“Staremo stretti”, osserva il giudice il 14 giugno. Nella piccola sala delle udienze del tribunale di Parigi i posti riservati al pubblico sono quasi tutti occupati, cosa che non succede molto spesso. La vicenda in discussione oggi ha portato una quindicina di curiosi e di giornalisti, già troppo numerosi per le quattro panche destinate al pubblico. La curiosità del caso spiega questa piccola anomalia: il regista Vincent Dietschy accusa Netflix di aver usato una sua sceneggiatura per il film Sous la Seine. Oggi lui e i suoi avvocati chiedono che il film di Xavier Gens, attualmente il più visto sulla piattaforma, sia tolto dal catalogo del gigante dello streaming.
L’udienza ha provocato un acceso dibattito tra le parti in causa, che si sono accusate reciprocamente di “disonestà” e di “disinvoltura”.
Le acque di Parigi
Da un lato Dietschy aveva cominciato a mettere insieme il progetto di un film su un pesce di acqua dolce, un pesce siluro, trasformato da mutazioni genetiche in mangiatore di uomini, che appare all’improvviso nelle acque di Parigi nel corso di una competizione sportiva. Il regista tuttavia non era riuscito a ottenere i finanziamenti necessari. Da parte sua Netflix ha trasmesso il 6 giugno sulla sua piattaforma un film molto simile. In Sous la Seine c’è uno squalo mutante, vecchia conoscenza di Sophia (Bérénice Bejo), una biologa marina che alcuni anni prima ha vissuto un dramma in occasione di una spedizione nel Pacifico.
Sophia trova un alleato insperato in Adil (Nassim Lyès), un poliziotto della brigata fluviale di Parigi.
Lilith, lo squalo mutante, ha stabilito la sua tana nelle antiche cisterne d’acqua nel sottosuolo parigino e minaccia i partecipanti a una competizione di triathlon (che prevede appunto una gara di nuoto), organizzata dall’amministrazione della città come “vetrina” in vista delle imminenti olimpiadi.
Dietschy ha deciso di accusare Netflix di “concorrenza parassitaria”. È qualcosa di molto vicino al plagio e alla concorrenza sleale, ed è stato definito dalla corte d’appello di Nancy nel 2001 come “usurpazione del lavoro altrui”, in particolare la copia deliberata e “senza un contributo nuovo delle idee frutto di una creatività particolare”.
In aprile Dietschy ha spiegato di aver avviato la stessa procedura non solo nei confronti della piattaforma di streaming, ma anche contro i produttori del film, Édouard Duprey e Sébastien Auscher e contro Laurent Grégoire, il responsabile dell’agenzia di spettacolo Adéquat. Dietschy infatti afferma di aver incontrato l’agente in occasione del festival dell’Alpe d’Huez nel 2015 e di avergli inviato una versione del suo progetto Silure, mentre i due produttori avrebbero avuto l’idea di Sous la Seine durante lo stesso festival. Nel corso dell’udienza l’avvocato di Dietschy ha duramente criticato una procedura “tipica dell’ambiente cinematografico, dove le voci girano”.
Durante il dibattito, l’avvocato del querelante ha presentato al giudice una tabella elaborata dallo stesso Dietschy, che mette in evidenza “le incredibili similitudini” tra le due sceneggiature. Il documento elenca 135 “punti di contatto” tra i due film (quello realizzato e quello che non ha mai visto la luce). Queste similitudini sono state inoltre sintetizzate in un video prodotto per il giudice e presentato durante l’udienza.
Dall’altro lato del tavolo l’avvocato Charles Bouffier, che rappresenta gli interessi di Netflix, spiega di essere rimasto colpito da un termine usato nelle conclusioni degli avvocati di Dietschy: “Disinvoltura”. Per lui “tutta la teoria dell’accusa è basata su un’unica idea, quella che i produttori del film Sous la Seine avrebbero avuto accesso alla sceneggiatura di Dietschy”, cosa però che secondo lui non è stata provata. “Nel diritto d’autore si parla d’incontro fortuito tra due idee simili. E le idee non sono protette dalla legge”, ribadisce l’avvocato.
Cliché di genere
Per Bouffier si tratta di un contenzioso basato sull’essenza stessa dei film di genere, che veicola intrinsecamente alcuni cliché ed espedienti di sceneggiatura. Chi rimarrebbe sorpreso di vedere in due film diversi sugli squali una figura di funzionario, come un poliziotto, o ancora un lungo momento di suspense che precede la morte della prima vittima? Tuttavia, l’avvocato riconosce un’idea iniziale comune tra i due film, quella di un mostro marino in un ambiente urbano, che non è peraltro “molto originale”.
Per spiegare la sua idea secondo cui i film di genere presentano dei “punti di contatto”, l’avvocato di Netflix ha presentato al giudice una nuova tabella. “Ho confrontato dei punti di contatto tra Silure, Sous la Seine e Lo squalo”, spiega il legale, sottolineando che il confronto con il film di Steven Spielberg è altrettanto ricco di somiglianze quanto quello presentato da Dietschy. E ha ironizzato: “E in questa storia non abbiamo ancora sentito parlare di Spielberg! Forse lui è più a suo agio con la nozione di fondo comune del cinema”.
Durante l’udienza Dietschy ha chiarito al giudice l’originalità del suo progetto, che secondo lui è molto più complesso di quello di Netflix. “Volevo che la mia sceneggiatura si allontanasse dagli stereotipi, anche per quello la minaccia non era uno squalo che invece ne porta con sé molti”. E ricorda: “I materiali con i quali ho costruito il mio film li ho presi direttamente dalle mie esperienze personali: si tratta di una storia d’amore, la mia, e di un siluro, un pesce che conosco bene in quanto pescatore”.
Dopo l’udienza Dietschy ha voluto chiarire: “Mi dispiace, la notte scorsa non sono riuscito a dormire e non sono stato molto chiaro. Con il mio film ci si sarebbe ricordati di un pesce non particolarmente famoso, un pesce siluro, mentre il loro, uno dei tanti squali, sarà dimenticato in fretta”, afferma il regista, prima di continuare: “Nel mio progetto tutto è personale, perciò la faccenda mi rende triste”. Per lui questa udienza è l’ennesima prova della lotta di Davide contro Golia. “I più grandi schiacciano i più deboli”, sintetizza Dietschy. La sentenza è attesa il 3 luglio. ◆ adr
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1568 di Internazionale, a pagina 83. Compra questo numero | Abbonati