Nelle immersioni nessuna foca può competere con l’elefante marino. Quando va a caccia di pesci e calamari negli abissi, questo mammifero può trattenere il fiato per più di due ore e spingersi fino a un chilometro e mezzo di profondità, sopportando pressioni che spianerebbero un’automobile. Queste epiche immersioni permettono agli elefanti marini di sopravvivere a lunghi periodi in acqua, per esempio durante i viaggi di migliaia di chilometri per procurarsi il cibo, dalla costa occidentale del Nordamerica all’oceano Pacifico centrale e ritorno. Nuotano senza sosta per sette mesi di fila.
Da decenni i ricercatori s’interrogano sulla resistenza di questi animali, e su come facciano a dormire. Ora il biologo marino Daniel Costa e i suoi colleghi dell’università della California a Santa Cruz hanno scoperto che durante quei viaggi gli elefanti marini dormono in media due ore al giorno, suddivise in pisolini da cinque-dieci minuti in immersione. Un sonno quotidiano così breve rappresenta forse un record nel mondo animale e conferma che non c’è un unico modo di dormire.
Mille modi di dormire
Il sonno umano è piuttosto noioso: circa otto ore a notte di silenzio e immobilità, di solito senza interruzioni. La maggior parte degli animali non può permettersi questo lusso, perché ci sono cose di cui occuparsi e pericoli in agguato. Le mucche ruminano e le fregate volano nel dormiveglia, mentre i delfini riposano metà cervello alla volta per restare parzialmente vigili. Sembra che anche gli elefanti terrestri siano in grado di dormire appena due ore al giorno per lunghi periodi.
Gli scienziati non sanno perché gli animali riposano in modi così diversi, e anche il dibattito sullo scopo evolutivo di questo comportamento rimane aperto. Le ricerche sono ostacolate dal fatto che misurare l’attività elettrica del cervello di animali che vivono in libertà è una vera impresa.
È stata Jessica Kendall-Bar, una collega di Costa, a ideare il sistema di monitoraggio degli elefanti marini: una serie di sensori sottomarini che misurano l’attività cerebrale, la frequenza cardiaca e i movimenti dei muscoli e degli occhi. Dal monitoraggio è emerso che questi animali abbinano i pisolini alle immersioni. Dopo un paio di minuti d’immersione attiva cominciano a sonnecchiare, continuando a scendere in profondità. Poco dopo entrano nella fase rem, in cui perdono tono muscolare, ma non si fermano. Entrano anzi in una specie di “spirale del sonno”, cullati dal moto dell’oceano. Molti continuano a dormire sul fondale oceanico, immobili. Quando poi si svegliano schizzano verso la superficie per respirare.
Il fatto che sott’acqua si concedano vari minuti di sonno rem – uno stato di paralisi in cui sono vulnerabili – sorprende un po’, considerando quanti animali marini sono ghiotti della loro carne grassa. Secondo Kathleen Reinhardt, ricercatrice dell’università di Calgary, in Canada, è una conferma dell’importanza del sonno.
Uno degli aspetti più incredibili del sonno subacqueo degli elefanti marini è che non respirano. A volte trattengono il fiato perfino quando si appisolano a riva. Il meccanismo potrebbe aiutare i ricercatori a capire meglio, e forse a curare, le apnee notturne, un disturbo degli esseri umani che comporta brevi interruzioni nella respirazione.
Prima di fare collegamenti simili, però, bisogna approfondire la meccanica del sonno di questi mammiferi, che sulla terraferma dormono in media dieci-undici ore al giorno. Quelli che s’immergono nei bacini d’acqua chiusi, usati per fini di ricerca, riposano sei ore al giorno, forse perché in un ambiente in cui il cibo abbonda e non ci sono predatori possono permetterselo. Una conferma che, negli animali come negli esseri umani, il sonno è influenzato sia dalla biologia sia dall’ambiente circostante. “Nell’attuale società industriale i disturbi del sonno sono all’ordine del giorno”, dice Reinhardt. “In quelle dei cacciatori-raccoglitori si dorme di meno, circa sei ore a notte, senza conseguenze sulla salute. Tenendo anche presente la lezione degli elefanti marini, le nostre abitudini riguardo al sonno potrebbero essere tutt’altro che ideali”. ◆ sdf
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Questo articolo è uscito sul numero 1509 di Internazionale, a pagina 95. Compra questo numero | Abbonati