Il 1 gennaio nella regione dell’Asia-Pacifico è entrato in vigore un accordo che darà vita al più grande blocco commerciale del mondo. Il Partenariato economico globale regionale (Rcep) arriva in un momento in cui le economie cercano di riprendersi dai danni causati dalla pandemia e rafforzare le filiere di distribuzione mentre la Cina, il più grande tra i paesi firmatari, cerca di accrescere il suo ruolo nell’integrazione dell’Asia. Il modo in cui Pechino aprirà la sua economia attraverso l’accordo sarà oggetto di particolare attenzione mentre gli Stati Uniti, che ne sono esclusi, si preparano a rispondere con una loro iniziativa.

L’Rcep comprende 15 paesi che insieme producono il 30 per cento del pil e rappresentano quasi un terzo della popolazione mondiale. Per ora è entrato in vigore tra i dieci stati che l’hanno ratificato per primi: Cina, Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Brunei, Cambogia, Laos, Singapore, Thailandia e Vietnam. Il 1 febbraio toccherà alla Corea del Sud. Gli altri quattro paesi firmatari sono Indonesia, Malaysia, Birmania e Filippine.

Uno degli effetti dell’entrata in vigore dell’Rcep è che aziende e fornitori all’interno del blocco “avranno un trattamento preferenziale per le esportazioni e gli investimenti”, spiega Locknie Hsu, docente alla Singapore management university. L’Rcep avrà un “impatto significativo” sul commercio internazionale, ha sottolineato la Conferenza dell’Onu sul commercio e lo sviluppo (Unctad) in uno studio pubblicato a dicembre: “Le dimensioni economiche del nuovo blocco e il suo dinamismo commerciale lo renderanno un centro di gravità per il commercio globale”.

“Nel contesto attuale, determinato dalla pandemia, l’entrata in vigore dell’accordo può servire anche a perseguire un altro obiettivo: la resilienza commerciale”, aggiunge l’Unctad, osservando che nell’ambito degli accordi già esistenti il commercio si è dimostrato in grado di resistere bene al declino causato dalla pandemia.

In base all’Rcep i paesi firmatari dovrebbero eliminare i dazi su più del 90 per cento delle merci scambiate tra loro. A beneficiarne saranno soprattutto Cina, Giappone e Corea del Sud, le più grandi economie asiatiche, per la prima volta legate da un trattato di libero scambio. Secondo quanto dichiarato dal ministro del commercio giapponese, Tokyo eliminerà i dazi sulle esportazioni in Cina di alcuni componenti di veicoli elettrici.

Stando alle stime dell’Unctad le concessioni sui dazi faranno aumentare del 2 per cento rispetto al 2019 le esportazioni all’interno della regione, per un valore pari a 41,8 miliardi di dollari, stimolando nuovi scambi all’interno del blocco a scapito del commercio con altri paesi.

Da sapere
Vantaggi politici

◆ Dal nuovo accordo di libero scambio la Cina trarrà anche vantaggi politici. “Il patto incoraggerà le aziende europee a investire nel sudest asiatico e a usarlo come nuova base per le esportazioni verso il resto del mondo, mantenendo una presenza in Cina per sfruttarne il mercato interno”, spiega a Le Monde Hanns Günther Hilpert, responsabile del dipartimento Asia dell’Istituto tedesco per gli affari internazionali e la sicurezza. “Nonostante le differenze politiche, i paesi del sudest asiatico stanno rafforzando i loro legami economici con Pechino, vanificando gli sforzi di Washington per isolare la Cina”, aggiunge Hilpert. “Allo stesso tempo l’accordo ridimensiona le ambizioni della strategia indopacifica ideata da Stati Uniti, Giappone, India e Australia”.


A trarne il maggior beneficio sarà probabilmente il Giappone, che godrà di effetti complessivi sulle esportazioni per un valore stimato di 20,2 miliardi di dollari, seguito dalla Cina con 11,2 miliardi di dollari e dalla Corea del Sud con 6,7 miliardi di dollari. Probabili invece gli effetti negativi sulle economie di Vietnam e Indonesia: alcune delle merci che la Cina oggi importa dal Vietnam, per esempio, dovrebbero essere sostituite da altre importate dal Giappone per via di più concessioni sui dazi tra le due principali economie della regione.

L’intraprendenza di Pechino

La Cina vorrebbe partecipare anche ad altri patti regionali: a settembre ha chiesto formalmente di entrare nell’Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (Cptpp), un patto commerciale tra 11 economie in vigore dalla fine del 2018, e vorrebbe partecipare all’Accordo di partenariato per l’economia digitale (Depa), lanciato da Singapore, Nuova Zelanda e Cile.

Le mosse di Pechino hanno alimentato la sua rivalità con gli Stati Uniti. L’amministrazione Biden sta mettendo a punto un nuovo accordo economico per la regione indopacifica, che dovrebbe riguardare anche questioni come l’economia digitale e l’energia pulita. I dettagli non sono ancora stati resi noti, ma durante il suo viaggio in Asia a novembre del 2021 la segretaria del commercio statunitense Gina Raimondo ha detto che l’accordo sarà “flessibile e inclusivo”. “È probabile che alcuni paesi dell’Rcep saranno invitati a partecipare”, dice Hsu.

Ora che l’accordo è in vigore resta da capire se si allargherà a nuovi paesi e in che modo aumenterà la liberalizzazione. Sarà possibile accedere al blocco 18 mesi dopo l’entrata in vigore dell’Rcep, ma non per l’India, che nel 2019 si è ritirata dai negoziati e potrà ripensarci in qualsiasi momento. I firmatari dell’Rcep dovranno rivedere i contenuti dell’accordo ogni cinque anni. Alcuni paesi, come il Giappone, sperano nell’ingresso dell’India, convinti che bilancerebbe l’influenza della Cina. Ma New Delhi, che si è ritirata dai negoziati per paura delle conseguenze dell’accordo sulle industrie del paese, non sembra voler cambiare idea. Nel frattempo Hong Kong ha espresso interesse a partecipare.

Secondo gli esperti, per il successo dell’Rcep sarà fondamentale definire accordi su nuovi temi, come l’ambiente. “Con l’inasprirsi del confronto tra Stati Uniti e Cina sono emerse questioni come i diritti umani, la protezione dei diritti dei lavoratori, i provvedimenti sull’ambiente, i sussidi alle aziende di stato e le pratiche commerciali scorrette in Asia che i paesi firmatari dell’accordo dovranno affrontare in modo adeguato”, ha scritto alla fine di dicembre Toshiki Takahashi, ricercatore dell’Institute for international trade and investment di Tokyo. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1442 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati