Una folla armata di forconi si ammassa alle porte di Hollywood al grido di: “Basta con i film lunghi!”. Tutti sembrano essere d’accordo. Ridateci i bei film di una volta, che non superavano l’ora e mezza. L’argomentazione di base è che abbiamo una vita frenetica, e nel vortice dell’esistenza nessuno vuole stare fermo più del necessario.
Eppure gente come Martin Scorsese sembra non aver capito l’antifona. Il leggendario regista torna nelle sale con Killers of the flower moon, filmone di tre ore e mezza su una serie di omicidi tra i nativi della nazione Osage, negli anni venti. Il film precedente di Scorsese, The irishman, è altrettanto lungo, ed entrambi sono comunque più brevi rispetto alle quattro ore del suo documentario Il mio viaggio in Italia. Ma Scorsese non è l’unico regista convinto che sia meglio abbondare. Le statistiche indicano che la durata media dei film è aumentata drammaticamente negli ultimi decenni. Pur non volendo negare la piacevole scorrevolezza di un film da un’ora e mezza, sarebbe stupido credere che l’arte sia qualcosa da consumare il più rapidamente possibile. I film lunghi sono un piacere in cui crogiolarsi: più spazio per le sfumature e per i dettagli. Una bottiglia di vino sorseggiata lentamente invece di uno shot di tequila.
Nonostante l’ossessione collettiva per i film brevi, i dati suggeriscono che il pubblico ha più pazienza di quanta gliene attribuiamo. Quest’anno Oppenheimer di Christopher Nolan ha ottenuto un successo strepitoso nonostante la durata di più di tre ore. Lo stesso discorso vale per Avatar – La via dell’acqua di James Cameron. Inoltre basta esaminare la lista dei film che hanno incassato di più nella storia del cinema per accorgersi che sono quasi tutti mastodontici: Titanic, 195 minuti; Avengers: Endgame, 181 minuti, Avatar, 162 minuti. Magari, oltre che dal desiderio di guardare questi film, siamo spinti anche dalla tentazione di lagnarcene collettivamente. “Hai visto Oppenheimer? Dio quanto era lungo!”.
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Battaglie eroiche
Naturalmente dietro la tendenza ad allungare i film ci sono ragioni che vanno al di là delle leggi del mercato. La trilogia del Signore degli anelli realizzata da Peter Jackson, uno degli esempi più famosi di cinema “lungo”, non poteva sfuggire alle nove ore di durata, non tanto perché doveva coprire tutto il materiale letterario a cui si ispirava quanto perché i dettagli sono essenziali per comporre un’epica. Ci rendiamo conto della portata delle traversie vissute dagli hobbit proprio perché i film sono così sconfinati. Certo, forse non abbiamo camminato fino a raggiungere Mordor, ma i crampi per l’immobilità sulle poltroncine del cinema sono stati comunque una battaglia eroica.
Il dibattito non si limita allo schermo, grande o piccolo che sia. Le stesse tesi sono state applicate alla letteratura. Molti, infatti, non riescono a tollerare l’indulgenza nei confronti dei mattoni da mille pagine. Ma anche in questo caso la lunghezza è spesso necessaria. In ogni epoca e all’interno di ogni movimento letterario sono emersi lunghi e pesanti capolavori del tutto indifferenti alle regole per una “lettura facile e veloce”. Limitarsi a ciò che è breve e digeribile significa perdersi alcune delle opere migliori.
Ma davvero è così importante dilungarsi? Il vecchio detto “il troppo stroppia” si applica raramente al mondo dell’arte. Certo, Bruce Springsteen potrebbe cantare per un’ora e mezza, eseguire i suoi più grandi successi e lasciare comunque tutti gli spettatori con la sensazione di aver speso bene i propri soldi. Ma la verità è che anche dopo tre ore, prima ancora del bis, nessuno tra il pubblico spera mai che il boss “ci dia un taglio”.
Artisti come Taylor Swift si stanno allontanando sempre di più dalla classica idea del disco composto da una decina di canzoni, privilegiando formati più lunghi che abbondano di tracce bonus. Perché mai non dovrebbero? Se non volete ascoltare tutto il disco nessuno vi costringe, ma è bello averne la possibilità.
Una via di mezzo che forse può mettere tutti d’accordo è saltata fuori per l’imminente Napoleon di Ridley Scott, con Joaquin Phoenix nel ruolo del tiranno francese. Scott ha suscitato diverse perplessità quando ha cominciato a parlare di una versione del film di quattro ore e mezza, obiettivamente difficile da mandar già per lo spettatore medio. Ma alla fine Apple Tv+ e il regista hanno trovato un compromesso: una versione relativamente breve di 158 minuti sarà proiettata nei cinema, mentre gli abbonati al servizio di streaming avranno a disposizione sulla piattaforma, poco dopo l’uscita nelle sale, la versione curata dal regista e lunga quattro ore e mezza.
Alla fine ecco la sintesi della questione: nessuno vi costringe a guardare film lunghi. Se Killers of the flower moon vi sembra troppo impegnativo, non guardatelo. D’altronde avete alternative in abbondanza. Per esempio, la splendida commedia adolescenziale Bottoms: 92 minuti.
Ma forse, alla lunga, anche un’ora e mezza sembrerà troppo per le nostre capacità di attenzione stravolte da internet. Tra qualche anno personaggi all’antica come me potrebbero tessere le lodi dell’estenuante commedia epica Borat, con i suoi 84, lunghissimi minuti. Se non staremo attenti, una forma d’arte che ha definito un intero secolo sarà compressa in un battito di ciglia. ◆ as
◆ I film si allungano, è un fatto. Usando i dati pubblicati sul database cinematografico Imdb, il settimanale britannico The Economist ha analizzato più di centomila lungometraggi distribuiti a livello internazionale dagli anni trenta del novecento. La durata media delle produzioni risulta aumentata circa del 24 per cento, da un’ora e 21 minuti degli anni trenta a un’ora e 47 minuti del 2022. E considerando i dieci titoli più popolari (quelli con i voti più alti assegnati dal pubblico) la durata media arriva a circa due ore e mezza, praticamente il doppio rispetto agli anni trenta. I registi hanno cominciato a sfornare film sempre più lunghi all’inizio degli anni sessanta. Il cinema viveva un boom e gli autori volevano distinguersi dalla tv. Lawrence d’Arabia di David Lean, del 1962, supera la soglia delle tre ore e mezza. Dopo decenni di alti e bassi, un nuovo slancio si è avuto dal 2018. Le serie giocano un ruolo di primo piano ed è una strategia che in alcuni casi ha dato buoni frutti: Avengers: Endgame, tre ore, nel 2019 è diventato il secondo miglior incasso della storia. Il peso degli autori è un altro fattore determinante. Chi oserebbe dire a registi come Christopher Nolan di tagliare i loro film? E le piattaforme di streaming, che non hanno problemi di programmazione, ne approfittano producendo i film di registi che non disdegnano le lunghe durate come Martin Scorsese e Ridley Scott.
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Questo articolo è uscito sul numero 1534 di Internazionale, a pagina 85. Compra questo numero | Abbonati