Sono una donna di 39 anni e da quello che so non ho mai avuto un orgasmo. Lo specifico perché mi chiedono spesso – gli uomini con cui vado a letto, gli amici più cari, perfino la ginecologa – se ne sono sicura. La domanda non solo può suonare un po’ paternalistica, ma insinua in me, e in altre donne come me (gli studi sulle donne anorgasmiche dicono che siamo tra il 5 e il 10 per cento), una strisciante insicurezza.

“Pensi che in realtà lo abbiamo ma non ce ne accorgiamo?”, mi ha chiesto la mia amica Lizzie (non è il suo vero nome). “Nel senso che alla fine gli orgasmi non sono poi questa gran cosa?”.

Ci ho pensato per un istante. Amo il sesso, anche stravagante: c’è poco che non abbia provato. Ma per quanto io me la stia godendo, arriva sempre il momento in cui, da sola o con un compagno, dopo una crescita progressiva il piacere fisico o si dissolve nel nulla o diventa una sensazione impossibile da sopportare, e non regala né l’estasi né la liberazione che ho immaginato e a volte perfino vissuto nei miei sogni.

“Non credo”, ho detto a Lizzie. “Voglio dire, non siamo due stupide”.

La questione dell’anorgasmia non è mai stata un problema quand’ero ragazza. Per anni ho assaporato la novità di toccare ed essere toccata da qualcuno che non fossi io, per non parlare della scoperta – avevo circa undici anni – di poter far scivolare il bacino sotto il rubinetto della vasca da bagno e provocare quella sensazione deliziosa, ma poi insopportabile, che ho descritto prima. Anche all’università e dopo, quando l’intimità fisica era più comune, ero distaccata rispetto alla cosa.

“Questi ragazzi non sanno quello che fanno”, mi disse la pediatra che vedevo ancora in età adulta quando le chiesi spiegazioni. Aveva ragione, non solo sui ragazzi che non mi avevano mai chiesto se fossi venuta anch’io, ma anche su quelli per cui il mio appagamento era una specie di gara di virilità, di cui potevo tranquillamente essere solo una spettatrice. Parlo solo della mia esperienza come donna etero e cis­gender, ma mi sembra eloquente una statistica secondo cui l’86 per cento delle donne lesbiche riferisce di raggiungere sempre o quasi sempre un orgasmo in un incontro sessuale rispetto al 65 per cento delle donne eterosessuali.

Alina Oswald

L’idea di Galeno

Eppure ci sono stati altri uomini che sapevano bene cosa fare, tra cui il mio futuro ex marito, che incontrai a 25 anni e che dalla nostra prima notte insieme mi sorprese per una conoscenza quasi sovrannaturale del mio clitoride. Paradossalmente furono l’intensità della nostra attrazione sessuale e la speranza che forse un giorno avrebbe potuto farmi raggiungere l’orgasmo a innescare non solo la mia frustrazione, ma anche l’ispirazione ad agire. All’inizio della nostra relazione andai da una sessuologa. Mi costò 250 dollari, un assaggio della redditizia industria dell’orgasmo femminile. Un’anziana donna paffuta mi consigliò di mangiare più cioccolato fondente, smettere di prendere la pillola anticoncezionale e iscrivermi a quello che lei definiva “un ritiro orgasmico”, un’esperienza immersiva nel sudovest degli Stati Uniti dove mi sarei masturbata tutto il giorno. Mi spedì a casa con un po’ di porno femminista anni ottanta, una lista di erbe e vitamine da prendere e una ricetta per il Viagra che il farmacista, siccome ero una donna, non accettò. Per mesi seguii i suoi consigli. Mi masturbavo ogni giorno, prendevo il Viagra prima degli appuntamenti galanti, mi sorbivo improbabili fantasie su idraulici sensibili con le punte ossigenate e i jeans slavati e non prendevo più la pillola (il ritiro orgasmico era troppo costoso). Anche se la mia vita sessuale mi entusiasmava, non riuscivo a venire. Alla fine, esausta e un po’ annoiata dall’impresa, mi rassegnai di nuovo al mio destino di donna che non veniva. Da quando più di duemila anni fa Aristotele affermò per primo che solo le donne “di tipo femminile” eiaculano, l’orgasmo femminile è stato oggetto di una massiccia campagna di disinformazione. Il medico greco Galeno, convinto che gli organi riproduttivi di una donna fossero l’esatto inverso di quelli dell’uomo, sosteneva che l’orgasmo femminile fosse necessario per la procreazione, un’idea che durò fino al settecento. Galeno credeva anche che le donne fossero immuni dalla tristezza postcoitale, ovviamente perché non era mai stato a letto con me. “Ogni animale si rattrista dopo il coito”, diceva, “tranne la femmina umana e il gallo”. Il legame presunto tra concepimento e piacere femminile torna più volte nei secoli un po’ ovunque, in un trattato legale britannico del duecento o in una guida per ostetriche rinascimentali. Si potrebbe pensare che questa concezione sbagliata abbia giocato a favore della donna medievale, obbligando il rozzo marito a prestare attenzione ai suoi bisogni. Invece offrì una facile difesa agli apologeti dello stupro, che sfruttarono il nesso tra riproduzione e lussuria femminile per sostenere che il sesso non consensuale non avrebbe mai potuto portare a una gravidanza (o come affermò il deputato statunitense Todd Akin, repubblicano, in un discorso durante un fallito tentativo di candidatura al senato, “se è un vero stupro, il corpo femminile ha un modo tutto suo di evitare che accada”). Solo nel 1730 si dimostrò che l’orgasmo femminile non è un requisito per la riproduzione. A quel punto gli anatomisti cominciarono a sviluppare una concezione abbastanza accurata dell’anatomia femminile. Ma ci volle almeno un altro secolo perché il tedesco Georg Lud­wig Kobelt realizzasse una delle prime illustrazioni dettagliate del clitoride, l’unico organo umano dedicato solo al piacere, che, con più di ottomila terminazioni nervose, non è decisamente l’inverso del pene. Ancora una volta le donne non beneficiarono di questi progressi. Insieme al declassamento dell’orgasmo femminile arrivò la retrocessione del desiderio femminile, con il risultato che molti medici vittoriani credevano che le donne non fossero capaci di raggiungere il massimo del piacere. Come scrisse il ginecologo britannico William Acton nel 1857, “la maggioranza delle donne (per loro fortuna) non è turbata da emozioni sessuali di alcun tipo”.

Un percorso accidentato

Secondo Rachel Maines, una storica della tecnologia statunitense, in quello stesso periodo il massaggio pelvico diventò un’attività redditizia per i medici che cercavano di curare le donne dall’“isteria”. Tra i sintomi c’erano l’ansia, il desiderio sessuale o la perdita del desiderio e una propensione a piantare grane. La storia di questa incerta “patologia” risale a molto tempo fa, così come la pratica di massaggiare le donne per migliorare la loro salute. Galeno riporta la storia di una vedova afflitta a cui fu consigliato di strofinare le sue “parti femminili” con “rimedi tradizionali”, per risvegliare così il “dolore e il piacere” che di solito accompagnano il rapporto sessuale. Verso la metà dell’ottocento, scrive Maines, il massaggio idrico (quello che inconsapevolmente facevo a undici anni) era stato perfezionato, e alcune stazioni termali europee avevano getti ad alta pressione per trattare i “disturbi femminili”. Eppure, poiché al tempo si pensava che le donne non fossero attrezzate per l’eccitazione sessuale, i risultati di questi trattamenti erano noti non come orgasmi ma come parossismi isterici.

Maines aggiunge che dobbiamo ringraziare questi eventi per la creazione del vibratore, brevettato nel Regno Unito nel 1880 – molto prima dell’aspirapolvere – come dispositivo per togliere lavoro ai medici che si lamentavano dell’affaticamento cronico alle mani. Altri storici contestano le affermazioni di Maines, citando una serie di discrepanze tra le sue fonti e le sue conclusioni, e si lamentano del fatto che il suo lavoro – che ha trovato poi risonanza in diversi libri, film, articoli accademici e perfino in uno spettacolo teatrale a Broadway – abbia ottenuto un’accoglienza così ampia. Come ho scoperto durante la ricerca per quest’articolo, Maines ha impostato il suo discorso talmente tanto intorno a sesso e tecnologia che è difficile capire dove sia davvero la verità sul parossismo indotto dal medico. Ma non c’è dubbio che l’uso domestico del vibratore si diffuse rapidamente, con pubblicità sul “piccolo dottore di famiglia” e “sull’aiuto che ogni donna apprezza” su riviste popolari come Popular Mechanics e Woman’s Home Companion. I vibratori poi persero la loro accettabilità sociale, ma riguadagnarono slancio sulla scia del movimento femminista, per non parlare del cameo del vibratore coniglio in Sex and the city. Nel 2009 circa il 53 per cento delle donne statunitensi ha ammesso di aver usato un vibratore almeno una volta nella vita.

Con la pubblicazione nel 1953 della ricerca del sessuologo statunitense Alfred Kinsey, Il comportamento sessuale della donna (Bompiani 1968), in cui si rivelava tra le altre cose che il 62 per cento delle donne statunitensi si masturbava, il mondo occidentale inaugurò un’era di relativa illuminazione sessuale. Jonathan Margolis, l’autore di O: storia intima dell’orgasmo (Piemme 2005), parla dell’“accidentato percorso occidentale dai postumi vittoriani a un cauto progresso”. Da allora gran parte del dibattito sull’orgasmo femminile si è concentrato sul mistero evolutivo della sua funzione. Gli organi sessuali maschili e femminili sembrerebbero strumenti piuttosto modesti: anche se un numero sorprendentemente alto di uomini e perfino di donne sembra non accorgersene, la posizione fisica del clitoride implica che solo circa un quarto delle donne, secondo alcune stime, sia in grado di raggiungere l’orgasmo con la sola penetrazione. La domanda che ne segue, da un punto di vista evolutivo, è perché le donne raggiungano l’orgasmo. O, come si chiedeva il biologo statunitense Stephen Jay Gould nel 1987, “come può il piacere sessuale essere così distinto dalla sua espressione funzionale nel gioco darwiniano della vita?”. Forse la teoria più accettata sull’orgasmo femminile è del britannico Desmond Morris, l’autore di La scimmia nuda (Bompiani 2018). Nel 1967 Morris ipotizzò che il punto fondamentale fosse una certa difficoltà parziale che gli uomini incontrano nel portare una donna all’orgasmo. O, come spiega Margolis, che il tipo di uomo che dedica le cure necessarie a dare piacere alla compagna è lo stesso che potrebbe aiutarla a crescere i figli. Ci sono altri punti di vista, tra cui la discussa “teoria dell’aspirazione dello sperma”, in cui la cervice durante l’orgasmo trascinerebbe lo sperma verso l’utero. E la tesi non adattiva dell’antropologo statunitense Donald Symons, presentata nel 1979 e poi abbracciata da Gould, secondo cui l’orgasmo femminile – come il capezzolo maschile – è una vestigia dello sviluppo embrionale parallelo dei sessi. Uno studio del 2019, che ha coinvolto conigli e Prozac, ha accreditato un’altra teoria secondo cui l’orgasmo femminile risale a un’epoca preistorica in cui l’ovulazione era attivata dal rapporto sessuale (nei conigli è ancora così). La verità è che nessuno sa perché le donne vengano, e i nostri discendenti potrebbero deridere queste teorie come facciamo noi con il trattamento dell’isteria o il legame tra l’orgasmo e il concepimento. L’orgasmo femminile è una specie di test di Rorschach, un’astrazione su cui ogni generazione di medici e scienziati proietta la propria visione del mondo, quasi sempre a beneficio degli uomini e delle loro ipotesi sul normale funzionamento della sessualità femminile. Ma se pensate che il dibattito sul perché le donne hanno l’orgasmo sia complicato, provate a risolvere il mistero del perché alcune non ce l’hanno.

Minaccia alla mascolinità

Circa nove anni dopo il mio appuntamento con la sessuologa (ero single e appena divorziata) ero sul pavimento di un appartamento di Williamsburg, a New York. Era il mio quinto appuntamento con Chris – ho cambiato i nomi di tutti gli amici e gli amanti in questo testo – e avevamo appena fatto sesso per la quarta volta in dodici ore. Stavo già fantasticando sul nostro futuro insieme quando lui mi ha confessato di essere turbato. “Per me il sesso è finalizzato a un obiettivo”, mi ha spiegato. “So che non potrò godere se non riesco a farti venire, se non possiamo condividere quel livello di connessione. Se fossi stato tuo marito”, ha aggiunto con gentilezza, “ti avrei mandato dal migliore sessuologo sulla piazza”.

Il vero brivido nel sesso è essere in grado di dare piacere all’altra persona

Mi sono sentita di colpo piena di rabbia, oltre che abbastanza ingenua. Gli avevo parlato della mia situazione, come a tutti gli uomini che avevo frequentato. Credo di esserne stata perfino orgogliosa, come se fosse un tocco di mistero che mi rendeva speciale, un enigma intrigante con cui avremmo potuto cimentarci insieme. “Ma non vedi quanto è ingiusto?”, ho detto. “Se mi diverto, se mi sento bene, non ti basta?”.

Lui mi ha detto: “Non sono sessualmente compatibile con qualcuno che non sa lasciarsi andare”. E poi: “Credo che sia una cosa insormontabile”.

Mi sono resa conto in quel momento che la condizione di divorziata mi avrebbe costretto di nuovo a confrontarmi con il problema. L’impressionante autostima del mio ex marito forse aveva provocato la fine del matrimonio, ma era stata anche un toccasana in camera da letto. Un uomo che traboccava sicurezza, che non aveva mai considerato la mia difficoltà come una minaccia alla sua mascolinità e mi aveva sempre creduto quando gli dicevo, e non mentivo, quanto mi eccitasse. Ma per gli uomini dopo di lui la mia condizione era un difetto che mi rendeva una donna infrequentabile. Con nessuno è stato più chiaro che con Michael, un ragazzo con cui ho quasi convissuto. Un anno dopo il fallimento della nostra relazione – eravamo nudi nel suo letto in ricordo dei vecchi tempi – gli ho chiesto perché secondo lui le cose tra di noi non avessero funzionato. “Se ti fossi trasferita qui”, ha detto, “forse ci saremmo sposati. E in tutta sincerità se fossi sposato con una donna che non riesce a venire, probabilmente la tradirei”.

La sua risposta mi ha lasciato sbalordita. Sarebbe stato diverso se mi avesse detto che non mi trovava divertente, attraente o intelligente, o perfino che aveva capito che volevamo cose diverse dalla vita. Ma allontanarsi perché non potevo raggiungere l’orgasmo, un fatto che avevo accettato e che non aveva niente a che fare con la mia attrazione per lui? Era davvero ingiusto.

“Non capisci quanto mi piaccia soddisfare le donne”, ha continuato. “È la connessione più forte che due persone possano stabilire, e penso di essere bravissimo a farlo. Ho cercato di farne un’arte, l’ho proprio studiato. Quindi l’idea di sposare una persona che non avrà mai un orgasmo”, ha spiegato, “e di non poter mai più far venire una donna, è dura da digerire”. Ha fatto una pausa: “Non so, forse potrei vederla come una sfida, come se dovessi raggiungere un livello molto difficile in un videogioco. Ma non credo”.

Alina Oswald

Medaglia d’onore

Nella raccolta di racconti di David Foster Wallace Brevi interviste con uomini schifosi (Einaudi 2016) – una delle critiche più incisive alla mascolinità contemporanea che ho letto – l’intervistato numero 31 offre una lente utile attraverso cui leggere l’attuale ossessione della nostra società per l’orgasmo femminile. Naturalmente ci sono “i semplici porci”, sostiene, quelli che “si rotolano avanti e indietro” senza riguardo per il piacere della compagna. Ma c’è una seconda specie: quelli convinti di essere “i Grandi Amatori”, che segnano con una tacca ogni orgasmo femminile procurato. “E per certi tipi è davvero importante credersi Grandi”, spiega. “Passano buona parte del loro tempo a credersi Grandi e pensano di sapere come accontentarla”.

Conosco questi uomini: tengono nei cassetti olio di cocco e vibratori, trovano il tuo perineo a occhi bendati, chiamano il quadrante superiore sinistro del tuo clitoride “il punto giusto”.

“Ma ora non pensate che questi siano migliori dei semplici porci”, dice l’intervistato. “Si credono generosi a letto. No, la fregatura è che hanno l’egoismo di essere generosi. Non sono meglio del porco, sono solo più subdoli”.

Nel suo libro del 2018 Faking it (Fingere), l’educatrice sessuale Lux Alptraum condanna una cultura in cui per molti uomini l’orgasmo femminile è diventato “il primo, se non l’unico, scopo del sesso. Questo suggerisce che qualunque donna non sia in grado o non voglia raggiungere l’orgasmo sia strana o fallita”. Per Alptraum la colpa è di Lei viene prima (Odoya 2016), la celebre guida al cunnilinguo del sessuologo statunitense Ian Kerner. Nel 2004, quando fu pubblicato la prima volta, il libro fu apprezzato da riviste come Jane e Cosmopolitan perché promuoveva il piacere femminile. Il Grande amante, osserva l’intervistato di Wallace, è sempre “in prima fila da Barnes & Noble per l’ultimo libro sulla sessualità femminile, per tenersi sempre aggiornato sull’argomento”. Ma nonostante le nobili intenzioni, sostiene Alptraum, il libro di Kerner ha stabilito un nuovo paradigma secondo cui l’orgasmo femminile, una volta considerato mitico, diventava obbligatorio. Il problema di Lei viene prima, dice Alptraum, è che propone l’orgasmo femminile “come medaglia d’onore e conferma della virilità di un uomo, subordinando i bisogni, i desideri e il piacere autentico della donna all’appagamento dell’ego del maschio eterosessuale”.

Per cercare una prospettiva maschile competente al riguardo ho incontrato proprio Kerner. Non crede che Lei viene prima abbia creato l’opprimente patina culturale di cui parla Alptraum e che
neanche la maggior parte degli uomini consideri narcisisticamente l’orgasmo femminile uno sport. Semmai, ha detto, gli uomini che si fissano sul fatto che la compagna non viene si sentono inadeguati. Poi ha aggiunto che nessuno dei suoi pazienti ha mai lasciato una donna perché non aveva l’orgasmo. “Può essere un problema per un maschio che si sente ferito. Non è tanto l’ego, quanto una sensazione del tipo: ‘Il sesso non piace a questa compagna’”.

Kerner ha ammesso che il suo pensiero è cambiato dai tempi di Lei viene prima, in parte grazie a donne come Alptraum che fanno appello a una visione più inclusiva della sessualità femminile. Oggi lavora con molte coppie “che sono motivate e incoraggiate a fare sesso senza arrivare all’orgasmo. Parte del mio lavoro, in netto contrasto con il libro, può essere davvero quello di insegnargli a godersi tutti gli aspetti del sesso”.

Fingere

Dopo aver ascoltato la mia storia, Kerner ha ipotizzato che il mio problema sia un’incapacità di calmare le zone irrequiete e autocoscienti del cervello. “Fino a che punto rimani in una posizione di osservazione della tua esperienza invece d’immergerti in uno stato di eccitazione?”, mi ha chiesto. Mi ha raccontato di una ricerca del 2006 del neuroscienziato olandese Gert Holstege in cui dodici donne hanno infilato la testa in uno scanner per tomografie a emissione di positroni mentre i compagni le portavano all’orgasmo. Con grande sorpresa di Holstege, le scansioni hanno mostrato un calo drastico di attività nell’amigdala e nella corteccia prefrontale, parti del cervello associate all’ansia e all’inibizione. “Quindi secondo Holstege”, ha detto Kerner, “affinché il cervello di una donna si accenda sessualmente, un’altra parte si deve spegnere”.

Lo so che posso sembrare un’ipocrita perché insisto su quanto amo il sesso in modo assoluto e incondizionato e allo stesso tempo sono frustrata e desidero, a volte disperatamente, l’orgasmo. Se credessimo a Kerner potremmo perfino accettare la teoria secondo cui non sono capace di lasciarmi andare. Forse è stato Chris a dirmi di avere avuto la sensazione che lo guardassi mentre facevamo sesso, per cercare di valutare se si stesse divertendo invece di godermelo io. E capisco anche, avendo da poco frequentato un uomo che fatica a venire, perché questo possa essere insoddisfacente e umiliante per il compagno. Il vero brivido nel sesso non è dare piacere all’altra persona ma essere in grado di farlo.

Eppure mi fa ancora rabbia ripensare ai discorsi di Chris e Michael, al loro paternalismo e alla loro ipocrisia. Non sono uomini ripugnanti, e forse si considerano femministi o almeno illuminati. Ma il loro rifiuto di ascoltare la mia versione dei fatti – la loro insistenza sull’idea che, qualunque cosa dicessi o facessi, non me la stavo godendo abbastanza – smentisce quest’ipotesi. Anzi rivela che l’attenzione per l’orgasmo femminile ha poco a che fare con il mio piacere e riguarda quasi completamente il loro. Nelle settimane e nei mesi successivi a quella conversazione con Michael, ancora traumatizzata dal suo rifiuto, ho accettato la soluzione più ovvia: ho cominciato a fingere. Forse siete sconvolti da questa confessione, di sicuro ha messo a disagio le mie amiche. Si preoccupavano di quale fosse il mio scopo, del sacrificio della mia attività sessuale e del fatto che le mie relazioni future sarebbero state costruite su una bugia. “Dimentica quei pagliacci”, dicevano di Chris e Michael e di altri come loro. “Trovati un uomo che ti accetti per come sei davvero”. Anche ai sessuologi non piace: pensano che fingere generi senso di colpa e risentimento, e che fissarsi sulle prestazioni invece che sul piacere renda il sesso ancora meno piacevole (riconoscono anche quanto sia diffuso, un dato che molti uomini non colgono. Quando Chris, che era andato a letto con più di cento donne, mi ha giurato che ero la prima che non riusciva a far venire, ho riso di cuore).

Ma la verità è che fingere mi ha reso immediatamente più potente, è stato rivelatore. Da un giorno all’altro l’enfasi si è spostata da ciò che mi mancava a ciò che potevo offrire. Il sesso è diventato all’improvviso più divertente, meno difficile, e ho cominciato a crogiolarmi nel tipo di risposte che immaginavo ricevessero sempre le donne che raggiungono l’orgasmo. Fingere metteva in risalto la mia sessualità. Per la prima volta dal divorzio, forse per la prima volta in assoluto, gli uomini hanno cominciato a vedermi come mi vedevo io e come sapevo di essere: carnale come le altre persone, anzi forse più di chiunque altro. Certo, c’erano alcune questioni etiche e pratiche in gioco: soffrivo all’idea che un uomo che amavo scoprisse che l’avevo ingannato. Qual era il mio scopo? Ma era arrivato il mio turno di essere egoista.

Non c’è fine ai mezzi con cui le donne sono spinte a dubitare della loro sessualità

Tuttavia l’eccitazione innescata da questa rivelazione ha scatenato anche una frustrazione sessuale. Un fine settimana a casa di mia madre mi sono accorta che il ragazzo che stavo frequentando si era dimenticato i boxer dopo che eravamo stati insieme. Ho passato la mattina successiva indossandoli e girando per la camera da letto, inscenando servizi fotografici erotici da mandargli sul telefonino, eccitandomi così tanto che ho afferrato un frullatore a immersione dalla cucina, pregando che il suo manico vibrante funzionasse o come l’uomo che aveva dimenticato i boxer o come il vibratore che avevo lasciato a Brooklyn. Non funzionava: le sue lame rotanti erano troppo vicine per mettermi a mio agio. Ho quasi pianto per la rabbia.

È difficile esprimere l’impotenza che provavo: avevo 37 anni e non riuscivo ancora a padroneggiare il mio corpo. Così ho deciso di continuare il percorso che avevo cominciato con la sessuologa tanti anni prima, cercando invano su Google un ritiro orgasmico e poi fissando un appuntamento con il dottor M., uno specialista del tocco sensuale di cui avevo letto sul New York Magazine.

Qualche settimana dopo ho incontrato il dottor M. “Non sono un vero dottore”, ha ammesso senza che ce ne fosse bisogno in uno Starbucks vicino al suo appartamento. Era un uomo comune sulla quarantina, trasmetteva un’energia piacevole e aveva un umorismo pungente. Abbiamo chiacchierato mentre mi conduceva attraverso l’androne del suo palazzo nel suo piccolo e banale appartamento da scapolo. Il genere divano di pelle marrone, libreria nera di Ikea, copriletto blu, poster gigante del ponte di Brooklyn.

Dopo un breve colloquio sulla mia storia sessuale – ne avevamo già parlato al telefono – mi sono spogliata in bagno, mi sono avvolta in un asciugamano e mi sono sdraiata sul lettino da massaggio. Un diffusore d’olio essenziale passava dal verde al viola, rilasciando una fine vaporizzazione di eucalipto, e una musica d’ambiente in sottofondo mi cullava dolcemente. Mentre mi massaggiava il collo e le braccia, mi sforzavo di leggere i titoli nella libreria. Alla fine mi ha versato dell’olio tiepido sulla schiena e, continuando a massaggiare, ha cominciato a divaricarmi le gambe. Di sicuro era eccitante, non saprei dire cosa stesse facendo di preciso, ma mi sentivo sciogliere, fluivo, mi rinnovavo. “Brava bambina”, diceva per incoraggiarmi ogni volta che mi contorcevo. Mi aveva avvertito di non focalizzarmi troppo sull’obiettivo e mi sforzavo di svuotare la mente da qualunque idea di orgasmo. Non che mi aspettassi di averne uno, ma era quasi impossibile non chiedermi quando sarebbe arrivato il momento, in un modo che rendeva l’evento meno probabile.

“Ok”, ha detto alla fine il dottor M. “Possiamo andare avanti oppure possiamo concludere coinvolgendo la bacchetta magica”.

“Cos’è?”, gli ho chiesto.

“Questo ragazzaccio qui”, ha detto lui sfoderando un oggetto che somigliava terribilmente al frullatore di mia madre.

Pochi minuti dopo l’asciugamano era scivolato a terra e mi stavo dimenando nuda sul tavolo, rapita e respinta al tempo stesso dalla punta pulsante della bacchetta magica, mentre cercavo disperatamente qualcosa a cui avvinghiarmi. “Posso toccarti?”, gli ho chiesto mentre già gli afferravo il braccio libero con entrambe le mani.

“Certo”, ha detto lui con gentilezza. Era passata meno di un’ora da quando ci eravamo stretti la mano da Starbucks per la prima volta.

Come ho raccontato più tardi alle amiche, quella è stata probabilmente l’esperienza migliore sotto le dita di un uomo. Ma come avrei potuto prevedere, e come ha notato lo stesso dottor M. (cominciavo a considerarlo un vero dottore tanto era devoto alla causa), qualcosa sembrava trattenermi.

Alina Oswald

Mi sono rivestita mentre lui descriveva la sua clientela variegata: le donne che non vengono, ma anche le single che desiderano sentirsi toccate, le avventurose che la considerano una delle esperienze da fare nella vita, quelle sposate che cercano il piacere sessuale senza tradire (senza tradire? Mm).

Scetticismo e senso di colpa

Se, come me, non sapete resistere all’impulso di raccontare le vostre avventure sessuali agli aperitivi, vi troverete presto sommerse da una marea di consigli sull’orgasmo. Un amico terapeuta pensava che l’ipnosi fosse il passo logico successivo. Michael – quel Michael – mi ha suggerito di rivolgermi a OneTaste, un’azienda di meditazione orgasmica ormai chiusa che vendeva corsi in cui degli uomini con indosso guanti di plastica lubrificati accarezzavano il clitoride di una donna per quindici minuti consecutivi (499 dollari per un corso di un fine settimana, 60mila dollari per un abbonamento annuale). Un’altra amica aveva apprezzato il workshop Bodysex della defunta educatrice sessuale Betty Dodson, un corso di dieci ore di masturbazione femminile in cui ci si siede nude in cerchio, si gioca con dei dildi e si esaminano le vagine delle compagne di corso per una perlustrazione didattica dei genitali (1.200 dollari con assegno o mille dollari in contanti; bilanciere di allenamento vaginale in omaggio).

Ian Kerner mi ha consigliato la New society for wellness , la nuova società del benessere, un club di sesso d’élite di New York per millennial (per 1.690 dollari all’anno hai accesso illimitato ai sex party a base di cannabis con artisti del fuoco e dominazione da parte di professionisti), così come i ritiri della Body electric ­school (495 dollari), che offre un santuario per “diventare più consapevole delle dimensioni spirituali nelle tue esplorazioni erotiche”. Ha parlato di OmgYes, una serie di video didattici che abbattono i tabù sul piacere sessuale delle donne (59 dollari per una stagione o 118 per due), e della Mama Gena’s school of womanly arts (La scuola delle arti femminili di Mama Gena), che vende un programma di studio per “dee sorelle” dall’autrice di Pussy: a reclamation, vostro per più di cinquemila dollari.

Il dottor M. mi ha suggerito altre due possibilità: la Finishing school online della sessuologa Vanessa Marin, chiamata da BuzzFeed “la donna che sussurrava agli orgasmi” (999 dollari) e la clinica del benessere Maze women’s sexual health, a New York. Ho avuto una consulenza telefonica gratuita di dieci minuti con questa clinica e ho parlato con Jen, una donna adorabile. Il mio trattamento da Maze prevedeva una prima visita di 90 minuti con un terapeuta e un ginecologo (530 dollari senza assicurazione, analisi del sangue incluse) e poi un numero imprecisato di visite di controllo (380 dollari per la seconda visita e 250 dollari per ogni appuntamento successivo, senza assicurazione; eventuali esami non inclusi) progettate per risolvere il mio problema. Era probabile una combinazione delle seguenti cure: un assortimento di creme formulate per aumentare la sensibilità del clitoride; accesso libero ad almeno venti diversi tipi di vibratori; una collezione di porno etico femminista; una terapia sostitutiva con testosterone e l’O-shot, un nuovo trattamento in cui il sangue prelevato dal mio braccio viene centrifugato, il plasma ricco di piastrine viene separato e poi iniettato in vagina.

Tutte queste possibilità mi hanno lasciato confusa, quasi senza speranze. Da dove cominciare? E come pagare? Avrei potuto arrendermi come avevo fatto dieci anni prima. Di sicuro mi avvicinavo a ogni opportunità con scetticismo, dubitando dell’efficacia. Ma poi uno dopo l’altro i vari siti – sofisticati, competenti e, mi sembrava, attenti alla mia situazione – cominciavano ad attirarmi. La prospettiva di non agire mi faceva sentire in colpa, come se non separarmi da una parte consistente dei miei risparmi, per non parlare del mio tempo libero, fosse un venir meno alle mie responsabilità di donna. Ovviamente era quello il punto: nonostante l’eccitazione e la curiosità per i bilancieri vaginali e l’O-shot, ero ancora abbastanza lucida. Indipendentemente dalle loro buone intenzioni, queste aziende erano uno specchio degli uomini che per primi mi avevano lanciato in questa vertiginosa caccia all’oca e avevano mascherato i loro interessi personali dietro un’apparente preoccupazione per la mia gratificazione. Vanessa Marin aveva lavorato con molte donne terrorizzate che i loro compagni le scaricassero perché non riuscivano a venire. La considerava una realtà straziante, a conferma della validità del suo lavoro di sussurratrice di orgasmi. Eppure non potevo fare a meno di sentire che nella sua missione di dare potere a queste donne, Marin aveva involontariamente riprodotto la stessa idea inculcata in loro dagli uomini che minacciavano di lasciarle: erano inadeguate e il loro piacere non bastava.

Non ero l’unica a sentirmi in colpa e in ansia davanti a questa vasta offerta di perfezionamento personale. Non c’è fine ai mezzi con cui le donne, anche quelle che hanno l’orgasmo, sono spinte a dubitare del normale funzionamento della loro sessualità, così come sono esortate, a costi considerevoli, a prendere provvedimenti per “aggiustarla”. Forse il più nocivo è la ricerca delle aziende farmaceutiche di un equivalente femminile del Viagra e il finanziamento di programmi per diffondere la consapevolezza sulla disfunzione sessuale femminile e sul disturbo da desiderio sessuale ipoattivo, che hanno aperto la strada a prodotti come Addyi, la controversa “pillola rosa” approvata nel 2015 dalla Food and drug administration (Fda), l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti farmaceutici. Sulla confezione dell’Addyi il disturbo è descritto come “un basso desiderio sessuale che provoca notevole disagio o difficoltà interpersonali”. Come osserva la dottoressa Adriane ­Fugh-Berman, del Georgetown university medical center, negli Stati Uniti, la frase la dice lunga sul vero beneficiario del farmaco.

Secondo Fugh-Berman, “non esiste una norma scientificamente stabilita per l’attività sessuale, i sentimenti o il desiderio, e non ci sono prove che il disturbo da desiderio sessuale ipoattivo sia una malattia”. Piuttosto, sostiene, il disturbo illustra “una condizione promossa dall’industria per preparare il mercato a un farmaco specifico”. Quindi un numero incalcolabile di donne sane rischia effetti collaterali come nausea, vertigini e cali di pressione sanguigna per curare una sottocategoria di una disfunzione sessuale che non esiste. La Sprout Pharmaceuticals, che produce l’Addyi, ha dichiarato che il disturbo ipoattivo è una patologia reale, sottolineando che la Fda ha riconosciuto questa disfunzione sessuale femminile come “un’importante necessità medica disattesa”.

“Ci sono decine di farmaci in cantiere pronti a offrire alle donne una versione del desiderio che è in realtà una versione costruita dai mezzi d’informazione”, mi ha detto Kerner. “È come se dicessero: ‘Ehi, se non stai vivendo il desiderio in questo modo diretto, forse sei guasta, eccoti una pillola’. Ma così si crea un problema solo per poterlo risolvere”.

Una delle osservatrici più acute dell’industria dell’orgasmo femminile è Jen Gunter, una ginecologa nota per aver sfatato alcuni miti subdoli sulla sessualità delle donne, le uova di giada di Gwyneth Paltrow e i bagni di vapore vaginale, ma anche l’O-shot. “È un orrore così stratificato”, scrive nel suo libro The vagina bible (La bibbia della vagina), “che è difficile capire da dove cominciare”. Quando abbiamo parlato al telefono Gunter mi ha fatto ridere descrivendo la nostra rappresentazione feticcio del desiderio femminile. “L’intera industria del sesso”, ha detto, “ruota intorno all’orgasmo femminile, ma non s’interessa del piacere che ti ci porta. La società patriarcale vuole che le donne siano eccitate per gli uomini quando loro sono pronti. Tipo: ‘Certo, potente portatore di spada, con una sola strizzata di capezzolo dovresti potermelo infilare, e in tre secondi inarcherò la schiena e mi comporterò come se mi stesse succedendo la cosa più piacevole del mondo’”.

Mi ha raccontato che i suoi due figli adolescenti hanno cominciato a uscire dalla stanza a ogni scena di sesso in un film o in un episodio del Trono di spade perché sono stufi del suo conto alla rovescia dei secondi tra la penetrazione e l’orgasmo. Ma secondo lei le conseguenze di questi messaggi possono seriamente influenzare le donne e ripercuotersi su di loro. Molte sue pazienti sono state lasciate dai compagni a causa della loro vita sessuale. “Sono infiniti i modi in cui la sessualità delle donne può essere ritorta contro di loro”, mi ha detto. “Scegli un modo, già esiste”.

La verità è che nessuno sa con certezza perché le donne vengano

Alla fine ho preso un appuntamento con un guaritore tantrico (600 dollari per due ore) consigliato dalla mia amica Imogen, un’altra donna sulla trentina con problemi di orgasmo. “Devi conoscere questo tipo”, mi aveva scritto un giorno. “Ho provato un orgasmo in tutto il corpo a pugni stretti. Una cosa da matti”. Quando le avevo chiesto se il guaritore l’avesse effettivamente toccata – non sapevo nulla del tantra, mi venivano in mente immagini di mani che cercano di manipolare l’energia a mezzo centimetro dalla pelle, che non fanno testo – mi aveva risposto con un semplice “sì”.

Esperienza tantrica

Poi so solo che ho aperto la porta a Justin, un uomo abbronzato e muscoloso della mia età che portava anfibi e pantaloni etnici bordeaux e giallo. Seduti nel mio soggiorno ci siamo confrontati sul modulo di accettazione che gli avevo inviato. “Ami i tuoi organi genitali? Descrivi in che modo”. Poi abbiamo discusso se il mio essere sopravvissuta a un incidente d’auto quasi fatale qualche anno prima potesse significare che ero stata messa su questo pianeta per uno scopo preciso. Mi sembrava intelligente e inaspettatamente con i piedi per terra. Mi sentivo tranquilla e a mio agio con lui come con il dottor M. Poi mi ha chiesto di spogliarmi, d’indossare un pareo e stilare una lista di propositi da infilare sotto il materasso mentre preparava la camera da letto per la nostra sessione. “Vediamo cosa hai tirato fuori”, ha detto tornando.

“Vuoi leggerli?”, gli ho chiesto. “Pensavo che sarebbero rimasti privati”.

“Ascolta, farai molte cose private oggi, ma le farai con me”. Eravamo seduti al mio tavolo da pranzo ora, lui completamente vestito e io praticamente nuda, con il pareo semitrasparente avvolto intorno al corpo come un asciugamano. Ogni tanto si prendeva una pausa dalla lettura dei miei propositi per regalarmi perle di saggezza: sbarazzati del tuo vibratore. Trasforma la masturbazione in un rituale settimanale. Studia la tua vagina allo specchio (“Come Charlotte in Sex and the city”, ho esclamato con suo disappunto). E soprattutto, smetti di fingere. “Come potrai mai trovare qualcosa di autentico se sei falsa fin dall’inizio?”, ha chiesto. “E se un ragazzo se ne va per questo motivo, è comunque un modo eccellente per eliminare gli stronzi”.

“Parliamo dei confini”, ha detto infine.

“Penso di non averne, sai?”.

“Bene allora”, ha detto lui. “Ti andrebbe bene del sesso penetrativo non protetto?”.

“Ah!”. Umiliata, ho aggiunto: “No, probabilmente no”.

“Vedi, questo è un confine”. Poi ha proposto una lunga lista di altre possibilità erotiche. Cominciavo a capire che la guarigione tantrica era più pratica di quanto avessi immaginato. Eccitata, ho detto di sì a tutto. Justin è scomparso in camera da letto. Quando ha aperto la porta, indossava solo dei pantaloncini di seta gialla e le sue numerose collane di amuleti. Le tende erano tirate, il letto cosparso di petali di rosa sintetici, l’incenso bruciava sul comodino e decine di candele elettriche riproducevano un artificiale tremolio.

“Entra, dea”, ha detto solennemente.

È rimasto scioccato nell’apprendere che non ero venuta, dato il mio godimento

Ci siamo seduti a gambe incrociate sul letto, tenendoci per mano e guardandoci negli occhi. Mi ha detto di respirare profondamente dal naso e dalla bocca. Poi mi sono stesa a pancia in giù mentre lui mi toglieva il pareo e mi massaggiava la schiena e le gambe. Quando si è messo a cavalcioni su di me, facendo scorrere il suo avambraccio orizzontalmente su e giù per la mia schiena, mi sono resa conto con un sussulto che era nudo. A occhi chiusi riuscivo quasi a non chiedermi se avessi, senza volerlo, ingaggiato un gigolò. “Sei forte”, ha sussurrato mordicchiandomi il lobo dell’orecchio. “Bella. Sexy. Meritevole. Amorevole. Amabile”. Si è strofinato le mani con olio di lavanda e mi ha detto d’inspirare. “Immagina la fattoria dov’è stata coltivata questa lavanda”, ha detto, “e il laboratorio in cui è stata trasformata in olio. Immagina il contadino che l’ha raccolta; immagina la sua vita, le sue preoccupazioni, le sue gioie e le sue ansie. Il mondo lavora per te”, ha detto. “Pensa a tutto quello che sta facendo dietro le quinte per sostenerti, e tu neanche te ne accorgi”. Poi ha infilato un dito in un punto che non rivelerò.

Quando siamo arrivati alla fine – diciamo solo che c’è stata molta cura per il mio “tempio sacro”, molti sospiri su quello che lui definiva “il nettare degli dei” – Justin mi ha girato sul fianco e ci siamo messi a cucchiaio (per allineare i nostri chakra del cuore, naturalmente). “Tu sei una dea”, mi ha ripetuto, “e io ti riconosco e ti onoro come tale”.

È rimasto scioccato nell’apprendere che non ero venuta, dato il mio visibile godimento, e si è chiesto ad alta voce se invece non fossi venuta, se ci fosse qualche blocco tra il mio corpo e il mio cervello. Ci siamo voltati l’uno verso l’altro, ancora nudi e avvinghiati. “Fai il lavoro più strano del mondo”, ho detto. Lui ha riso, ma non perché fosse d’accordo con me. “È una vocazione”, ha spiegato. “Credo veramente che il tantra sia il futuro, come lo yoga o la meditazione”. Mi ha raccontato di come fosse stata rivelatrice la sua prima esperienza tantrica, mi ha detto che aveva venduto la sua auto di lusso e aveva lasciato il lavoro nella finanza. Si era trasferito a Miami per potersi concentrare sulla cura di donne come me. Ha parlato così a lungo che le ombre del pomeriggio cominciavano ad allungarsi: non avevo assunto un gigolò, ma un fidanzato.

Certi giorni penso di aver smesso di cercare l’orgasmo. Altri giorni, un po’ più speranzosa, valuto se chiedere a mia madre un seminario di masturbazione per il mio compleanno. Altri giorni ancora mi chiedo se in realtà non abbia sempre avuto l’orgasmo, se gli occasionali spasmi che sento siano in effetti quella cosa lì. Come sottolinea Lux Alptraum, l’orgasmo femminile è spesso più difficile da individuare del suo equivalente maschile, e gli orgasmi insoddisfacenti, per quanto possano suonare un ossimoro, sono più diffusi di quanto crediamo.

Su un piedistallo

In O, Jonathan Margolis descrive uno studio in cui i ricercatori sessuali William Hartman e Marilyn Fithian hanno osservato un gruppo di donne che si consideravano anorgasmiche. Tre quarti di queste, si è scoperto, avevano mostrato per tutto l’esperimento reazioni fisiologiche compatibili con l’orgasmo. “È come se la moderna mitizzazione e il culto dell’orgasmo”, scrive Margolis, “abbiano collocato questa sensazione su un piedistallo così irraggiungibile che anche le donne in grado di raggiungere l’orgasmo si rifiutano di credere di averne davvero”.

Ora i miei giorni di finzione sono finiti, anche perché, spinta dalla stessa compulsione al racconto che mi anima negli aperitivi, di certo sto facendo saltare la mia copertura. Ma forse è meglio così. Certo, mi sono sorpresa per la collera che è venuta fuori scrivendo quest’articolo. Non mi ero resa conto di quanto fosse radicato il risentimento verso quegli uomini – e più tardi, verso l’intera industria dell’orgasmo femminile in cui vedevo riflesso il tornaconto di quegli uomini – che mi hanno fatto sentire un senso d’inadeguatezza e vergogna per una situazione al di fuori del mio controllo, e con cui avevo già fatto pace.

Anche se sono grata al dottor M. e a Justin per il loro sostegno, anzi per aver offerto uno spazio sicuro in cui esplorare ulteriormente le frontiere del mio corpo, quando ci penso mi chiedo se la loro professata “vocazione” sia in realtà solo una forma di egoismo maschile mascherato. Eppure mi rifiuto di credere che non ci sia là fuori qualche uomo con la fiducia e la generosità necessarie per volermi indipendentemente dal fatto che io venga o meno. Justin ha fatto una buona osservazione: come potrò mai trovare qualcosa di autentico se io per prima sono falsa?

Vi lascio qui, care lettrici e cari lettori, nella frustrazione dell’ennesimo orgasmo non raggiunto. ◆ sb

Katharine Smyth è una scrittrice statunitense. Ha pubblicato All the lives we ever lived (Crown Publishing Group 2019).

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Questo articolo è uscito sul numero 1413 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati