Quando il presidente della Germania, Frank-Walter Steinmeier, a febbraio del 2022 ha visitato il Senegal per partecipare a un vertice economico, si è allontanato dalle sale conferenze della capitale Dakar per andare a sporcarsi le mani. Letteralmente: ha imparato come si realizzano dei mattoni di terra compressa con una miscela di terriccio ferroso, sabbia, acqua e un po’ di cemento.

Questo corso era uno degli eventi organizzati per l’inaugurazione del nuovo istituto Goethe, che promuove la lingua tedesca nel mondo. L’edificio che lo ospita è stato progettato dall’architetto Francis Kéré, nato in Burkina Faso e residente a Berlino, famoso in tutto il mondo per le sue strutture armoniose in grado di adattarsi ai diversi climi. Quella di Dakar è orientata in modo che gli alberi vicini forniscano ombra, e le sue spesse pareti – per cui sono stati usati gli stessi mattoni in terra cruda che Steinmeier stava provando a fabbricare – isolano l’interno dal caldo clima senegalese. Uno strato di pareti perforate avvolge l’edificio come una membrana, filtrando la luce del sole e incanalando le correnti d’aria. All’evento il ministro senegalese per l’urbanistica, Abdoulaye Saydou Sow, ha elogiato la scelta dei materiali di Kéré, promettendo che il governo “s’impegnerà a integrare questo tipo di materiali nei progetti edilizi”.

L’architetta senegalese-camerunese Nzinga Mboup, 33 anni, era tra il pubblico all’inaugurazione, vestita con un abito color bronzo che scintillava in mezzo a un mare di abiti scuri. Era entusiasta delle parole del ministro. Mboup è tra i fondatori di uno studio di architettura chiamato Worofila e ha lavorato con Kéré al progetto di Dakar. Anche il suo studio presta grande attenzione al clima locale, spesso prendendo in prestito dalle tradizioni popolari dell’Africa occidentale tecniche di raffrescamento passivo a bassa tecnologia. Queste semplici strategie possono sembrare poco rivoluzionarie, ma nelle città senegalesi lo sono.

Oggi Dakar è fatta soprattutto di grandi parallelepipedi di cemento, i cui tetti piatti sono usati per stendere il bucato, tenerci le pecore o entrambe le cose. E spuntano di continuo nuovi blocchi: da ogni balcone si vede un panorama fatto di cantieri, e i marciapiedi della città sono costantemente ostruiti da tondini di metallo, sacchi di cemento e cumuli di sabbia e ghiaia.

La proprietà del cemento di trattenere il calore non si adatta al clima senegalese, che nei prossimi decenni – secondo i modelli di previsione dei cambiamenti climatici – continuerà a riscaldarsi. Eppure questo materiale è diventato “tradizionale” in un paese in cui, sottolinea Mboup, si usano ancora quattro diverse tecniche di costruzione con il fango. Nel nord, dove le piogge sono scarse, gli abitanti usano il banco, un tipo di costruzione fatta con mattoni essiccati al sole; nelle aree boschive del sud, si usano telai in legno per creare strutture in cannicciato e argilla, oppure si modellano a mano edifici di terra e si coprono con tetti ampi e spioventi perché la pioggia non bagni le pareti. Per generazioni, i costruttori senegalesi hanno impiegato il fango per realizzare non solo casupole e granai, ma anche case a più piani e moschee imponenti.

Troppo caldo

La prima volta che ho incontrato Mboup ci eravamo date appuntamento al bar sulla terrazza dell’hotel Le Djoloff, un palazzo che si discosta dai tipici blocchi di cemento di Dakar. I soffitti alti, i graziosi cortili e i balconi ornati di bouganville sono caratteristici dello stile coloniale francese, ma quasi la metà dell’edificio è costruita con mattoni di fango, il cui splendido color ocra contrasta con il grigiore del resto della città.

Da ogni balcone si vede un panorama fatto di cantieri, e i marciapiedi della città sono costantemente ostruiti da cumuli di sabbia e ghiaia

Mboup e Nicolas Rondet, l’architetto con cui ha fondato lo studio, fissano spesso gli appuntamenti qui. Worofila non ha partecipato alla progettazione dell’edificio, ma i suoi uffici sono poco distanti, nello stesso quartiere tranquillo. Inoltre, secondo loro, l’elegante hotel dimostra tutto il potenziale delle costruzioni moderne in fango. Quando Mboup racconta che è un’architetta specializzata nel costruire con la terra, i senegalesi con cui parla rimangono sempre di stucco. “Dicono: ‘Come fai a costruire con il fango? Il fango non dura’”. Forse hanno in mente vecchie storie dell’orrore su case che all’inizio della stagione delle piogge cominciavano a perdere fango, o che a volte si scioglievano o sgretolavano in caso di forti acquazzoni. Spesso pensano che il cemento sia più facile da usare e che sia un investimento più sicuro, per quanto anche alcuni edifici in cemento mal costruiti siano crollati nelle passate stagioni dei monsoni.

In generale gli edifici in cemento sono più resistenti alla pioggia delle costruzioni fatte di terra, soprattutto di quelle che non hanno fondamenta robuste e un buon tetto. E richiedono meno manutenzione delle altre, che devono essere regolarmente intonacate per conservarne l’integrità. Però il cemento ha degli svantaggi. “Le persone costruiscono case in cemento”, dice Mboup, “ma poi la notte non riescono a dormire perché all’interno fa troppo caldo”.

I materiali edili a base di terra cruda, come l’adobe (impasto di argilla, sabbia e paglia), la terra battuta e i mattoni di terra compressa usati in edifici come l’hotel Le Djoloff e quelli di Kéré, hanno un’inerzia termica maggiore rispetto al calcestruzzo: limitano il calore e il freddo in modo più efficiente, e riducono il bisogno di aria condizionata. Questi materiali, combinati a un attento studio dell’orientamento di un palazzo, contribuiscono a ridurre il consumo di energia nei momenti di maggiore domanda.

Ma nel Senegal di oggi la resistenza alle costruzioni in fango va oltre le questioni pratiche: questo materiale è considerato un simbolo di povertà, un’ultima risorsa per chi non ha altra scelta. L’architetto e professore senegalese Mamadou Jean-Charles Tall ha passato gran parte della sua carriera quarantennale a combattere questo stereotipo. All’inizio degli anni ottanta, quando tornò in Senegal dopo aver studiato architettura a Marsiglia, cominciò a dire che avrebbe costruito con la terra invece che con il cemento. “Mi guardavano come se fossi appena arrivato da Marte”, ricorda. Ancora oggi Tall riceve la stessa reazione dai clienti. “Nella mente dei senegalesi, e suppongo di molti altri africani, costruire con il fango è come tornare al villaggio”, dice.

Man mano che la strada prosegue verso nordest, compaiono case fatte di canne e paglia, seguite da altre costruite in banco rosso ruggine

Pigrizia architettonica

Il geografo urbano Eric Ross, professore all’università Al Akhawayn di Ifrane, in Marocco, e studioso dello sviluppo delle città senegalesi, afferma che la denigrazione del fango come materiale edile cominciò dopo l’ascesa del cemento, durante il periodo postcoloniale degli anni sessanta e settanta. A quei tempi i paesi africani stavano dando forma a nuove identità, riscrivendo il loro passato agricolo e abbracciando tutto ciò che era associato alla modernità. “Era come se si stesse costruendo una nazione, fisicamente, con il cemento”, racconta Ross. Nel Senegal indipendente spuntarono ovunque palazzi in cemento: hotel e condomini, strutture innovative a forma di triangoli e poligoni, spigolosi grattacieli brutalisti in cemento e vetro. Il cemento fu usato anche per le villette monofamiliari e nei bungalow, e in poco tempo invase il mercato.

È un materiale facile da reperire – almeno in Senegal, che ha tre cementifici – e ora, afferma Tall, la maggior parte delle aziende edili e dei muratori locali sa usare solo il cemento e fare il calcestruzzo: “Spesso nascono dei problemi nei cantieri dove si lavora con la terra semplicemente perché alcuni muratori non sanno proprio come trattarla”.

Secondo Tall il maggiore accesso all’aria condizionata ha creato una sorta di pigrizia architettonica, perché non c’è più bisogno di contare sulla progettazione per mantenere freschi gli edifici. Lungo una delle strade principali di Dakar, osserva, tutti i grandi palazzi di uffici sono orientati a ovest, con le finestre esposte al sole da mezzogiorno fino al tramonto. “Non importa a nessuno, perché pensano di poter accendere l’aria condizionata”, dice. Le aziende, però, si preoccupano per le bollette dell’elettricità, sempre più alte.

Rondet, 33 anni, è cresciuto in Francia e la sua preoccupazione per il cambiamento climatico l’ha spinto a studiare edifici a bassa tecnologia e alta efficienza energetica, che un tempo erano più comuni in Europa, Asia e Africa.

Ma, come giovane professionista a Parigi, ha trovato poco sostegno. “Nella mia esperienza quasi tutti volevano costruire in modo convenzionale: immobili in cemento armato, coibentati come tutti gli altri, con pannelli solari sul tetto per poterli definire ‘verdi’”, racconta. “Niente di sostanziale, nessuna riflessione ampia su cosa significhi costruire in modo ecologico”. Ha deciso perciò di cercare un posto in cui quelle tecniche fossero ancora usate per poterle includere nei suoi progetti. Quando alla moglie di Rondet, anche lei architetta, è stato offerto un incarico in un progetto di restauro a Dakar, lui ha sentito di aver trovato un punto di partenza.

Nell’entroterra

Anche se Dakar e la maggior parte delle città costiere del Senegal sono dei monumenti al cemento, ci sono aree del paese in cui l’edilizia tradizionale resiste. Durante le otto ore di viaggio da Dakar alla città di Podor, nel nord, la strada nera attraversa un oceano di sabbia crepitante. Vicino alla costa i villaggi sono dominati da abitazioni in calcestruzzo, prima prevalentemente a più piani, poi soprattutto a un piano. Man mano che la strada prosegue verso nordest, compaiono case fatte di canne e paglia, seguite da altre costruite in banco rosso ruggine.

Podor si trova su una sponda del fiume Senegal, non lontano dal confine meridionale del Sahara. Per secoli, gli abitanti hanno costruito case in grado di resistere a un ambiente ostile. Quando ci sono stata, a febbraio, facevano quasi 38 gradi e l’aria era piena di polvere. Le temperature si avvicinano regolarmente ai 43 gradi e possono sfiorare i 49 gradi nei mesi tra aprile e giugno. Lo stesso giorno in cui ero a Podor, all’aeroporto internazionale del Senegal, vicino a Dakar e alla costa, facevano 24 gradi. Secondo i modelli che cercano di prevedere il cambiamento climatico, entro la fine del secolo il clima della costa potrebbe somigliare a quello dell’interno, quindi Dakar potrebbe aver bisogno d’ispirarsi a Podor.

Nel villaggio di Ngaolé, Ousmane Mbodj e la sua famiglia mi hanno invitato nella loro casa in banco e, non appena sono entrata, ho sentito il mio corpo rilassarsi. Non avevo un termometro, ma la variazione di temperatura è stata un sollievo.

Mbodj ha costruito quella casa per la sua famiglia nel 2006. “Abbiamo preso il banco proprio qui, nel cortile”, ha detto. La maggior parte delle case del villaggio sono costruite allo stesso modo. I muri spessi forniscono un naturale isolamento dal sole, mentre il piccolo numero di finestrelle aiuta a mantenere fresco l’interno. All’esterno, le verande ricoperte di paglia o dalle pareti traforate creano ombra e possono essere usate come stanze esterne. Per Mbodj e molti dei vicini, costruire con il banco è una tradizione che risale a molte generazioni fa.

Ma lo stesso Mbodj ammette che preferirebbe costruire en dur, in cemento, se ne avesse la possibilità. Innanzitutto, il tetto perde durante la stagione delle piogge perché i topi amano rosicchiare il fango e il fieno, un problema che lui cerca di risolvere da anni. Inoltre, una casa di cemento è più signorile, osserva, e sarebbe un modo per vantarsi del proprio successo finanziario. Il fango sarà anche la tradizione del posto, ma in genere lo si usa se si è poveri e non si hanno altre opzioni.

Nel centro di Podor l’amministrazione provinciale sta costruendo un edificio in mattoni di fango usando la tecnica della volta nubiana. Questo metodo, originario dell’antico Egitto, sfrutta gli archi per creare strutture autoportanti in adobe. La tecnica fu ripresa negli anni quaranta dall’architetto egiziano Hassan Fathy, che cercò di creare un intero villaggio di strutture a volta nubiana sulle rive del Nilo. Il progetto non fu mai portato a termine, ma il suo approccio, documentato nel libro del 1973 Costruire con la gente. Storia di un villaggio d’Egitto: Gourna, suscitò in tutto il mondo un nuovo interesse per questo tipo di edilizia. Nel 2000 l’organizzazione non profit francese Nubian vault association ottimizzò la tecnica e cominciò a formare operai in tutta l’Africa occidentale, partendo dal Burkina Faso ed espandendosi in Mali, Benin, Ghana e Senegal.

A Podor i muratori lavorano rapidamente per posizionare i mattoni prima che la malta si secchi; in alcuni punti, i muri sono spessi più di due metri e mezzo. Malick Sy, coordinatore del progetto, mi ha detto che l’immobile è stato finanziato da donazioni francesi: “La domanda esterna c’è, ma l’interesse locale è scarso. Gli abitanti hanno ancora dei preconcetti”. Per la gente del posto, spiega Sy, l’ideale sarebbe un moderno edificio in cemento dallo scintillante tetto zincato. Ma spera che questo bellissimo palazzo pubblico possa convincere la popolazione a rivalutare i vantaggi del fango.

Forma e contenuto

Gli abitanti del nord continuano a preferire il cemento al banco, ma lungo l’assolata costa a sud di Dakar si assiste a un boom di costruzioni in terra. Questi fabbricati non sono scelti da chi ha un budget modesto e poche altre opzioni, ma anche da famiglie ricche attente all’innovazione e al design.

L’hotel Le Djoloff, Dakar, Senegal (The Atlantic, 2)

Un giorno, mentre andava in un cantiere fuori Dakar, Nzinga Mboup si è persa un paio di volte. A dire il vero, la sua unica guida era un puntino su un’inaffidabile mappa online. Le strade si alternavano tra quelle piene di buche spacca-pneumatici, quelle in cui si affonda nella sabbia e quelle bloccate da gruppi di zebù vaganti. Non era la prima né l’ultima volta che desiderava avere più progetti da seguire a Dakar, invece che fuori dai confini della città. Anche se gran parte dei clienti dello studio Worofila sono famiglie ricche, poche di loro possono permettersi di costruire case nella capitale. In città la densità sta aumentando; le villette unifamiliari che punteggiavano il centro della città sono state sostituite da palazzoni di appartamenti e uffici, uno più alto dell’altro.

Gli architetti di Worofila stanno lavorando a una residenza privata nella capitale, una lussuosa abitazione a cinque piani costruita principalmente in mattoni di terra compressa. Un atrio facilita la ventilazione; i soffitti altissimi e le finestre lunghe e strette inondano il soggiorno di una luce soffusa. Rondet, che mi ha portato in giro per il cantiere, dice che avevano progettato di costruire pareti di trenta centimetri di spessore, ma con lo spazio a disposizione i muri potevano essere spessi solo 23 centimetri. Hanno rimediato posizionando ogni fila di mattoni in modo che sporgesse leggermente rispetto alla fila sottostante, ottenendo pareti che sostanzialmente creano la propria ombra. La superficie mossa delle pareti gli conferiva un aspetto unico, una forma ispirata al contenuto. Sebbene case come questa siano troppo costose per gran parte delle persone, Rondet sostiene che esemplificano i vantaggi pratici ed estetici della costruzione con il fango. Nel 2021 Worofila ha partecipato alla mostra estiva della Royal academy of arts di Londra, un evento concepito per presentare le migliori opere d’arte contemporanea e di design in circolazione. Lo studio ha contribuito con uno dei blocchi d’argilla e typha che usa per i tetti, insieme a una breve descrizione di uno degli ultimi progetti di Mboup: una rivisitazione in chiave moderna della tradizionale casa familiare allargata. Nella sua reinterpretazione, quattro strutture separate – due in cemento e due in fango – sono collegate da cortili e giardini.

Lo stesso anno Worofila ha anche gestito uno degli account Instagram della Royal academy of arts, condividendo foto del lavoro e della ricerca dello studio. Durante una diretta su Instagram, Mboup ha affermato che, per quanto molti apprezzino l’aspetto dell’architettura popolare, non capiscono che le forme riflettono diverse considerazioni, a partire dal clima e dal paesaggio circostante fino alla sensibilità culturale e religiosa. Con i suoi materiali e la sua filosofia, ha detto Mboup, Worofila sta cercando di creare “una nuova forma di architettura popolare”. Se questo suona un po’ presuntuoso, è perché si tratta di un grandioso progetto per un mondo che cambia.

Mboup non è cresciuta circondata dall’edilizia tradizionale senegalese. È nata in Mozambico da una madre avvocata camerunese e da un padre ambasciatore senegalese con una formazione da antropologo. Da piccola ha vissuto prevalentemente in Sudafrica. Dopo la laurea in architettura all’università di Westminster a Londra, ha lavorato nello studio dell’architetto britannico-ghaneano David Adjaye, che negli Stati Uniti ha progettato il maestoso edificio rivestito in placche di bronzo che ospita il museo nazionale di storia e cultura afroamericana dello Smith­sonian. Mboup è arrivata a Dakar per seguire un progetto di Adjaye di un immobile ad alta efficienza energetica per l’International finance corporation, un viaggio che ha determinato il corso della sua carriera. Sebbene la struttura interna dell’edificio fosse in cemento, la parte anteriore doveva essere rivestita con mattoni di terra compressa. Cercando i materiali per la facciata, Mboup ha incontrato Doudou Dème, ingegnere, costruttore e fondatore dell’Elementerre, un’azienda specializzata nella produzione di materiali edili in terra. Grazie a Dème, ha conosciuto altri architetti che la pensavano allo stesso modo e che volevano lavorare con materiali locali e costruire strutture che consumassero meno energia. Così è nato Worofila, prima come collettivo informale che prendeva il nome dall’indirizzo dello spazio di lavoro condiviso, e poi ufficialmente come studio.

Dettaglio della parete dell’hotel

Non solo belle

Lo stabilimento di produzione dell’Elementerre si trova a circa un’ora di auto a sud di Dakar e non è indicato da cartelli. Ma si capisce di essere arrivati vedendo la terra rossa che straborda da dietro un cancello chiuso. Il giorno della mia visita nel cantiere c’era una ventina di operai. Alcuni spalavano la terra rossa da un grande cumulo, altri la passavano attraverso un filtro per eliminare le pietre più grandi, mentre due squadre erano occupate alle presse per i mattoni. Servono cinque persone per far funzionare una pressa: una riempie gli stampi, due azionano le leve, una rimuove gli stampi una volta pressati i mattoni e un’altra li impila. Dème ha scelto macchine che potessero essere azionate manualmente, senza elettricità o carburante. “Si possono usare ovunque”, mi ha detto. “Basta avere acqua e spazio”.

Dème, che ha circa quarant’anni ma ne dimostra dieci di meno, ha detto che quasi tutti i suoi progetti usano mattoni di terra compressa, tra cui l’ampliamento dell’hotel Le Djoloff che ha costruito e il progetto di Kéré, di cui è il capocantiere.

Quando Dème l’ha lanciata nel 2010, l’Elementerre era l’unica azienda in Senegal a produrre mattoni in terra cruda, ma oggi altre stanno seguendo il suo esempio. Mariama Djambony Badji e il suo socio Papa Mafall Diop, entrambi poco più che ventenni, hanno appena terminato gli studi in ingegneria civile, ma hanno già fondato un’azienda specializzata in costruzioni in terra. Badji racconta di essersi innamorata dell’idea dopo aver partecipato a un seminario all’università. Si è informata sulle tecniche di costruzione con il fango usate da alcuni parenti nel sud, ha viaggiato in Senegal e Mali per conoscere le tradizioni edili e ha studiato insieme al team di Dème per imparare a modernizzare i vecchi metodi.

Quando incontra i clienti, dice, le domande sulla costruzione con il fango sono sempre le stesse, a cominciare da: “È forte e durevole?”. Come l’Elementerre, la sua azienda offre mattoni di terra compressa semi-industriali, che includono una piccola quantità di cemento, un’opzione che alcuni clienti trovano rassicurante.

I mattoni possono avere una nuova vita, invece di finire in una discarica come il cemento. “Si aggiunge acqua e si crea di nuovo il fango”

L’artigiana Isabelle Hourchani, di circa cinquant’anni, è una cliente dell’Elementerre e sta costruendo una casa in una città sulla costa. Racconta che suo marito era scettico quando gli ha proposto di usare la terra: “Pensava che la casa potesse crollare”. Ma si è fatto convincere dall’atteggiamento prudente di Dème e dall’entusiasmo della moglie. “Volevo lavorare con materiali semplici, che respirassero”, dice Hourchani. Soprattutto, voleva una casa che rimanesse fresca anche quand’era caldo, visto che lei non ama l’aria condizionata.

Fatoumata Bathily, che lavora per il governo degli Stati Uniti in Senegal e in Mali, racconta che quando suo marito ha visto il lavoro di Dème all’hotel Le Djoloff, lo hanno assunto per costruire la loro nuova casa. “Non per la questione della terra, ma per l’aspetto estetico”, racconta la signora. “Poi ci siamo informati meglio e ci siamo resi conto che quel tipo di costruzioni non è solo bello da vedere, ma ha anche molti vantaggi”.

Oltre ai blocchi di terra compressa, l’Elementerre produce lastre e pannelli prefabbricati di fango e typha, una pianta invasiva che infesta alcuni bacini d’acqua dolce in Senegal e ostruisce il flusso di fiumi e canali. Queste lastre, più isolanti dei mattoni compressi, possono essere usate per costruire tetti, pavimenti e pareti e possono anche essere installate in edifici in cemento per ridurre l’assorbimento di calore. Dème prevede anche di commercializzare le sue versioni “ottimizzate” dei tradizionali mattoni di fango, come il banco usato nel nord del Senegal. “Abbiamo appena perfezionato la formula per assicurarci di avere un mattone abbastanza resistente e che non si pieghi”, mi ha detto. “Prendiamo l’argilla e aggiungiamo la typha, le maciniamo insieme al terriccio e facciamo seccare”. Questi mattoni isolano meglio di quelli compressi perché non contengono cemento. Dème ha notato che possono essere impiegati di nuovo: anche se un giorno si deve demolire un edificio, i mattoni possono avere una nuova vita, invece di finire in una discarica come il cemento. “È un materiale totalmente rinnovabile. Si aggiunge acqua e si crea di nuovo il fango”, ha detto. “È un ciclo completo”.

Al termine della nostra visita alla fabbrica, Dème mi ha detto di essere pronto per un’altra sfida: far conoscere le abitazioni a base di terra e tutti i loro benefici a più persone possibili. “Ho realizzato molti edifici per gente ricca, edifici bellissimi, e per noi è stato emozionante”, ha detto. “Questo ci ha dato credibilità. Ma il prossimo passo è fare abitazioni per dimostrare a tutti che possiamo costruire con materiali locali molto più confortevoli ed economici del cemento”.

Dème sta collaborando con Rondet e Mboup. Nei prossimi cinque anni, grazie a investitori privati, prevedono di costruire un nuovo quartiere di duecento case vicino a Thiès, una delle più grandi città del Senegal. Il quartiere comprenderà una rete stradale, una elettrica e un sistema fognario in grado di filtrare le acque di scarico – un vantaggio non da poco in un paese dalla cronica carenza d’acqua – e il prezzo delle case sarà vicino a quello fissato dal governo per l’edilizia pubblica.

Secondo Rondet, sarà “un quartiere incrementale” che potrà svilupparsi ed evolvere insieme ai suoi abitanti. “Se avrò bisogno di più spazio, potrò espandere la mia casa”, dice Rondet. “È nella natura del progetto: non pensiamo si debbano buttare giù le case per ricominciare da capo”.

Un altro fattore determinante è la creazione di un centro di formazione per l’edilizia basata sulla terra, pensato per avere i lavoratori qualificati di cui Dème e Rondet avranno bisogno per un progetto così esteso. Dème è ottimista sul fatto che i lavoratori appena formati avranno molte opportunità; se tutto andrà bene a Thiès, prevede di portare cantieri simili in altre città del paese. “Dobbiamo farlo, dobbiamo far vedere”, dice. Solo dimostrando il potenziale dell’architettura con il fango, dice, potranno portare le loro idee al popolo. O meglio, riportarle al popolo, se vorranno accoglierle. ◆ svb

Jori Lewis è una giornalista statunitense che vive in Senegal. Si occupa di temi legati all’agricoltura e all’ambiente.

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Questo articolo è uscito sul numero 1477 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati