limitate dalla mancanza di alternative. Anche i cosiddetti lavoratori autonomi possono essere spinti dalla tecnologia a lavorare più a lungo e con orari più irregolari di quanto vorrebbero. Chi è cronicamente privato del sonno può anche non essere consapevole di quanto sia stanco, il che gli impedisce di valutare le sue condizioni di lavoro. E le decisioni individuali hanno effetti anche sugli altri: familiari, vicini ed estranei.
Diventa più chiaro se consideriamo le implicazioni della desincronizzazione del sonno. Prendiamo, per esempio, l’impiegata di un call center che svolge il turno serale e torna a casa nelle prime ore del mattino in un piccolo appartamento che condivide con i genitori. Dorme sul divano per evitare di disturbarli, ma suo padre ha il sonno leggero e si sveglia: la notte per lei comincia con un litigio. La ragazza dorme in modo decente per qualche ora, fino a quando i genitori si alzano per fare il caffè, alle 7 del mattino. Li prega di stare zitti e di abbassare la radio. Lo fanno per un po’, ma le pareti sono sottili, e la seconda volta che glielo chiede non l’ascoltano. In ogni caso, in strada ci sono dei bambini che fanno rumore mentre vanno a scuola. Fa troppo caldo per tenere la finestra chiusa. C’è un periodo di calma intorno alle 8.30, ma poi parte il rumore di un trapano al piano di sopra. Parla con il vicino, ma lui cosa può farci? Gli operai preferiscono fare i lavori più pesanti al mattino e hanno già rimandato di un’ora.
In materia di sonno, far parte di una minoranza significa non avere il sostegno delle norme sociali. Chi dorme di notte può chiedere a quelli che lo disturbano di tacere e può aspettarsi che il suo spazio personale sia rispettato. Chi dorme di giorno deve essere più determinato nel difendere la sua pace e deve fare i conti con la probabilità di essere ignorato o rimproverato. Quando è sveglio, potrebbe essere accusato di disturbare gli altri o perfino di agire in modo sospetto. Far parte di una minoranza del sonno significa essere soggetti a critiche. Vuol dire doversi sempre giustificare più degli altri.
Ci sono anche altre disuguaglianze. Dagli ambulatori medici e dentistici alle scuole, le istituzioni pubbliche delle società contemporanee prevedono i loro servizi solo durante il giorno, quindi chi vive seguendo altri ritmi è svantaggiato. Questo non danneggia solo chi dorme di giorno ma anche i suoi familiari. I turnisti con figli che vanno a scuola sono presi tra due orari di sonno e devono far fronte alle esigenze di entrambi. Sembra che i loro bambini si assentino più spesso a scuola e mostrino problemi comportamentali e di salute. Queste difficoltà aggravano le disuguaglianze legate all’assistenza sanitaria e all’istruzione e hanno effetti sulla parità di genere quando i partner cercano di alleggerire il peso dei lavori domestici.
Queste disuguaglianze sono una questione di giustizia nel senso che le loro conseguenze sono imposte e immeritate. Considerevoli minoranze sono escluse dai benefici di cui gode la maggioranza. La verità è che la maggioranza può trarre vantaggio dall’esistenza delle minoranze, per esempio se i turnisti svolgono funzioni sociali. L’equità suggerirebbe che chi dorme secondo ritmi “normali” (di notte) dovrebbe evitare di approfittare dei sacrifici di chi dorme a orari irregolari.
Le conseguenze più dannose delle disuguaglianze legate al sonno hanno a che fare con la politica. L’esercizio dei diritti di cittadinanza dipende da fattori come la sicurezza economica, il tempo e l’energia. Quando il sonno è poco, scadente o regolato in modo tale da ostacolare altre attività, l’impegno civile ne risente. Secondo alcuni studi, le persone cronicamente stanche votano e protestano meno. Chi dorme in modo irregolare trova difficile partecipare alla vita pubblica e godersi il proprio tempo libero. Chi lavora di notte può sentirsi alienato da quello che succede di giorno. Il fatto che gli svantaggi del sonno irregolare tendono ad aggiungersi ad altri tipi di svantaggi implica che le persone meno inclini a esercitare i loro diritti politici siano quelle che avrebbero più bisogno di farlo: è meno probabile che le politiche di cui potrebbero beneficiare vengano portate avanti se loro non partecipano al processo politico. La desincronizzazione del sonno riduce anche il tempo in cui i cittadini possono coordinarsi politicamente. Dalle manifestazioni di protesta alle riunioni di partito, la cittadinanza attiva dipende dalla disponibilità di tempo libero condiviso.
Una popolazione stanca tende ad accettare più facilmente quei tipi di regimi che scoraggiano la partecipazione. La stanchezza compromette la capacità di una persona di prendere decisioni da solo. Inibisce le funzioni cognitive necessarie per una prospettiva orientata verso l’altro e centrata sull’azione. Spesso il risultato è il disimpegno politico, l’accettazione di forme di governo carismatiche e tecnocratiche che attribuiscono il potere decisionale alle élite.
Le strutture abitative ad alta densità spesso risalgono a un’epoca in cui le persone lavoravano più o meno nelle stesse ore
In Fuga dalla libertà (1941), lo psicanalista tedesco Erich Fromm osservava che i regimi autoritari hanno successo quando l’opinione pubblica è in uno “stato di stanchezza interiore e rassegnazione che è tipico degli individui dell’epoca attuale, anche nei paesi democratici”. Per Fromm questa vulnerabilità era uno dei fattori che avevano facilitato l’ascesa del nazismo in Germania. Lo psicanalista arrivò al punto di denunciare la capacità di Hitler di manipolare il popolo giocando sulla sua stanchezza: “Nel Mein Kampf non esita a dire che la stanchezza fisica del popolo è una condizione molto ben accetta perché lo rende suggestionabile. A proposito dell’ora del giorno più adatta per le adunate di massa, osserva: ‘Sembra che al mattino e anche durante il giorno la forza di volontà degli uomini si ribelli con la massima energia al tentativo di imporgli il volere e le idee di un altro. La sera, invece, soccombono più facilmente alla forza dominante di una volontà più forte’”.
Secondo Fromm, manipolando le masse sulla base del loro bisogno di dormire il leader autoritario sperava di ottenere il loro consenso a rinunciare ai propri diritti politici.
Il sonno può anche essere un modo per dividere e governare, incoraggiando la competizione e l’insicurezza. Una delle spiegazioni funzionali del sonno simultaneo nelle società moderne ha a che fare con la prevenzione dei conflitti e la solidarietà. Quando le persone dormono nello stesso momento, hanno meno motivo di temere che gli altri guadagnino a loro spese. Il vero riposo, si potrebbe dire, dipende dalla convinzione che anche gli altri stiano riposando. Implica la sospensione della competizione. Con la desincronizzazione del sonno, in una società attiva 24 ore su 24 e sette giorni su sette, questo elemento non può più essere dato per scontato. A prescindere da come organizzi il suo sonno, ognuno deve fare i conti con l’attività dei colleghi che sono svegli e con la possibilità di perdere un’occasione, sia sul posto di lavoro sia nella società in generale. Per chi dorme mentre gli altri sono attivi, c’è sempre la possibilità che le cose importanti succedano senza di loro.
Consigli inutili
Oggi le politiche pubbliche tendono a considerare il sonno come una questione di cura di sé. Le persone sono incoraggiate ad avere buone abitudini. Lo stesso succede nel dibattito pubblico, con gli esperti che consigliano pratiche di “igiene del sonno”, per esempio cercare di andare a dormire intorno alle dieci di sera. È un approccio insufficiente dal punto di vista della giustizia circadiana. Questi consigli tendono a privatizzare il sonno e il disagio che crea. Ritenere gli individui responsabili dei problemi collettivi è quasi sempre una pessima idea, ma lo è in particolare in un campo come quello del sonno, in cui il senso di responsabilità personale genera ulteriore ansia.
Al contrario, bisognerebbe chiedersi se le società contemporanee possono essere ripensate in modo da rispettare la giustizia circadiana. Cosa vuol dire? In primo luogo, vanno affrontate le cause del sonno breve e irregolare. Oltre alla settimana lavorativa, bisognerebbe rivedere anche la durata dei turni. I diritti che danno ai lavoratori più voce in capitolo sugli orari sono cruciali e stanno cominciando a farsi strada, negli Stati Uniti per esempio sotto forma di leggi sulla pianificazione “predittiva” (per cui il dipendente ha diritto, per esempio, di conoscere con un certo anticipo gli orari di lavoro). Nell’Unione europea la proposta di legge sul diritto alla disconnessione vuole stabilire le ore in cui i dipendenti non sono tenuti a rispondere alle comunicazioni di lavoro, offrendo una certa protezione alle ore di riposo. Gli aggiustamenti fatti durante la pandemia in molti settori dimostrano che i dipendenti possono avere più voce in capitolo su quando cominciare a lavorare.
Alcuni sostengono che il sonno dovrebbe essere protetto dalla legge. Il “diritto al sonno” potrebbe essere inteso come un modo per garantire l’esercizio dei diritti politici, estendendo il principio espresso dal sociologo inglese T.H. Marshall in Cittadinanza e classe sociale (1949). Applicare questo diritto sarebbe sicuramente complicato, ma per certi versi la sua imprecisione fa parte del suo fascino. Chiedere di poter fare un buon sonno implica molte cose, dal diritto ad avere un tempo sufficiente per dormire al diritto ad avere un posto in cui farlo.
Diventare poliritmici
E la desincronizzazione? Un obiettivo sarebbe eliminarla. Si potrebbe adottare un modello omoritmico, che preveda il sonno sincronizzato. Per riuscirci si potrebbero introdurre norme che stabiliscano determinate ore di riposo per tutti, come succede per l’apertura dei negozi la domenica. Dato che le società contemporanee sono condizionate dalla globalizzazione dell’economia, servirebbero anche norme per invertire il processo di delocalizzazione dell’attività economica. Ma nessuna società moderna può mirare al sonno simultaneo. Se gli ospedali e altri servizi devono essere aperti di notte, è necessario accettare un certo grado di desincronizzazione.
L’alternativa è un modello poliritmico, in cui si facilitano diversi orari di riposo e si adottano aggiustamenti per limitare i problemi e gli svantaggi. Un sistema di questo tipo rispetterebbe i diversi bisogni biologici delle persone e la loro libertà di scegliere il modo in cui vivono. Se oggi la vita desincronizzata è frutto della mancanza di alternative, si può immaginare un mondo dove le persone la scelgono liberamente.
◆ La perdita di petrolio dalla nave Exxon Valdez nel 1989, il disastro dello Space Shuttle Challenger del 1986 e l’incidente ferroviario del 2001 a Selby, nel Regno Unito: “Questi eventi hanno un elemento in comune”, scrive New Scientist. “Sono stati causati da errori umani in parte dovuti alla mancanza di sonno”. Ne parla Russell Foster, uno scienziato che studia gli effetti dei problemi del sonno, nel libro Life time (2022). “Secondo Foster, il sonno è la ruota che tiene in funzione i nostri ritmi circadiani; quando si guasta, il corpo va in tilt. Questa relazione è così importante che la sua interruzione ha un nome: disturbo del sonno e del ritmo circadiano (Scrd). La mancanza di riposo contribuisce ad aggravare una serie di disturbi, tra cui malattie cardiache, demenza, prestazioni cognitive, infertilità e obesità”. Alcuni studi hanno dimostrato che tra i fattori che aggravano i problemi del sonno c’è la crisi climatica. Kelton Minor dell’università di Copenaghen, in Danimarca, ha raccolto i dati sul sonno di 48mila persone in 68 paesi tra il 2015 e il 2017 e li ha confrontati con le informazioni meteorologiche, scoprendo che nelle notti insolitamente calde le persone si addormentano più tardi e si alzano prima. Secondo Minor, per questo motivo le persone perdono in media 44 ore di sonno all’anno, che arriveranno a 58 entro il 2100 se le emissioni di anidride carbonica resteranno ai livelli attuali. A essere colpiti sono soprattutto i paesi a basso reddito, le donne e gli anziani.
Riconfigurare le istituzioni pubbliche in modo che possano essere accessibili a tutte le ore, sarebbe un piccolo cambiamento in questa direzione. Mi vengono in mente gli uffici di collocamento, le agenzie per l’edilizia abitativa e gli uffici comunali, oltre alle sedi dei sindacati e dei partiti. Meno ovvio sarebbe cercare di garantire centri polivalenti aperti 24 ore su 24, con servizi tra cui wifi e mense, come luoghi di interazione sociale che offrono alternative al cibo spazzatura su cui spesso fa affidamento chi ha orari di lavoro irregolari. Si potrebbero creare più festività nazionali per consentire di recuperare il sonno e periodi comuni di tempo libero per permettere ai turnisti di frequentare altre persone. In questo modo aumenterebbero le opportunità per partecipare alla vita politica e crescerebbe la solidarietà.
Ma in definitiva un approccio poliritmico dovrebbe estendersi a molti aspetti della vita sociale. Le strutture abitative ad alta densità, dai condomini alle villette a schiera, spesso risalgono a un’epoca in cui le persone lavoravano più o meno nelle stesse ore, e il disturbo reciproco era ridotto al minimo. Per rinnovarle adattandole a un’epoca di attività desincronizzate ci vorrebbero norme più severe sull’isolamento acustico e luminoso, sul distanziamento sociale e sull’accesso alle attività economiche. Consentire alle persone di vivere una vita meno soffocante, soprattutto se lavorano di più da casa, è fondamentale per limitare le disuguaglianze del sonno. È alla base dell’organizzazione della società e dell’economia.
Prendere iniziativa
Il problema di puntare sulle politiche pubbliche è che servirebbe una certa dose di buona volontà da parte dei governi, un elemento che non può essere dato per certo. È importante che i cittadini partecipino al processo democratico perché non è scontato che i politici facciano i loro interessi. Una popolazione riposata, insieme a tutto ciò che è necessario per ottenere questo risultato, non è tra le priorità delle autorità, e forse non è nemmeno qualcosa che vogliono. Cosa significherebbe per i lavoratori affrontare le conseguenze di poco sonno senza avere il sostegno dell’amministrazione pubblica, cioè trovarsi in una situazione che rievoca le lotte descritte da Marx?
Nelle società industrializzate di oggi è difficile mobilitare l’opinione pubblica. Spesso quelli che dormono poco non hanno molto altro in comune tra loro e quindi non hanno gli elementi necessari per riconoscersi a vicenda, a parte l’occasionale sbadiglio. Una delle difficoltà della giustizia circadiana è che non è affatto chiaro chi dovrebbe portarla avanti.
Su questo c’è una grande contraddizione: solo le istituzioni e le organizzazioni, non esposte alla vulnerabilità che affligge gli individui, possono resistere alla pressione della fatica e cercare di affrontare le cause delle ingiustizie del sonno; ma allo stesso tempo le persone che dormono poco e in modo irregolare fanno fatica a influire su questi enti. Chi è stanco e disconnesso dagli altri per via degli orari di riposo deve affidarsi sempre di più a realtà intermedie – un partito, un sindacato, un movimento politico – per capire come risolvere i suoi problemi, ma non può a causa delle disuguaglianze da cui è colpito. Se vogliamo fermare gli effetti a catena del sonno insufficiente, probabilmente l’iniziativa dovrà partire da quelli che sono più riposati. ◆ bt
Jonathan White insegna scienze politiche alla London school of economics and political science ed è visiting fellow presso il New Institute di Amburgo.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1464 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati