Il generale sudanese Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, a tutti gli effetti il vero leader del paese, di recente ha dichiarato che le ambasciate del Sudan all’estero non ricevono fondi da un anno e mezzo. Dagalo si è detto esasperato dalla terribile situazione in Sudan: “La gente è stanca e senza speranza. Siamo una vergogna agli occhi del resto del mondo; i nostri studenti sono abbandonati a loro stessi, le nostre ambasciate non lavorano”.

Sono passati cinque mesi dal colpo di stato del 25 ottobre 2021, che ha interrotto la transizione verso la democrazia. Dopo essere stato deposto dai golpisti, inizialmente il primo ministro Abdallah Hamdok era stato messo agli arresti domiciliari, poi è stato richiamato per riprendere l’incarico. Ma per poco, perché a gennaio si è dimesso. Ora si pensa sia a Dubai.

La dura realtà

Il futuro del Sudan è nelle mani di una compagine di ufficiali, forze di sicurezza ed ex ribelli, senza alcuna struttura unitaria. A febbraio, quando Hemetti è andato in visita a Mosca, il generale Abdel Fattah al Burhan, sulla carta il capo dello stato, si è lamentato con alcuni funzionari egiziani delle manovre del suo vice, manifestando il timore che Hemetti volesse rovesciarlo con l’aiuto di complici esterni. Qualche giorno prima Hemetti era stato calorosamente accolto dal principe ereditario di Abu Dhabi. Contemporaneamente Al Burhan aveva visitato una base militare a Khartoum, e in quell’occasione aveva detto che l’esercito avrebbe ceduto il potere solo a un governo di “consenso nazionale” o dopo elezioni regolari.

Raggiungere tale consenso è il compito dell’inviato tedesco Volker Perthes, capo della missione delle Nazioni Unite in Sudan (Unitams). Dopo aver lanciato una serie di consultazioni sul futuro della situazione politica nel paese, Perthes ha pubblicato un rapporto, che somiglia più a una lista dei desideri. Nel testo si chiede di fermare l’uccisione dei manifestanti, rimuovere lo stato di emergenza, garantire la giustizia di fronte alle violazioni dei diritti umani, modificare il documento costituzionale del 2019 (di fatto superato) e formare urgentemente un’assemblea legislativa di transizione e un esercito unificato, indipendente dalle fazioni politiche.

Ma quello che il rapporto dell’Unitams non riconosce è la cruda realtà sul campo. Dal 25 ottobre 2021 sono stati uccisi più di ottanta manifestanti e altre decine sono stati arrestati durante le continue proteste contro la giunta. Allo stesso tempo il World food programme dell’Onu stima che entro settembre quasi due terzi degli abitanti del Sudan (cioè più di 18 milioni di persone) soffriranno la fame a livelli acuti a causa degli scontri armati, della crisi economica e dei raccolti scarsi. “In tutto il paese il 13,6 per cento dei bambini sotto i cinque anni soffre di malnutrizione. In alcune aree questa percentuale supera il 30 per cento. Sono livelli catastrofici”, si legge nel rapporto.

I prezzi dei generi alimentari salgono. Ma il governo ha aumentato le tasse e ha ridotto i sussidi su carburanti, elettricità e pane. Nel bilancio del 2022 è previsto un aumento del 145 per cento delle entrate fiscali e un aumento del 140 per cento delle entrate derivanti dalla vendita di beni e servizi.

A peggiorare le cose c’è il fatto che Khartoum dipende in misura sostanziale dal grano russo per sfamare la sua popolazione. A gennaio di quest’anno i due terzi delle esportazioni russe mensili di grano sono arrivati in Sudan, Egitto e Iran. Ma l’invasione dell’Ucraina (che insieme alla Russia produce più di un quarto del grano esportato a livello mondiale) minaccia di causare interruzioni delle forniture, di far salire i prezzi dei cereali e di conseguenza la fame tra i poveri di Khartoum.

Hemetti, che è sempre stato bravo a mercanteggiare, crede di poter superare i mesi difficili offrendo all’asta chilometri di coste ai russi, o a chiunque altro voglia costruire una base navale. Mentre Perthes, con il suo rapporto già chiuso in un cassetto, probabilmente è in cerca di una promozione. ◆ fdl

Magdi el Gizouli è un analista sudanese che collabora con il Rift valley institute.

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Questo articolo è uscito sul numero 1454 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati