Nel caldo afoso del pomeriggio Yamit Díaz Romero guida la nostra barca a motore tra le canne di bambù e le isolette del fiume Claro Cocorná Sur, nella Colombia occidentale. Le scimmie urlatrici si dondolano dai cavi di un ponte pedonale. Aironi, garzette nivee, pellicani bruni e parrocchetti sfrecciano sulle acque scure come il caffè e sopra le nostre teste. Il fiume è una meta nota tra gli appassionati di rafting, ma ultimamente è diventato anche il teatro di un fenomeno naturale preoccupante. Nella barca ci sono Alejandro Mira, un veterinario di Medellín, e Joshua Wilson, un campione statunitense di jujitsu che ci ha chiesto un passaggio. Vuole condividere quest’esperienza con i suoi follower sui social network. I pescatori provenienti dalla direzione opposta hanno detto a Romero quello che incontreremo. A un certo punto il Claro Cocorná confluisce nel Mag­dalena, il fiume più lungo della Colombia, che nasce sulle Ande e scorre verso nord per più di 1.500 chilometri prima di sfociare nel mar dei Caraibi.

Romero, un uomo robusto con gli occhiali neri e una camicia mimetica rosa, scruta il fiume e punta avanti. Vicino alla riva opposta, a circa 250 metri, vediamo guizzare tre paia di orecchie grigie, mentre a filo d’acqua scintillano degli occhietti tondi. Il timoniere vira con prudenza e si spaventa quando Wilson, il campione di jujitsu, lancia un drone e colpisce il parapetto della barca per attirare l’attenzione degli animali. Una bestia alza la gigantesca testa tondeggiante e spalanca la bocca, mostrando i canini affilati. “I turisti pensano che sia un gesto simpatico”, mi dice Romero in spagnolo, “ma è un segnale di aggressività”.

Non ci si aspetta di trovare degli ippopotami, gli enormi mammiferi originari dell’Africa subsahariana, nei fiumi, negli stagni, nelle paludi, nei laghi, nelle foreste e sulle strade della Colombia interna. La loro presenza invadente è un lascito di Pablo Escobar, il boss del cartello della droga di Medellín.

Alcuni decenni fa Escobar spese una parte della sua immensa fortuna per trasferire vari animali selvaggi, tra cui elefanti, giraffe, zebre, struzzi e canguri, nella sua tenuta a due passi da Doradal, una cittadina a pochi chilometri dal fiume Magdalena. Quando la polizia colombiana lo uccise a Medellín, nel 1993, gli abitanti del posto invasero la proprietà e distrussero la villa per cercare presunti nascondigli di armi e soldi. In seguito la tenuta cadde in rovina. Nel 1998 il governo la espropriò e quasi tutti gli animali furono mandati nei giardini zoologici. Ma alcuni ippopotami – la maggior parte delle fonti parla di tre femmine e un maschio – furono ritenuti troppo pericolosi per essere trasferiti. A quel punto sono cominciati i problemi.

Fino al mare

Gli ippopotami si sono moltiplicati. Una volta raggiunta la maturità, le femmine possono partorire un cucciolo ogni diciotto mesi, quasi venticinque volte nell’arco di una vita che dura più di quarant’anni. I maschi cacciati dalla mandria dall’esemplare dominante sono emigrati altrove, creando nuovi branchi e occupando nuovi territori. Oggi nessuno sa quanti ne vivano nei fiumi e nei laghi del bacino del Mag­dalena, che ha una superficie di circa 260mila chilometri quadrati e ospita i due terzi della popolazione colombiana. Alla fine del 2023 il governo parlava di 169 esemplari.

Secondo David Echeverri López, direttore dell’ufficio per la gestione della biodiversità della Cornare, un’agenzia ambientale della regione, potrebbero essere duecento. I biologi colombiani hanno stimato che entro il 2040 gli ippopotami potrebbero diventare 1.400, se non si prenderanno iniziative per controllarne le nascite. Gli animali useranno il Magdalena come principale area di riproduzione, dice Francisco Sánchez, funzionario per l’ambiente nel comune fluviale di Puerto Triunfo, che comprende Doradal. “Arriveranno fino al mare limitandosi a seguire il fiume”. Secondo lui la situazione è “totalmente fuori controllo”.

La presenza degli ippopotami nel cuore del Sudamerica, a zonzo di notte sui sentieri di campagna, pronti a fissare i fari di jeep e motociclette, potrebbe suscitare commenti divertiti ma è un problema molto serio. In Africa si calcola che questi animali uccidano circa cinquecento persone all’anno. Finora in Colombia sono state registrate poche aggressioni, ma gli incidenti sono in aumento. Gli animali hanno attaccato contadini e distrutto raccolti. L’anno scorso un’auto ha investito e ucciso un ippopotamo che attraversava una strada. Poche settimane prima un altro era entrato nel cortile di una scuola facendo scappare insegnanti e bambini. L’animale aveva sgranocchiato la frutta caduta dagli alberi e poi si era allontanato verso i campi vicini. Dell’episodio hanno parlato ampiamente i mezzi d’informazione colombiani, intensificando la pressione sulle autorità perché intervengano prima che il problema diventi ingestibile.

E in pericolo non sono solo gli esseri umani. Gli scienziati sono preoccupati per le conseguenze sull’ecosistema della regione. Un solo ippopotamo, per esempio, produce dieci chili di feci al giorno. In Africa lo sterco ha fornito a lungo sostanze nutrienti per i pesci di laghi e fiumi, ma negli ultimi anni – a causa forse dell’aumento di temperatura, dell’agricoltura ad alto consumo idrico e della siccità – nei bacini di acqua stagnante il letame ha raggiunto livelli tossici, uccidendo quella stessa vita che un tempo contribuiva a sostenere. Gli esperti temono che succeda lo stesso in Colombia. E la competizione per il cibo e lo spazio potrebbe danneggiare lontre, lamantini dell’India occidentale, capibara e tartarughe. “Se vivessi in Colombia sarei preoccupata”, mi ha detto Rebecca Lewison, un’ecologa del Coastal and marine institute della San Diego state university, negli Stati Uniti. “La Colombia ha una grande biodiversità, ma il suo sistema non si è evoluto per sostenere un grande erbivoro”.

Questo sta costringendo gli esperti colombiani a cercare soluzioni fuori del comune ed è uno dei motivi per cui ero sul Magdalena con Alejandro Mira, impegnato nella sorveglianza degli ignari ippopotami. Mira fa parte di un nuovo e pionieristico programma di controllo che non punta alla cattura o all’abbattimento selettivo degli ippopotami, ma cerca di sterilizzarli allo stato selvaggio. Tuttavia questa procedura chirurgica è complicata dal punto di vista medico, costosa e a volte pericolosa sia per gli ippopotami sia per le persone che la eseguono.

Dopo aver sperimentato con successo il programma nel 2023, la squadra ha sterilizzato sette ippopotami in tre mesi: un risultato apprezzabile, ma lontano dai 40 all’anno necessari per controllare la popolazione. “C’erano state sterilizzazioni negli zoo”, mi ha detto Mira, “ma non esistevano informazioni su come procedere in natura. Abbiamo dovuto imparare strada facendo”.

Girando intorno agli ippopotami, Romero si tiene a rispettosa distanza. Mira e io, in un intervallo tra le operazioni, siamo venuti per verificare con i nostri occhi la crescita della popolazione. Tuttavia osservare gli ippopotami in natura può essere rischioso. Dopo mezz’ora il motore della barca improvvisamente si è spento. Romero ha tirato la corda di avviamento e il motore ha risposto con un rantolo. Agitato e con il volto sudato, il timoniere ha continuato a tirare e strattonare la corda di avviamento. Intanto la barca si avvicinava al gruppo di ippopotami, che si sono voltati verso di noi. Wilson ha ricambiato lo sguardo. Poi ha borbottato: “Oh, oh!”. Finalmente, con un forte strappo, Romero ha riportato in vita il motore e ci siamo avviati nella direzione opposta, verso il Claro Cocorná.

Un murale che ritrae Escobar a Medellín, aprile 2023  (Raul Arboleda, Afp/Getty)

Ore di fila

Quando Pablo Escobar fece la sua comparsa a Puerto Triunfo, nel 1978, il governo aveva appena costruito una strada a due corsie tra Medellín e il fiume Magdalena, rendendo più accessibile questa regione coperta dalla giungla. Escobar, che aveva 28 anni, si presentò come “un imprenditore” che voleva comprare una tenuta. “La foresta era un ottimo nascondiglio e c’erano buone risorse idriche”, mi ha detto Sánchez, il funzionario ambientale del comune, quando ci siamo incontrati nel municipio di Puerto Triunfo, dove lavora da più di trent’anni. “Era il luogo perfetto per costruirsi un rifugio”.

Alla fine Escobar comprò più di duemila ettari vicino a Doradal. Fece costruire una pista aerea, una villa, eliporti, hangar per gli aerei, stalle per cavalli, 27 laghi artificiali, un parco a tema dinosauri e un’arena per i tori. Poi assunse più di mille persone per gestire il tutto. All’inizio degli anni ottanta, sull’esempio di altri narcotrafficanti latinoamericani e attirato dal potere simbolico degli animali selvatici, si dice che abbia pagato due milioni di dollari in contanti agli allevatori di animali esotici di Dallas per i primi esemplari del suo serraglio. Molti altri, come gli ippopotami, li comprò da fornitori diversi, forse anche dagli zoo. Sánchez ha cercato i documenti delle compravendite negli archivi del municipio, ma la documentazione si perse negli anni novanta quando il fiume Magdalena esondò in città.

Escobar era esigente: “Non comprava leoni, tigri o altri grandi felini”, mi ha raccontato Sánchez. “Occuparsi dei carnivori è molto complicato. Già solo sfamarli richiede un lavoro enorme”. Escobar aveva anche deciso di aprire il suo zoo domestico al pubblico, e non voleva predatori che vagassero in libertà. Consentire l’accesso alla gente comune “era un modo per rendersi popolare,” ha detto Sánchez.

La gente faceva ore di fila nonostante il caldo torrido, aspettando di salire sui veicoli elettrici e fare il giro della proprietà passando accanto a elefanti, struzzi e altri animali selvaggi. Lo stesso Sánchez visitò la proprietà nel 1982. “Una femmina di elefante infilava la proboscide nelle auto e la gente l’adorava”, ricorda.

La permanenza di Escobar nella tenuta Nápoles non durò a lungo. Dopo essere stato pubblicamente indicato come capo del cartello di Medellín fu costretto a nascondersi. Nel 1984 incaricò dei sicari di uccidere il ministro della giustizia colombiano. Cinque anni dopo un corriere inconsapevole introdusse una bomba su un aereo di linea colombiano che esplose uccidendo 107 persone. La vittima predestinata di Escobar, il candidato alla presidenza del paese César Gaviria Trujillo che doveva essere a bordo, aveva perso il volo.

L’ippopotamo Jakira nello zoo Santa Fe a Medellín, nel 2018 (Joaquin Sarmiento, Afp/Getty)

Gaviria fu eletto presidente e arrestare i boss della droga diventò la sua priorità. Mentre le forze di sicurezza della Colombia davano la caccia ai narcotrafficanti, la violenza dilagava in tutta la regione. Gli squadroni della morte delle Autodifese unite della Colombia si allearono con i cartelli della droga offrendogli protezione in cambio di una parte dei profitti del narcotraffico, e dichiararono guerra alle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc) e ai suoi simpatizzanti. Puerto Triunfo diventò un centro della violenza: tra gli anni ottanta e gli anni novanta molte persone furono uccise o sequestrate.

In cerca di soluzioni

Dopo che Escobar fu ucciso e la sua proprietà abbandonata gli ippopotami sopravvissero mangiando l’erba, la frutta e altre piante. Formarono nuovi branchi al di fuori della tenuta. Si diffusero notizie di animali che calpestavano i terreni coltivati, attaccavano il bestiame e minacciavano le barche da pesca.

Nel 2008 gli ippopotami erano diventati almeno venticinque, e il ministero dell’ambiente colombiano decise che bisognava agire. Echeverri López, da poco laureato in botanica all’università di Antioquia a Medellín, fu assunto per cercare delle soluzioni. Una delle sue prime iniziative fu chiedere consiglio a esperti sudafricani di faunistica, che visitarono Doradal. “Dissero che avevamo un problema”, mi ha raccontato López. “Secondo loro, l’unica soluzione era ucciderli”.

L’anno dopo il governo ingaggiò un cacciatore per avviare l’abbattimento selettivo degli animali, ma quando i giornali pubblicarono una foto del cadavere di un ippopotamo maschio di nome Pepe, che si era allontanato di quasi cento chilometri dalla tenuta di Escobar, nel paese scoppiarono proteste a favore dei grandi mammiferi. Echeverri López si stupì di quella reazione. “Continuavo a pensare a quanta gente veniva uccisa in Colombia ogni giorno”. Era il periodo della guerra civile in cui morivano più di mille persone all’anno. Davanti allo sdegno dell’opinione pubblica, il ministro dell’ambiente si dimise e l’abbattimento degli ippopotami fu sospeso.

Echeverri López cercò altre soluzioni. “La mia formazione non faceva pensare che sarei riuscito a gestire il problema”, ha ammesso. Squadre di esperti si aggiravano di notte intorno alla tenuta di Escobar cercando ippopotami da colpire con dardi narcotizzanti mentre pascolavano. Ma ci voleva un’ora prima che il tranquillante facesse effetto e l’animale nel frattempo tornava in acqua. Nel 2011 i veterinari riuscirono ad anestetizzare e a castrare un ippopotamo, Napolitano, a ottanta chilometri dalla vecchia proprietà di Escobar. Poi un elicottero militare trasportò l’animale fino alla tenuta. Ma il motore dell’elicottero si surriscaldò e il pilota riuscì a malapena ad atterrare.

Per contenere gli ippopotami la Cornare cercò di isolare la tenuta con cespugli, filo spinato e recinzioni elettrificate, ma gli animali trovavano il modo di scappare. L’agenzia si rivolse agli zoo dell’India, delle Filippine, dell’Ecuador e di altri paesi affinché adottassero gli animali, ma il progetto fu criticato dal gruppo di specialisti sugli ippopotami dell’Unione mondiale per la conservazione della natura (Uicn), un’ong con sede in Svizzera. Un programma di trasferimento negli zoo, ha dichiarato l’Uicn nel 2023, “è estremamente costoso, non avrebbe effetti positivi sugli animali e toglierebbe le risorse necessarie per proteggere gli ippopotami comuni” in Africa. L’iniziativa della Cornare non ha ancora portato a un solo trasferimento.

“La maggior parte delle strutture per animali in cattività non è in grado di accogliere gli ippopotami”, dice Lewison, l’ecologa della San Diego state university, copresidente del gruppo di specialisti sugli ippopotami dell’Uicn. “Gli ippopotami sono difficili da gestire, sono enormi e il filtraggio dell’acqua – necessaria per smaltire tutte quelle feci – è costoso. Molti zoo che vogliono un ippopotamo ne hanno già uno, e se non ce l’hanno vuol dire che non possono permetterselo”.

Il personale della squadra cercò anche di castrare gli animali chimicamente sparando dardi trattati, una procedura seguita con successo in molti zoo del mondo. Ma per gli ippopotami occorrono più iniezioni, a mesi di distanza l’una dall’altra e nell’arco di due anni. Ed è stato impossibile etichettare e tracciare gli animali in libertà che avevano ricevuto la prima dose. Nel parco vicino a Doradal furono castrati chirurgicamente alcuni ippopotami giovanissimi, più docili e facili da manovrare degli adulti. Ma rimaneva sempre una popolazione adulta sparsa in tutto il bacino del Magdalena.

Un giorno dopo pranzo ho seguito Echeverri López in auto dentro i cancelli della tenuta di Escobar. Nel 2007 l’amministrazione comunale di Puerto Triunfo si mise in società con un’azienda privata per trasformare la proprietà in uno zoo e safari park con una nuova popolazione animale. Oggi è la principale attrazione turistica di Doradal. Statue dipinte a colori vivaci di dinosauri, ippopotami e altri animali, in alcuni casi resti dei tempi di Escobar, si stagliano ai lati di una strada asfaltata tra pascoli morbidi. Siamo scesi lungo un pendio verso quello che un tempo era uno dei laghi artificiali di Escobar e oggi è al di fuori della zona del parco. Un gruppo di ippopotami gironzolava pacifico. “Hanno trovato un habitat tranquillo, da mangiare in abbondanza e sono diventati stanziali”, mi ha detto Echeverri López. Quando ci hanno visto, gli animali si sono avvicinati alla riva. “Non preoccuparti, siamo a metà pendio, se ci attaccano abbiamo un certo vantaggio”, mi ha tranquillizzato.

La popolazione di questo lago, dove gli animali trascorrono il giorno, è arrivata a una cinquantina di esemplari, la concentrazione più alta al di fuori del parco, ed è l’obiettivo iniziale della nuova campagna di castrazione chirurgica. Echeverri López mi ha indicato una recinzione a poche decine di metri dal lago, una delle tre costruite in luoghi strategici con una lega di metallo praticamente indistruttibile. La squadra usa una scia di carote, cavoli e frutta per attirare gli ippopotami dentro la recinzione, poi la porta a scatto si chiude. Una volta dentro gli animali sono anestetizzati per permettere agli scienziati di castrarli. Gli addetti della Cornare fanno dei controlli ogni sera: se scoprono un ippopotamo intrappolato chiamano subito.

Per verificare che l’ippopotamo fosse in uno stato di completa incoscienza, una persona della squadra gli ha solleticato le orecchie

Un programma insufficiente

Alejandro Mira ha ricevuto la telefonata per partecipare alla sua prima castrazione di un ippopotamo lo scorso ottobre. “Ero nervoso”, mi ha raccontato una sera mentre guidava su una strada di campagna, guardandosi intorno per individuare eventuali ippopotami di passaggio. Nel buio prima dell’alba, Mira è arrivato sulla riva del lago per affrontare un maschio di quattro quintali – la stazza di un esemplare relativamente giovane – che andava avanti e indietro nella recinzione. Una persona della squadra ha sparato tre dardi narcotizzanti nel sedere dell’animale. Poi il gruppo ha aspettato fuori e dopo 45 minuti l’animale si è afflosciato in posizione seduta, per poi rotolare su un fianco.

Mira aveva castrato molti cavalli, cani e gatti, ma quell’intervento è stato diverso. “L’operazione si svolge in natura, con un animale pericoloso che ha i testicoli nascosti in profondità dentro il corpo”, mi ha spiegato. Per verificare che l’ippopotamo fosse in uno stato di completa incoscienza, una persona gli ha solleticato le orecchie. Non si contraevano, quindi ha fatto un segno agli altri di avvicinarsi. I veterinari hanno legato una fune intorno alle zampe prima di trascinarlo per qualche metro fino a un telo sterile su cui avrebbero eseguito l’operazione. Si sono infilati i camici chirurgici e hanno fissato una tenda di tela per proteggere se stessi e l’animale dal sole che stava sorgendo. Hanno strofinato l’ippopotamo con delle salviette sterilizzanti e inserito delle flebo con antibiotici, antinfiammatori e anestetici nelle vene delle orecchie e della lingua. Somministrare l’anestetico è una fase delicata del protocollo. Per ragioni ancora non chiare, gli ippopotami, come altri mammiferi acquatici, sono molto sensibili alla sedazione, e negli zoo a volte hanno subìto reazioni fatali. La veterinaria responsabile, Cristina Buitrago, si è inginocchiata e ha palpato l’addome dell’animale per sentirgli i testicoli, che sono nel canale inguinale. Poiché sono retrattili e possono risalire fino a una quarantina di centimetri all’interno del corpo, qualche volta è difficile trovarli. Buitrago ha fatto un’incisione di sei centimetri, penetrando con difficoltà nell’epidermide spessa e negli strati di grasso. Mira si è inginocchiato accanto a lei per passarle gli strumenti chirurgici. Poi, tagliando delicatamente intorno ai vasi sanguigni, ha tirato fuori i testicoli grandi come manghi, “più o meno le stesse dimensioni di quelli di un cavallo”, mi ha detto Mira. La veterinaria ha eseguito l’asportazione e ha ricucito la ferita.

Mentre l’animale dormiva, la squadra ha rapidamente portato via il materiale ed è uscita dalla recinzione, controllando l’ippopotamo finché non si è rialzato e si è avviato lentamente verso il lago. Dalla sedazione al risveglio la procedura è durata in tutto sette ore. Durante l’operazione la squadra ha etichettato le orecchie dell’animale, anche se è difficile monitorare gli ippopotami in natura. Erano fiduciosi che si sarebbe ripreso bene: “Questi animali hanno un forte sistema immunitario, e non c’è motivo di credere che non sopravvivano”, mi ha detto Mira.

Nella pelle degli ippopotami i biologi hanno scoperto un pigmento che assorbe la luce ultravioletta e può impedire ai batteri di svilupparsi: è un antibiotico naturale che aiuta a evitare le infezioni dovute alle zuffe frequenti. In questo caso, anche alla castrazione.

Per tutto l’autunno del 2023 la squadra della Cornare ha messo a punto il protocollo per renderlo il più efficiente possibile. Poi, a dicembre, Mira e i colleghi si sono trovati di fronte un maschio di sette quintali e mezzo, uno dei più grandi che avessero mai visto. Con un esemplare di quella mole, non era possibile legare una fune intorno alle zampe per portare l’animale sul telo. I veterinari si sono disposti intorno alle zampe posteriori, agli arti anteriori, al sedere e alla testa dell’ippopotamo. Hanno spinto, tirato, strattonato e trascinato il gigante addormentato, spostandolo lentamente di qualche metro verso l’improvvisato teatro operatorio. Con uno sforzo finale, hanno sollevato l’animale quel poco che serviva per far scivolare il telo sotto il suo corpo. Nel 2023 hanno operato due femmine, un particolare che hanno scoperto solo dopo averle sedate. “È più complicato con le femmine”, mi ha detto Mira. “Dobbiamo raggiungere le ovaie dai fianchi, tagliando una pelle più spessa e parecchi strati di muscolo”.

Molte persone con cui ho parlato non possono fare a meno di provare un misto di affetto e perfino d’istinto di protezione verso gli animali

L’operazione sull’ippopotamo di 750 chili è stata un successo. Alla fine del 2023, tuttavia, il contratto della Cornare con l’amministrazione è scaduto, e c’era qualche incertezza sulla ripresa del programma. Ma ad aprile la squadra era di nuovo in campo e aveva castrato altri tre ippopotami.

Intanto il ministero dell’ambiente colombiano ha deciso che il programma di cattura e di castrazione non basta per gestire il problema. Secondo la ministra dell’ambiente Susana Muhamad, dei 169 ippopotami di cui è stata confermata la presenza nelle campagne del paese “alcuni” dovranno essere sottoposti a eutanasia. Ma ha aggiunto che continueranno sia le castrazioni sia i tentativi di trasferire gli animali negli zoo di altri paesi.

L’idea di una soluzione drastica si sta rafforzando. Dopo aver cercato per anni un’alternativa praticabile, Echeverri López ammette che probabilmente sarà necessario un abbattimento selettivo degli animali. Molti esperti in tutto il mondo sostengono che un programma di uccisioni controllate è inevitabile. “La castrazione può leggermente rallentare la crescita della popolazione, ma non è risolutiva”, mi ha detto Jan Pluháček, un biologo ceco esperto di ippopotami. L’abbattimento selettivo, sostiene, è “l’unica cosa sensata”.

Buoni affari

Uno dei miei ultimi giorni nella campagna colombiana sono andato con Mira in un piccolo albergo, Villa Sara, a circa tre chilometri dalla tenuta Nápoles. La custode aveva comunicato alla Cornare la presenza di un ippopotamo in uno stagno dietro alla proprietà, e Mira era stato chiamato per valutare la situazione. Questi episodi sono diventati più frequenti negli ultimi due anni, mi ha detto.

Abbiamo percorso il lungo vialetto d’ingresso fino a una villa in stile coloniale spagnolo dove si dice che abbia vissuto Escobar negli anni settanta, mentre cercava la tenuta da comprare. La custode, una giovane donna che si chiama Flor Daza, ci ha accompagnato nel giardino dietro la casa. “Eccolo là”, ha esclamato indicando un paio d’occhi e un muso che sporgevano a filo d’acqua.

Secondo Mira l’animale probabilmente era un maschio giovane cacciato dalla mandria dall’esemplare dominante e costretto a vivere per conto suo. “La prima volta che mi ha guardato negli occhi ero terrorizzata”, mi ha detto Daza. “Però ora lo vediamo tutti i giorni e non abbiamo più paura”. Ma i proprietari della villa, che vivono a Bogotá, erano preoccupati, e Daza non poteva escludere la possibilità di un incontro violento tra l’ippopotamo e gli ignari ospiti dell’albergo.

I sentimenti contrastanti di Daza sull’ippopotamo riflettono l’atteggiamento di molte persone con cui ho parlato in Colombia, che non possono fare a meno di provare un misto di affetto e perfino di istinto di protezione verso gli animali, insieme a una punta di paura. In questa tormentata zona del paese, che ha sopportato decenni di violenza, disordini e guerra, molti vedono gli ippopotami come un potenziale salvagente economico. In un negozio di alimentari proprio davanti alla vecchia tenuta di Escobar, il proprietario ha trasformato l’ultimo piano del suo locale in un “hotel turistico”. Sui social network pubblica video con gruppi di quattro o cinque ippopotami – “le nostre bestiole” li chiama – che di notte passano davanti al negozio per andare a pascolare nel verde.

Isabel Romero, la direttrice di un’organizzazione non profit che alleva testuggini di fiume, una specie a rischio di estinzione, sul fiume Claro Cocorná Sur, qualche tempo fa ha aperto una struttura per l’osservazione degli ippopotami che offre il pranzo e un giro in barca sul Magdalena per circa cento dollari. E sta facendo buoni affari sia con i colombiani sia con i turisti stranieri.

Questo sfruttamento pragmatico degli ippopotami di Escobar non è molto diverso dalla reazione che suscita la sua memoria, come ho notato visitando la tenuta. La villa restaurata all’interno della proprietà oggi è un memoriale delle vittime della sua violenza e si trova proprio alla fine di un sentiero che conduce allo stagno dove un tempo nuotavano i primi ippopotami. Nello stagno vive una femmina, Vanessa, la mascotte del parco.

L’arco che sovrasta l’ingresso è coronato da una replica dell’aereo monomotore Piper super cub, il primo usato da Escobar per trasportare la cocaina negli Stati Uniti. I turisti colombiani si aggiravano cupi tra gallerie che esponevano ritratti di politici, poliziotti e cittadini comuni uccisi dalle autobombe e dal fuoco incrociato, accanto a ritagli di giornali ingialliti e a copertine di riviste che documentavano le atrocità commesse da Escobar. Vicino al museo alcuni cartelloni elogiavano il “trionfo dello stato” contro “il peggiore criminale della nostra storia”.

Ma sulla via principale di Doradal ho incontrato un altro genere di commemorazione. Nel negozio di Pablo, aperto proprio dove si trovava uno dei caffè preferiti dal re della cocaina, alcuni di quegli stessi turisti che avevo visto nella tenuta posavano per fotografarsi accanto a una sagoma a grandezza naturale di Escobar e compravano tazze, magliette e calamite con il suo ritratto. Chi cercava souvenir più aggressivi poteva scegliere nelle vetrine piene di copie di pistole e kalashnikov. Il proprietario ha detto che era nervoso prima di aprire il negozio – gli amici gli avevano detto che avrebbe potuto suscitare reazioni negative – ma non c’era stato nessun problema. Gli affari andavano a gonfie vele. Il carisma di Escobar, la sua straordinaria ricchezza unita a una spettacolare notorietà gli hanno conferito lo status permanente di celebrità.

Accettare la realtà

Anche se i funzionari colombiani sanno che gli ippopotami dovranno essere gestiti con un programma di abbattimento selettivo – con sterilizzazioni su larga scala, con trasferimenti mirati o con un insieme di queste misure – perfino nel migliore dei casi i colombiani convivranno con una popolazione residua di ippopotami.

Delle circa 3.500 specie animali invasive che gli esseri umani hanno introdotto in biomi nuovi e inadatti, ne sono state sradicate molto poche. Che siano i pitoni birmani importati da collezionisti di animali esotici e abbandonati nelle Everglades della Florida, i pesci leone dell’Indo-Pacifico che mangiano crostacei, dentici, cernie e altri animali acquatici lungo la costa est degli Stati Uniti e nel golfo del Messico, oppure i giganteschi serpenti di terra africani che divorano le piante indigene in Asia e America Latina, non c’è modo di far tornare indietro le lancette dell’orologio. Ai colombiani non resta che accettare questa realtà.

Al tramonto, mentre guardavamo l’ippopotamo che lasciava il lago dietro Villa Sara e cominciava a cercare da mangiare nei boschi circostanti, Daza ha detto: “Io l’ho accettato e comincio a pensare che averlo qui sia un privilegio”.◆ gc

Joshua Hammer è un giornalista statunitense. È stato a lungo corrispondente all’estero per la rivista Newsweek. Dal 2006 collabora con molti giornali, tra cui Smithsonian Magazine, Outside e The New York Times Magazine. In Italia ha pubblicato La biblioteca segreta di Timbuctù (Rizzoli 2017).

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Questo articolo è uscito sul numero 1581 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati