L’Arabia Saudita sta rinnovando la sua immagine. Dal 2016, quando ha annunciato per la prima volta i piani per diversificare l’economia, il regno ha investito miliardi per apparire più progressista agli stranieri. Le donne possono guidare e fare lavori che prima gli erano vietati. Somme enormi sono investite in progetti architettonici futuristici come The Line – un’enorme città nel deserto – per attirare turisti da tutto il mondo. Eppure i cittadini raccontano una storia diversa. Secondo alcuni rapporti, lo stato impedisce a migliaia di sauditi di lasciare il paese con divieti arbitrari e illegali. Il loro crimine? Difendere i diritti umani fondamentali.
Tra loro c’è mia sorella, Loujain al Hathloul. Loujain è una nota attivista per i diritti delle donne, che ha condotto la campagna contro il divieto di guidare e ha lottato per l’abolizione del sistema di tutela maschile. Nel marzo 2018 è stata sequestrata negli Emirati Arabi Uniti e rimpatriata in Arabia Saudita, dove le è stato imposto un divieto illegale di espatrio. Pochi mesi dopo è stata arrestata. Le accuse contro di lei si riferiscono al suo lavoro in favore dei diritti umani. È stata processata in base alla legge antiterrorismo in un tribunale speciale, usato per imbavagliare la società civile. Nel febbraio 2021 Loujain è stata scarcerata, ma sotto severe condizioni, tra cui il divieto di lasciare il paese. La misura sarebbe dovuta durare quasi tre anni, fino al 13 novembre 2023. Ma questo febbraio le è stato detto che non c’è una data di scadenza. Le autorità non danno spiegazioni e ignorano le sue domande.
Il divieto non riguarda solo Loujain, ma anche tutti i nostri familiari rimasti in Arabia Saudita, che nel 2018 hanno scoperto di non poter andarsene dal paese, senza che ci sia stata una sentenza. Queste violazioni della libertà di movimento sono in contrasto con il diritto internazionale e con la stessa legislazione saudita. Vivere in Arabia Saudita senza poter uscire dai suoi confini significa avere continuamente paura, perché sappiamo come agiscono le autorità: di solito prima vietano a una persona di lasciare il paese, poi la arrestano.
Una storia tra tante
Io vivo a Bruxelles e non vedo la mia famiglia da più di sei anni. Ogni mattina, quando mi sveglio, devo accertarmi che i miei parenti siano ancora al sicuro. Mi mancano e vorrei vederli. Ma so che se tornassi in Arabia Saudita resterei intrappolata lì.
La storia della mia famiglia è una tra tante. Anche Maryam al Otaibi, un’altra coraggiosa attivista per i diritti umani, ha vissuto il carcere e la repressione. Dal 2019 non può lasciare il paese. Quando ha denunciato sui social network la sua situazione è stata condannata a scontare quattro mesi di carcere e a pagare una multa pari a 25mila euro. Le autorità saudite usano regolarmente e in modo arbitrario i divieti di espatrio come strumento di repressione. Questo scoraggia le persone a impegnarsi a favore dei diritti umani, perché hanno paura di mettere a repentaglio la loro incolumità e quella dei familiari. Dato che i divieti non hanno base giuridica, non c’è modo di ricorrere in appello. Chi è colpito da una restrizione non riceve una comunicazione e viene a saperlo solo quando tenta di lasciare il paese.
L’Arabia Saudita cerca di presentarsi sulla scena mondiale come una potenza sempre più moderata, ma non dobbiamo far finta di non vedere l’ipocrisia di un governo che promuove il turismo mentre vieta ai suoi cittadini il fondamentale diritto alla libertà di movimento. La comunità internazionale deve chiedere conto a Riyadh delle sue eclatanti violazioni dei diritti umani, e non lasciare che l’impegno nello sport e le collaborazioni con le celebrità distolgano l’attenzione da com’è davvero la vita dei cittadini del regno.
È ora che l’Arabia Saudita si apra non solo ai turisti ma anche alle voci del suo popolo. Fino a quando non lo farà, la facciata scintillante di progresso rimarrà solo questo, una maschera che nasconde una realtà di repressione e ingiustizia. ◆ fdl
Lina al Hathloul fa parte del comitato direttivo di Alqst for human rights, un’organizzazione per la difesa dei diritti umani in Arabia Saudita con sede nel Regno Unito.
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Questo articolo è uscito sul numero 1560 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati