Una sera del 2002 alcuni uomini entrarono di forza in un locale di Scarborough, a Toronto. Una volta dentro, si scontrarono con Colin e Roger Moore, due fratelli che avevano organizzato una serata di beneficenza. Ci fu una discussione che portò a una rissa, a bottiglie rotte e a una porta di vetro in frantumi. Gli uomini, che erano entrati senza pagare, alla fine se ne andarono. Qualche minuto dopo due persone armate fecero irruzione nella cucina e aprirono il fuoco contro i due fratelli. Colin sarebbe morto per le ferite riportate. Qualche tempo dopo la polizia arrestò uno dei due assassini e si mise alla ricerca del secondo. Attraverso i dati dell’automobile usata per la fuga fermò Leighton Hay, accusandolo di tentato omicidio e omicidio premeditato.
La procura si affidò soprattutto alle ricostruzioni dei testimoni oculari, ma le prove contro Hay erano deboli. Un testimone lo indicò guardando delle foto, ma aggiunse che somigliava al secondo assassino solo “all’80 per cento”. I testimoni furono comunque chiamati a deporre al processo. Erano d’accordo sul fatto di aver visto un uomo con dei dreadlock tagliati corti, mentre Hay aveva capelli a spazzola. La pubblica accusa disse che si era tagliato i capelli per non farsi riconoscere, ed esibì come prova i peli rimasti sul suo rasoio.
La difesa dell’imputato era solida: la sorella, che aveva una relazione con il primo assassino, testimoniò che Hay stava dormendo quando erano tornati a casa. Ma nonostante tutto fu condannato, e la sentenza fu confermata in appello. La pubblica accusa fece di tutto per impedire l’analisi forense dei resti trovati sul rasoio, e per un buon motivo: le analisi avrebbero poi dimostrato che si trattava quasi sicuramente di peli della barba e non di capelli. In base alle nuove prove, la corte suprema decise che Hay meritava un nuovo processo. I pubblici ministeri ritirarono le accuse, e nel 2014 l’uomo è tornato in libertà dopo dodici anni in prigione. Il caso ha fatto molto discutere in tutto il paese, ma la storia di Hay è il segnale di un problema profondo: il sistema giudiziario canadese tende a punire le persone per reati che non hanno commesso.
Si parla molto dei casi eclatanti come quello di Hay, ma molti altri passano inosservati. Non sorprende che alcuni dei più forti sostenitori della riforma della giustizia siano persone che hanno subìto condanne ingiuste.
L’ultima spiaggia
David Milgaard aveva passato 23 anni in carcere per uno stupro e un omicidio che non aveva commesso. La sua condanna fu annullata nel 1992, ma l’uomo fu ufficialmente scagionato solo nel 1997, quando ottenne le scuse ufficiali del governo della provincia di Saskatchewan. Due anni dopo ricevette dieci milioni di dollari di risarcimento. Negli ultimi anni si era interessato alla vicenda di Odelia e Nerissa Quewezance, due sorelle della first nation di Keeseekoose, in Saskatchewasn, condannate nel 1994 per l’omicidio di Anthony Dolff. Fin dall’inizio un cugino delle due donne si era dichiarato colpevole. Grazie anche al lavoro di Milgaard, quest’autunno si terranno nuove udienze per la cauzione delle detenute, ma probabilmente ci vorranno anni prima che siano scagionate.
Purtroppo Milgaard non potrà assistere a quel momento, perché è morto a maggio di quest’anno.
Negli ultimi decenni sono state pubblicati sette rapporti che hanno fatto luce sulle condanne ingiuste. Nel 2019 un gruppo di lavoro formato da procuratori provinciali e federali ha lanciato un duro atto d’accusa. “Sappiamo da decenni che in Canada molte persone sono condannate per reati che non hanno commesso”, cominciava il loro rapporto. Visto che le questioni alla radice del problema sono “sistemiche, ampie e interconnesse”, non c’è speranza che singoli procuratori o agenti di polizia possano risolverlo. Molti canadesi sono dietro le sbarre per errori dei testimoni oculari, false confessioni, un uso discutibile di informatori detenuti e analisi scientifiche condotte nel modo sbagliato. Ma il problema non è solo che il sistema giudiziario fa acqua da tutte le parti. Un altro problema è che ribaltare le condanne ingiuste è quasi impossibile. I detenuti convinti di non essere stati giudicati in modo imparziale non hanno risorse e sostegno, e si trovano davanti enormi ostacoli burocratici. L’ultima possibilità per molti di loro consiste nel presentare una petizione al dipartimento della giustizia, che spesso rimane ferma su una scrivania per anni.
Spesso gli accusati si dichiarano colpevoli e scelgono di patteggiare perché non possono permettersi un avvocato
Dopo essere stato confermato primo ministro, nel 2019, Justin Trudeau ha incaricato il ministro della giustizia David Lametti di “velocizzare e semplificare l’analisi delle richieste presentate da chi potrebbe aver subìto una condanna ingiusta”. Dopo quasi tre anni, il governo Trudeau è riuscito solo a produrre un rapporto. Pubblicato nel 2021, è stato scritto da Harry LaForme, il primo giudice nativo di una corte d’appello in Canada, e da Juanita Westmoreland-Traoré, la prima giudice nera assegnata a un tribunale del Québec.
I magistrati hanno intervistato più di duecento persone: imputati scagionati, vittime di reati, agenti di polizia, procuratori, avvocati della difesa, avvocati d’ufficio, giudici e medici legali. “È impossibile sapere quanti siano gli errori giudiziari di cui non siamo a conoscenza, e che quindi non sono mai stati corretti,” osservano LaForme e Westmoreland-Traoré. “Ma siamo certi che le persone appartenenti alle minoranze, in particolare neri e nativi, siano state particolarmente colpite”. Il rapporto denuncia con un linguaggio particolarmente efficace “i danni devastanti e sconvolgenti” delle ingiuste sentenze di colpevolezza e ribadisce la necessità di una commissione indipendente che possa riesaminare le condanne.
Lametti dovrebbe presentare una proposta di legge per istituire questa commissione. Ma i piani di riforma del governo hanno richiamato l’attenzione su un sistema giudiziario compromesso. “A parte poche persone informate, la maggioranza dell’opinione pubblica canadese ha un’idea poco realistica del nostro sistema giudiziario e di come funziona,” dice Lisa Johnson, avvocata penalista e direttrice dell’ Innocence project della Osgoode Hall law school, un programma in cui gli studenti riesaminano i ricorsi contro le condanne ingiuste. Le persone tendono a credere che il bene vinca sempre, dice Johnson, che i tribunali accertino sempre la verità e che gli innocenti non vadano in prigione. Non è così.
Processo costoso
Cominciamo dal costo di un avvocato: per un processo penale può partire da circa cinquemila dollari canadesi (3.600 euro) e superare facilmente i cinquantamila (36mila euro), e questo senza contare le spese per altre voci, come le deposizioni degli esperti. Chi non può pagare queste somme ha diritto a una difesa d’ufficio. Nell’Ontario e nell’Alberta spetta alle persone che guadagnano meno di ventimila dollari all’anno. In alcune province gli imputati che ricorrono alla difesa d’ufficio senza rispettare i criteri di reddito potrebbero perfino dover restituire parte delle spese. “Quindi chi guadagna quaranta, cinquanta o sessantamila dollari all’anno rischia di non potersi permettere un avvocato e di non avere diritto alla difesa d’ufficio,” spiega Johnson. Questa situazione spinge molte persone a dichiararsi colpevoli e in certi casi a patteggiare una condanna meno pesante.
Chi affronta il processo e perde ha il diritto di ricorrere in appello, ma di solito non è così semplice, sostiene l’esperta. Le persone condannate in una causa penale nell’Ontario, per esempio, possono fare ricorso alla corte superiore di giustizia. Se perdono anche lì, possono rivolgersi alla corte d’appello, dove però le garanzie di una completa revisione del caso sono poche: questi tribunali generalmente cercano errori di diritto commessi durante il procedimento o nuove prove che non sono state prese in esame nel giudizio precedente. Non basta sostenere semplicemente che la giuria ha preso una decisione sbagliata. Secondo un rapporto del 2013 della corte d’appello dell’Ontario, solo il 32 per cento degli appelli penali si concludono positivamente. È vero che chi perde il caso in appello può chiedere di andare fino alla corte suprema, ma i requisiti sono stringenti: i giudici del massimo organo della giustizia canadese di regola esaminano solo casi di rilevanza nazionale.
C’è un’ultima strada da percorrere per ottenere clemenza. Il gruppo di revisione delle condanne penali (Ccrg) è un ufficio di Ottawa che dipende dal dipartimento della giustizia. Ha il compito di indagare i casi penali dubbi e, se lo ritiene opportuno, rinviarli al ministro della giustizia per un eventuale nuovo processo. Ma per arrivare a quel punto, spiega Johnson, “bisogna aver esaurito tutte le possibilità di ricorso, compresa la corte d’appello”. Quindi è una strada aperta solo per chi ha già speso anni, e probabilmente decine di migliaia di dollari, nel tentativo di difendersi, pur sapendo di avere pochissime possibilità di successo.
C’è bisogno di un organismo indipendente che possa indagare e contribuire a liberare chi ha avuto solo una parvenza di giustizia
Otto anni
In ogni caso è molto difficile che si arrivi fino a quel punto. Per le persone che hanno speso tutti i loro soldi per il processo, un appello tende a diventare costoso fino all’impossibile. Johnson ha avuto un cliente condannato dalla corte di giustizia dell’Ontario nonostante alcuni elementi inquietanti nell’indagine della polizia, tra cui una presunta perquisizione illegale. “Credo che avrebbe potuto vincere l’appello”, dice, “ma non aveva diritto alla difesa d’ufficio dell’Ontario e non aveva soldi per trovarsi un avvocato, perciò ha dovuto rinunciare”.
Naturalmente ci si può sempre difendere da soli. Ma è una strada piena di insidie. Chi rimane sotto custodia in attesa di processo, come succede a molti imputati di omicidio, non ha accesso a internet, e i libri di diritto spesso non sono aggiornati. Durante la pandemia di covid-19, per i detenuti è diventato impossibile accedere alle biblioteche delle prigioni.
È difficile trovare informazioni sulle persone che si difendono da sole durante un processo, ma uno studio della Loom Analytics del 2016 rivela che gli imputati in questa condizione hanno vinto il 12 per cento delle mozioni presentate in tribunale. Soprattutto nei processi penali complessi, difendersi da sé è molto rischioso. Uno studio federale ha scoperto che nei processi penali gli imputati che lo fanno tendono a credere “di non aver bisogno di un avvocato se sono innocenti”. Gli imputati senza difensore tendevano anche a non conoscere gli strumenti garantiti dalla costituzione.
È il caso di Glen Assoun, che nel 1998 fu arrestato per l’omicidio di Brenda Way, la sua ex compagna. L’anno seguente, quando iniziò il processo, rinunciò al suo avvocato e, non potendo ottenere la difesa d’ufficio, fu costretto a difendersi da solo. Sapeva di essere innocente, ma non riuscì a esporre chiaramente il suo caso secondo le rigide norme di un tribunale canadese. Fu dichiarato colpevole e condannato all’ergastolo nel 1999.
Quando cercò di ricorrere in appello, gli venne in soccorso il penalista Jerome Kennedy. Anche se l’avvocato riuscì a dimostrare l’evidente debolezza delle prove presentate dalla pubblica accusa – tra cui perfino le dichiarazioni di un sensitivo – il tribunale della Nova Scotia respinse l’appello. A quel punto si fece avanti Innocence Canada, una piccola organizzazione non profit di avvocati pro bono che cerca di aiutare chi pensa di essere stato condannato ingiustamente. Dal 1993 Innocence Canada è riuscita a far scagionare almeno 24 persone. Nel 2013 i suoi avvocati presentarono per conto di Assoun una petizione dettagliata al ministro della giustizia, sostenendo che Way fosse stata uccisa dal serial killer Michael McGray. L’anno dopo Assoun fu rilasciato su cauzione, quando il Ccrg arrivò alla conclusione che la condanna era stata probabilmente ingiusta. Solo nel 2019 il ministero della giustizia ha ordinato un nuovo processo. Vent’anni dopo la condanna, le accuse contro Assoun sono state ritirate.
Ron Dalton, copresidente di Innocence Canada, sa meglio di molti altri quanto possa essere lenta questa procedura. Quando sua moglie morì soffocata nella loro casa di Gander, nella provincia di Terranova, nel 1988, un patologo stabilì che Dalton l’aveva strangolata. L’uomo passò otto anni dietro le sbarre prima di essere definitivamente prosciolto, e quando tornò libero si mise al lavoro per impedire che altre persone innocenti consumassero la loro vita in prigione.
“Questa gentaglia ha fatto qualcosa di buono”, dice ironicamente della sua squadra. Ma è un lavoro duro. Circa la metà dei 109 casi di cui si occupano sono in lista d’attesa “perché non riusciamo a gestire tempestivamente tutte le richieste”.
Se organizzazioni come Innocence Canada non hanno le risorse per smaltire i casi, è impossibile contare sul Ccrg. L’ufficio ha pochi dipendenti, e possono volerci anni prima che prenda una decisione su un caso. E dal momento che fa parte del dipartimento di giustizia, non può dirsi realmente indipendente.
Cambiamento lento
Questo riporta alla necessità di creare un nuovo organismo indipendente che possa indagare e contribuire a liberare chi ha avuto solo una parvenza di giustizia. Il rapporto di LaForme e Westmoreland-Traoré, per esempio, ha chiesto al governo federale di prendere decisioni precise: invece di una commissione che riesamini i singoli casi, servirebbe un organismo che intervenga preventivamente e affronti un sistema che “non ha saputo fornire rimedi per donne, nativi o neri proporzionati alla loro presenza nei penitenziari del Canada”; invece di una commissione “trattata come una piccola agenzia amministrativa all’interno del governo federale”, servirebbe una commissione ben finanziata “che possa tenersi a debita distanza dal governo, proprio come il sistema giudiziario”; infine, il governo dovrebbe avere una commissione che si occupi della revisione di casi in cui l’innocenza può essere accertata in modo più scientifico, per esempio con l’analisi del dna, o che dedichi le sue risorse a tutti gli errori giudiziari. In altre parole, solo una riforma del sistema di giustizia potrà impedire che persone innocenti rimangano dietro le sbarre.
Quando ho chiesto a Lametti quale sia la portata delle riforme allo studio, si è limitato a rispondere che “un sistema giudiziario ben funzionante è un sistema al servizio di tutti i canadesi, che protegge i vulnerabili e costruisce un Canada migliore e più sicuro”. Gli attivisti che continueranno a vedere persone condannate ingiustamente e costrette a sopportare il peso di questo sistema guasto non hanno altra scelta che aspettare. “La politica spesso è molto lenta,” dice Johnson. ◆ gc
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Questo articolo è uscito sul numero 1487 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati