Le aziende automobilistiche europee, prima tra tutte la Volkswagen, potrebbero essere costrette a pagare centinaia di milioni di euro alle concorrenti cinesi che producono veicoli elettrici. Probabilmente infatti dovranno comprare crediti di carbonio se vogliono evitare le multe per il mancato rispetto delle norme ambientali dell’Unione europea. Dal momento che Bruxelles impone alle case automobilistiche di ridurre le emissioni, i produttori in ritardo nella transizione elettrica devono scegliere se pagare multe per miliardi di euro, abbassare i prezzi dei veicoli elettrici per aumentare le vendite o comprare crediti dalla concorrenza che inquina meno.

L’Europa ha un tasso di aumento delle temperature doppio rispetto alla media globale dagli anni ottanta, dovuto in larga misura alla sua vicinanza con l’Artico, dove il terreno libero dal ghiaccio assorbe più energia dal sole. La Commissione europea prevede una sanzione di 95 euro su ogni auto venduta per ogni grammo di anidride carbonica per chilometro oltre il limite di 93,6 grammi. La valutazione sarà fatta sulle emissioni medie dei veicoli venduti nel 2025. Molte aziende stanno cercando di usare l’opzione del pooling (raggruppamento), in base alla quale ricavano una media delle emissioni mettendo insieme le loro flotte e quelle di altre aziende presenti nell’Unione europea. Secondo le stime degli analisti, alcuni gruppi europei potrebbero essere costretti a comprare crediti di carbonio per centinaia di milioni di euro da concorrenti cinesi come la Byd, che ha una delle più grandi riserve di crediti grazie alle buone vendite di veicoli elettrici in Europa.

Da recenti documenti di Bruxelles risulta che la Tesla metterà in comune i suoi crediti con aziende come la Stellantis, la Ford e la Toyota. Il produttore statunitense ha già guadagnato più di due miliardi di dollari nei primi nove mesi del 2024 vendendo crediti nei sistemi di condivisione delle emissioni a livello globale. In un altro di questi raggruppamenti, la Mercedes-Benz si è associata con la Polestar e la Volvo, entrambe di proprietà della cinese Geely, il cui fondatore, Li Shufu, detiene il 10 per cento della Mercedes. Un’altra azienda cinese, la Baic, ha un ulteriore 10 per cento del costruttore tedesco. La Mercedes ha dichiarato di aver continuato a investire miliardi nei veicoli elettrici, ma “la velocità della trasformazione nel settore è determinata dalle condizioni di mercato e dai clienti”. La Volkswagen e la Renault, che secondo gli analisti avranno difficoltà a raggiungere gli obiettivi, hanno poche alternative di aggregazione al di fuori dei produttori cinesi Mg-Saic e Byd. La Renault potrebbe anche accordarsi con partner strategici come la Nissan e la Mitsubishi.

Un vantaggio per le concorrenti

Questi metodi sono contestati. Alcuni dirigenti avvertono che accordi simili renderanno il settore europeo meno competitivo, perché rafforzeranno la concorrenza cinese, che Bruxelles vorrebbe limitare imponendo dazi più alti. Jens Gieseke, parlamentare europeo di centrodestra, ha affermato che l’Unione ha fatto un “errore” nel consentire raggruppamenti con le aziende automobilistiche statunitensi o cinesi, perché questo potrebbe rappresentare un vantaggio per la concorrenza.

I protagonisti del settore non rivelano quanto prevedono di pagare, perché le aziende scambiano crediti a porte chiuse in raggruppamenti basati su una rete di alleanze legata alle loro partecipazioni azionarie e alle collaborazioni tra marchi.

I dazi non funzionano

◆ A dicembre del 2024 le vendite di auto elettriche cinesi nell’Unione europea sono aumentate dell’8,3 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, facendo crescere il timore che i dazi di Bruxelles non funzionino e che nel 2025 le tensioni commerciali con Pechino possano peggiorare. Il risultato di dicembre arriva dopo due mesi consecutivi di calo: a ottobre le vendite erano crollate del 40 per cento e a novembre del 25 per cento. Nel 2024, comunque, l’Unione si è confermata la principale acquirente di auto elettriche cinesi, assorbendo quasi il 30 per cento dei veicoli esportati dal paese asiatico, anche se rispetto al 2023 le importazioni sono calate del 6 per cento. South China Morning Post


Secondo Patrick Hummel, analista della banca svizzera Ubs, nel caso della Volkswagen, di cui il land tedesco della Bassa Sassonia controlla il 20 per cento del capitale, e in quello della Renault, che per il 15 per cento è di proprietà del governo francese, il raggruppamento con i produttori di auto cinesi è un argomento sensibile sul piano politico.

Se la Volkswagen scegliesse la strada del raggruppamento, aggiunge Hummel, probabilmente dovrebbe farlo con più di un’azienda cinese, perché forse la Byd non vende abbastanza veicoli elettrici in Europa per colmare da sola il divario del gruppo tedesco. Secondo l’Ubs, per raggiungere gli obiettivi fissati da Bruxelles il gruppo tedesco dovrebbe come minimo raddoppiare le sue vendite di auto elettriche in un anno. L’azienda non ha in programma per il 2025 il lancio di un nuovo modello elettrico di massa. La Renault spera di aumentare le vendite di veicoli elettrici con il lancio di un modello da 25mila euro. La Volkswagen, tuttavia, ha dichiarato di voler evitare le multe con “le sue sole forze”, contando sui modelli interamente elettrici lanciati nel 2024. “Solo in una seconda fase entrerebbero in gioco altre misure come il raggruppamento dei crediti, naturalmente ponderando bene costi e benefici”, ha dichiarato l’azienda. “Ogni euro investito in possibili multe sarebbe un euro investito male”. La Renault sostiene che è ancora presto per decidere se aderire a un raggruppamento, ma ha aggiunto che gli accordi con le aziende cinesi rischiano di indebolire ulteriormente il settore automobilistico europeo.

Bruxelles sta subendo le pressioni dalle aziende del settore, che chiedono regole sulle emissioni più flessibili visto il crollo delle vendite di veicoli elettrici registrato in Germania e in Francia, dopo che i governi hanno ritirato i sussidi. A gennaio, comunque, il commissario europeo per il clima Wopke Hoekstra ha incontrato i rappresentanti del settore automobilistico, aprendo a un “dialogo strategico” tra politici e aziende. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1600 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati