Re Carlo III. Quando un sovrano muore, un altro prende subito il suo posto. È una transizione automatica, considerata da molti necessaria e rassicurante, perché contribuisce a sostenere il mito secondo cui i re e le regine passano, ma l’istituzione monarchica sopravvive. Per lo stesso identico motivo, però, l’automatismo della transizione è anche preoccupante. In momenti come questo i repubblicani sono di fronte a un dilemma. “Accogliamo con tristezza la notizia della morte della regina ed esprimiamo le nostre condoglianze alla famiglia reale”, ha scritto su Twitter l’organizzazione Republic, favorevole all’abolizione della monarchia nel Regno Unito. “Ci sarà tempo per discutere il futuro della monarchia, ma per ora dobbiamo rispettare il lutto della famiglia e permettere ai suoi componenti e ad altre persone di piangere la scomparsa di una madre, di una nonna e di una bisnonna”.
Sono d’accordo con il tono del messaggio. Allo stesso tempo credo che sia sempre giusto, anche in una situazione come questa, riflettere e interrogarsi, pur rispettando le circostanze. Uno dei problemi di mantenere un silenzio dignitoso, tra l’altro, è che la monarchia non resta mai immobile: un nuovo re ha già cominciato il suo lavoro.
Un sovrano costituzionale ricopre necessariamente diversi ruoli. La regina era una persona, e la sua morte è devastante per la famiglia e gli amici, come la morte di qualsiasi madre, nonna, sorella o zia. Solidarizzare con il lutto è umano. Mentre lasciarsi andare a uno spirito vendicativo o celebrare la morte della regina sarebbe ripugnante.
La regina era anche un simbolo nazionale. Per settant’anni Elisabetta è rimasta sul trono e ha occupato saldamente un posto chiave nella coscienza pubblica. Anche per questo è importante riconoscere e rispettare il sentimento della popolazione. Tuttavia quel sentimento non è lineare. A parole le persone sembrano sostenere la monarchia e avere un atteggiamento rispettoso nei giorni del lutto per la regina, ma sono anche meno deferenti e ossequiose di quanto vorrebbero molti mezzi d’informazione e Westminster. E meno riluttanti a fare domande sulla monarchia. La percezione di quello che Elisabetta ha simboleggiato e significato per il paese va messa in discussione, senza lasciare che diventi semplicemente un mito. Al centro degli elogi della regina scomparsa c’è l’idea che avrebbe incarnato la continuità e la fermezza in un’epoca turbolenta e di cambiamento, garantendo una presenza che ha aiutato il paese a gestire la transizione dall’impero al dopo Brexit, dai giorni in cui la Bbc era l’unica emittente nazionale al mondo dei social network, da un’epoca di devozione assoluta a una in cui qualsiasi autorità è messa in discussione e non c’è quasi più nulla di sacro.
Un ostacolo al cambiamento
Molti altri paesi hanno vissuto cambiamenti simili, affrontandoli in alcuni casi meglio e in altri peggio del Regno Unito, spesso senza la necessità di un capo di stato per diritto di nascita. In tutti questi elogi, il significato simbolico del sovrano è quello di una figura che si innalza al di sopra della gente comune, lontano dal cinismo e dalle falsità della politica, regalando alla nazione una base morale che altrimenti non avrebbe. “In momenti in cui niente restava in piedi/ Ma tutto peggiorava o diventava strano,/ C’era un bene costante:/Lei non cambiava”, scrisse il poeta Philip Larkin nel 1977 in occasione del giubileo d’argento della regina, cioè per i 25 anni di regno.
Elisabetta II è morta l’8 settembre 2022 all’età di 96 anni. Era regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e degli altri stati del Commonwealth. Il trono è passato al figlio Carlo, 73 anni, che ha scelto il nome di Carlo III. Il Commonwealth è un’associazione di 56 paesi, in gran parte ex colonie britanniche, che aderiscono su base volontaria e non hanno nessun obbligo reciproco, ma firmano una carta comune che riconosce alcuni valori fondamentali come la democrazia, il rispetto dei diritti umani, la non discriminazione e la libertà d’espressione. Nel Commonwealth vivono quasi 2,5 miliardi di persone, un terzo dell’umanità, per lo più concentrati in tre grandi paesi dell’Asia: India, Bangladesh e Pakistan. L’Africa, con 21 paesi, forma il gruppo di stati più numeroso, anche se secondo come popolazione. Carlo III è anche il capo di stato di quindici monarchie parlamentari, in primo luogo il Regno Unito, ma anche il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda e piccole nazioni insulari come Saint Lucia, Giamaica, Grenada e Bahamas. Cinque paesi del Commonwealth sono monarchie con un sovrano locale: il regno di Tonga, il sultanato del Brunei, Eswatini, Lesotho e Malaysia. Infine 35 sono repubbliche, per la maggior parte del continente africano. ◆
Non è difficile capire il fascino di un ruolo simile, soprattutto se si pensa alla bassa considerazione in cui sono tenuti la politica e i politici. Ma la politica è il mezzo che permette alle persone comuni di partecipare al processo di governo. Di conseguenza insistere sulla necessità di un sovrano per diritto ereditario che si innalzi al di sopra della politica, incarnando la continuità e i princìpi morali del paese, significa ostacolare il processo di cambiamento democratico.
La monarchia può essere considerata al di sopra della politica, ma la sua stessa presenza è un’affermazione profondamente politica, un’affermazione sul grado di fiducia nei comuni cittadini e nel processo democratico e sul motivo per cui una persona nata nella famiglia giusta è più adatta a rappresentare la nazione di una scelta dal popolo.
Tutto questo sfugge a un terzo ruolo che il sovrano svolge, quello di rappresentante della carica o dell’istituzione monarchica. Il Regno Unito ha una monarchia costituzionale, non assoluta. Una monarchia, inoltre, che negli anni è stata progressivamente privata dei suoi poteri. Tuttavia l’idea che Elisabetta non abbia mai interferito nelle questioni politiche non regge.
Esistono anche i poteri della “prerogativa reale”. Il loro significato non riguarda tanto quello che il sovrano può fare (anche se il re o la regina mantengono alcuni poteri), ma il fatto che permette al governo di aggirare l’esame del parlamento. Attraverso l’uso della prerogativa reale un governo può “inviare le forze armate, firmare e distruggere trattati internazionali e assegnare onorificenze”. Negli ultimi anni questi poteri sono stati ridotti e limitati, ma esistono ancora. La monarchia è costituzionale e l’istituzione è inserita nel tessuto democratico, ma rimane comunque una carica definita dall’ereditarietà e quindi è un freno ai princìpi democratici.
Anche se è importante rispettare il lutto personale della famiglia reale e il sentimento dell’opinione pubblica per la monarchia, non è giusto mettere da parte i dubbi sulla carica del sovrano. Anzi, questi dubbi diventano pertinenti proprio nei momenti di transizione.
Parte del problema è che negli ultimi giorni molte discussioni sono state segnate, da un lato, da un odio infantile e da un disprezzo vergognoso (un intellettuale statunitense ha augurato alla regina “una sofferenza lancinante”) e dall’altro da un esagerato servilismo (poco prima che la regina morisse, sulla Bbc il giornalista Clive Myrie ha definito “insignificante” la risposta della premier Liz Truss alla crisi energetica se paragonata alla “gravità” di quella della monarchia; poi ha chiarito la sua posizione).
Dobbiamo saper riconoscere le tragiche circostanze personali e il legame profondo e simbolico della popolazione con la monarchia. Ma allo stesso tempo è giusto avere un atteggiamento aperto e interrogarsi sulle tradizioni, sulle credenze e sui miti più profondi. Non è l’espressione di un sentimento antibritannico. C’è più di un modo di desiderare il meglio per il paese. ◆ as
Kenan Malik è un giornalista britannico e columnist dell’Observer.
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Questo articolo è uscito sul numero 1478 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati